Il biocidio in Campania
I compagni della Rete dei Comunisti dell’area metropolitana di Napoli e di Terra di Lavoro intendono fare un punto politico pubblico, per favorire la discussione, la socializzazione delle esperienze e le possibili sinergie politiche ed organizzative, circa la battaglia contro il vero e proprio dispositivo di distruzione di massa – il Biocidio – che sta devastando i territori e l’insieme delle forme di vita in gran parte della Campania. Da anni, nei nostri territori, sono attivi movimenti di lotta e di protesta contro i variegati effetti dell’uso antisociale della cosiddetta emergenza rifiuti, contro la devastazione dei suoli, dell’aria e dell’acqua e contro il complesso delle politiche economiche e sociali che, a vario titolo, afferiscono all’affaire “ambiente”. Proteste popolari poderose da tempo mettono sotto accusa il collaudato mix di interessi che tiene assieme sapientemente pezzi consistenti del potere politico, del sistema imprenditoriale e della grande criminalità organizzata. Una rete di poteri criminali e criminogeni che è la matrice vera dello stupro continuo in atto contro il territorio. In questi ultimi mesi – particolarmente nell’area denominata La Terra dei Fuochi e nella zona di Giugliano contro l’annunciato progetto di costruzione di un mega inceneritore – c’è una ripresa della mobilitazione e dell’attivizzazione da parte di comitati, parrocchie, associazioni indipendenti ed assemblee autoorganizzate di cittadini. Come compagni della Rete dei Comunisti riteniamo che queste vicende, ben oltre il loro portato specifico, siano tutte riconducibili, in vario modo, alla contraddizione capitale/natura che è una delle forme più avanzate dell’attuale corso della crisi sistemica del capitalismo e della più generale contrapposizione capitale/lavoro. Una crisi che, nel quadro dello sviluppo/sottosviluppo – diseguale e combinato – che segna questo scorcio della “contraddizione meridionale” e del suo palesarsi nell’area napoletana e campana, non si limita a colpire le condizioni di lavoro, ma permea rovinosamente l’insieme del ciclo della vita, l’ambiente ed i rapporti sociali. La nostra stessa partecipazione alle mobilitazioni ed al conflitto che, di volta in volta, si determinano sono parte della battaglia che conduciamo, dentro una cornice politica internazionale ed internazionalista, contro l’unitarietà dell’offensiva capitalistica, dei suoi strumenti di comando e controllo (la Troika dell’Unione Europea, la BCE), dei suoi provvedimenti finanziari ed economici (il Fiscal Compact, l’obbligo di pareggio in bilancio, i vari tetti di spesa) e sono un elemento costitutivo e discriminante della battaglia culturale e politica che avanziamo per la rottura dell’Unione Europea e dei suoi addentellati amministrativi e coercitivi.
Napoli, agosto 2013
1. Saccheggio
L’Unità d’Italia è stata una grande opera di colonizzazione. Basta leggere i classici, da Marx ad Engels, passando per i contributi di Antonio Gramsci, ma anche la letteratura più recente in materia, per verificarlo empiricamente, dati alla mano. Una colonizzazione che è passata anche tramite la “costruzione” del nemico (prima esterno e poi interno), dell’oppositore terrorista, reazionario, anti-moderno: il brigante. Una nuova figura sociale, costruita dall’antropologia dominante, utile a demonizzare la resistenza, a fiaccarla sul piano culturale, motivazionale, oltre che militare (1). Come ogni colonizzazione che si rispetti, anche quella del Sud Italia si è avvalsa delle mitologie razziste sull’uomo meridionale: fiacco, ignavo, socialmente pericoloso, non aduso al lavoro, poco propenso alla modernità, arretrato per questioni culturali ma ancor prima: “caratteriali”, laddove la cultura ed il carattere finiscono per coincidere con tratti somatici, posture, fisionomie, in definitiva: con la biologia del proprio DNA (2).La svalorizzazione dell’uomo meridionale giustifica il prevaricare – anche violento – del moderno uomo settentrionale, legittimato dal progresso, dalle vittorie del capitalismo, dal dinamismo della nuova società di contro all’atavicità di quella meridionale (3). Il presupposto di ogni forma di razzismo è sempre la svalorizzazione dell’altro (sul piano biologico, culturale, etico…). La negazione della parità di dignità è il presupposto della logica razzista. Il razzismo insito nella grande opera di unificazione/colonizzazione italiana, è una costante della nostra storia contemporanea. Dalla guerra interna fino a quelle esterne a carattere “imperiale”, per giungere alla vicende odierne, il razzismo istituzionale non ha mai abbandonato i gangli principali dell’organizzazione statuale e delle classi dominanti (4). La colonia meridionale è da sempre servita per legittimare determinate politiche economiche, logiche predatorie ed una divisione del lavoro interna che eleggeva il Sud a luogo di concentrazione di esercito salariale di riserva per le industrie del Nord (5).
Il razzismo massmediatico ed istituzionale, che negli ultimi due decenni ha costruito un nuovo nemico interno: l’immigrato (albanese, marocchino, tunisino, romeno, “clandestino”, immigrato tout-court…), ha quindi affilato nuove armi contro i reietti di sempre: i Rom, ha rispolverato vecchie retoriche di gerarchizzazione “interna” alla popolazione autoctona nei recenti anni delle “ecoinsorgenze” in Campania.
Nel mondo accademico simpatetico con le ragioni dei subalterni, c’è chi ha ricostruito in maniera molto brillante questo dispositivo, sottolineando come nel discorso dominante (mediatico e politico) la lotta delle popolazioni campane contro il piano regionale dei rifiuti e la tecnologia degli inceneritori fosse dipinta come espressione di arretratezza culturale, ignoranza, commistioni con i sistemi criminali, delinquenza diffusa (tutte caratteristiche che mirano a delegittimare sul piano politico e morale la battaglia dal basso, riducendola a confusa reazione “plebea”da reprimere per il bene degli stessi insorti) (6).
La grande pianificazione della distruzione del territorio campano non è aliena dalle logiche appena tratteggiate. Negli anni ‘80, prima ancora che la Campania venisse scelta come luogo di destinazione dei rifiuti tossico-nocivi di mezza Italia industriale ed anche europea, tali scarti del processo di produzione capitalistico venivano per lo più “esportati” illegalmente in terra africana (Somalia). Inchieste giornalistiche (Ilaria Alpi) e maggiore controllo delle tratte marittime, divenute più pericolose, hanno col tempo reso antieconomico il traffico illecito dei rifiuti transnazionale verso quei lidi. Il sistema produttivo italiano, però, aveva bisogno di nuovi sbocchi, nuove discariche da riempire, dove smaltire a costi ridotti i propri scarti. Segmenti importanti del blocco industriale, l’intuizione dei sistemi criminali, frazioni della politica e delle istituzioni locali nonché della massoneria, determinano a tavolino una nuova “vocazione naturale” della Campania: terra di sversamento illecito di rifiuti. La pianificazione della distruzione del territorio campano (soprattutto napoletano-casertano) ha anche una data simbolica: l’accordo di Villaricca del 1989 «dove parteciparono politici, camorristi, massoni e imprenditori; dove fu deciso, in modo organizzato scientificamente, di destinare la Campania al deposito fuorilegge delle scorie tossiche d’Italia» (7).
Così come le esternalità negative del ciclo produttivo industriale venivano scaricate sulla terra e la popolazione africana, poiché ritenuta saccheggiabile, essendo inferiore (“in fondo gli africani devono anche ringraziarci se li paghiamo per tenersi i nostri rifiuti, li aiutiamo a campare”), sulla base della stessa logica di inferiorizzazione, la terra e la popolazione campana sono state ritenute comoda destinazione dei propri rifiuti. La logica del saccheggio coloniale regge ed ispira questa pianificazione della morte che dà vita ad un nuovo ciclo di accumulazione del capitale per sistemi criminali locali che poi riverseranno i propri capitali in mezza Europa.
La logica del saccheggio ha per sua natura una dimensione a breve-medio periodo: consente una rapidissima accumulazione di capitali nell’immediato, ma distrugge l’area di riferimento, rendendola inservibile per futuri investimenti. È lo stesso capitale (legale o illegale che sia) che si priva di territori su cui poter alimentare circuiti di riproduzione. Le aree saccheggiate, sul lungo periodo, rischiano di essere inservibili anche come aree di mero consumo di merci. L’“industria” dello smaltimento illecito dei rifiuti – per sua natura espansiva ed onnivora – comporta un progressivo impoverimento strutturale dell’area ad essa destinata, rendendo impossibili altre forme di investimento ed utilizzo, monopolizzandola sul piano dell’investimento economico e scalzando capitali e produzioni precedentemente impiegati ed operanti. È uno degli effetti più devastanti e tipici della logica del saccheggio coloniale. È ciò che accade in Campania, in ampie zone della regione: l’ecocidio distrugge l’agricoltura, rende impossibile il turismo, ma col tempo incide complessivamente sulla qualità della vita e sulla possibilità di sfruttare quell’area in termini produttivi capitalisticamente. Le logiche del profitto entrano in contraddizione con quelle della sostenibilità ambientale dello sviluppo sociale.
Né l’intervento dello Stato può essere inteso come momento salvifico o neutrale; lo Stato non è un soggetto terzo rispetto alle forze in campo: esso ha agito in favore di alcune frazioni delle classi dominanti e dei suoi agenti, in ossequio ai dettami della “ragione economica” (capitalistica) e non di quella “sociale”: «I siti scelti dallo Stato per parcheggiare le ecoballe, aprire discariche provvisorie e definitive sono gli stessi dove operano, parliamo solo della provincia di Caserta, quarantamila aziende agricole che in poco più di centosettemila ettari di terreno producono diciassette vini (di cui tre Doc e uno Igt), la mozzarella (Sgt), la mozzarella di bufala campana (Dop), la mela Annurca campana (Igt), la castagna del vulcano di Roccamonfina, il formaggio “caso peruto” (che esiste da oltre duemilacinquecento anni ed è il più antico d’Italia), il formaggio “conciato romano”, due oli extravergine di oliva con marchio Dop in corso di registrazione, tre marchi famosi a livello mondiale per la produzione di acque minerali. Inoltre queste terre sono fra le prime in Italia per la produzione di ciliegie, fragole e nettarine» (8). Ciò a dimostrazione di una frattura interna anche alle classi dominanti, laddove le frazioni che manovrano grandi capitali oligopolistici agiscono in maniera predatoria verso il territorio, la natura ed i produttori minori (comunque non sempre estranei alle nefandezze della gestione illecita dei rifiuti).
In pochi anni quello messo in moto dalle “ecomafie” si dimostra essere un processo di accumulazione di capitali gigantesco, tanto da garantire una delle principali voci di entrate delle varie attività illecite gestite dai sistemi criminali. Con un ulteriore vantaggio: una legislazione penale in materia estremamente blanda, che prevede per lo più sanzioni ridicole e prescrizioni brevissime, garantendo di fatto l’impunità. Un segmento criminale a rischio quasi zero, oggetto anche di scarsa attenzione da parte degli inquirenti e forze dell’ordine (nonostante alcune grandi inchieste giudiziarie). Un industriale che voglia smaltire i propri veleni ha tutto l’interesse ad utilizzare i canali dello smaltimento illecito dei rifiuti, in perfetta compatibilità con la logica del profitto e quindi dell’abbattimento drastico dei costi di produzione: le ecomafie garantiscono risparmi sui costi ordinari di smaltimento dei rifiuti fino al 90%. Le esternalità negative del processo di lavoro (inquinante) sono scaricate per intero sulla natura, liberando l’azienda da “lacci e lacciuoli” normativamente previsti ed imposti. D’altronde, non è altro che un caso specifico di una legge di movimento più ampia del capitalismo: incrementare le ricchezze private a discapito del benessere generale.Stando al “Rapporto Ecomafie 2013” elaborato da Legambiente, il giro di affari attuale stimato sul piano nazionale è di 16,7 miliardi di euro annui, con la Campania al primo posto per numero di infrazioni accertate (che per lo più si perdono nei rivoli delle procedure giudiziarie). Il grande affare dei rifiuti ha comportato negli anni una progressiva specializzazione dell’offerta di servizi da parte dei sistemi criminali. Da un approccio più grezzo ed elementare, si è passati alla formazione di vere e proprie figure specializzate nella catalogazione dei rifiuti, nello stilare prezzari e nello scovare sempre nuove aree di smaltimento. Figure professionali magari provenienti direttamente dal mondo dei “colletti bianchi”, agenti della borghesia sempre più necessari ai moderni traffici illeciti dei sistemi criminali. Il segmento è stato quindi organizzato come una vera e propria filiera industriale, che funge da anello di congiunzione tra capitali legali ed illegali, semplificando una tendenza più ampia alla crescente commistione tra le varie facce dell’economia capitalistica, facendo sostenere a qualche studioso l’opportunità di sostituire il termine “camorra” e simili con quello di “imprese criminali”, ad evidenziare come la nuova dimensione imprenditoriale, spiccatamente capitalistica, degli investimenti dei sistemi criminali sia debordante (9).
2. Biocidio
L’interramento illegale dei rifiuti (speciali, pericolosi, tossici) in Campania data dai primi anni ’90, ma forse già a metà anni ’80 tale fenomeno muoveva i primi passi. Di certo l’accelerazione c’è stata in seguito alla vera e propria pianificazione criminale dello sversamento, frutto di un generalizzato “cambio di destinazione d’uso” dell’intera regione o comunque di parti importanti di essa. Per anni gli scienziati “ufficiali” o semplicemente “ciechi” (per dolo o per colpa), quelli al servizio dei poteri forti, degli imprenditori, della politica, quelli contigui ai sistemi criminali, hanno negato che l’immane concentrazione di rifiuti tossico-nocivi e pericolosi sversati illecitamente sul territorio campano fosse una causa o almeno una concausa dell’aumento esponenziale delle malattie tumorali, delle malformazioni genetiche ovvero dell’incremento del rischio di sviluppare patologie tumorali (10). Scienziati indipendenti e realtà ambientaliste hanno però nel tempo ricostruito la mappa del disastro e tracciato percorsi scientifici che consentono la riconducibilità del biocidio in corso alla devastazione ambientale dovuta allo sversamento di rifiuti, al loro incenerimento all’aperto (roghi tossici quotidiani), al mescolamento con la terra, le acque, le falde, le stesse pavimentazioni che calpestiamo o percorriamo in auto ogni giorno.
Nel 2004 la prestigiosa rivista “The Lancet Oncology” pubblicava un articolo nel quale venivano richiamati numerosi studi che collegavano la presenza di inceneritori all’incremento delle patologie tumorali e, più specificamente, l’aumento dell’incidenza dei tumori nel “Triangolo della Morte” veniva ricondotto in maniera decisa al fenomeno dello sversamento illecito di rifiuti, mai stroncato dalle istituzioni. Così, il Registro Tumori della ASL NA4 (terra di particolare devastazione ambientale, per ciò stesso definita – in relazione al territorio di Acerra, Marigliano e Nola: “Triangolo della morte”) riscontrava già allora dei tassi di incidenza delle malattie tumorali più elevati in quella zona rispetto alle medie regionali e nazionali, soprattutto in riferimento al cancro al fegato, alla leucemia ed al linfoma. Lo studioso si pronunciava in maniera netta ed affermativa sul collegamento tra il livello di inquinamento dovuto alle discariche abusive ed il livello elevato di decessi per cancro (11).
Altri studiosi di fama internazionale si battono da anni per stracciare il velo di omissioni e balle che nella comunità scientifica, nelle istituzioni e nei media viene ripetutamente inspessito. Si è osservato come anche studi “ufficiali”, tra il dire ed il non-dire, lasciano trasparire alcune verità indicative: lo “studio Bertolaso” del 2007 delinea una mappa regionale con la quale è possibile evidenziare come i comuni campani a maggior presenza di aree verdi che si sviluppano lungo l’asse viario SS162 (Asse mediano) siano quelli maggiormente colpiti dal cancro e da malformazioni neonatali (12). A dimostrazione di come abbia funzionato la pianificazione della distruzione di cui abbiamo parlato finora.
Le cronache di tutti i giorni ci forniscono le prove di quanto parte della comunità scientifica ed i saperi empirici delle popolazioni verificano nei propri laboratori o sperimentano sui propri corpi. A Caivano (NA), paese del Triangolo della Morte, poche settimane fa è stata rinvenuta nella falda acquifera una sostanza nociva cancerogena, dal potere mutageno e teratogeno, in presenza superiore del 700% alla norma; deforma il DNA ed ammazza: è il “clorulo di metilene”, proveniente dalla lavorazione della verniciatura dei macchinari. Un solvente entrato nell’ecosistema locale tanto da produrre mutazioni genetiche ai bimbi nati sul posto (13). C’è ancora qualcuno però che sostiene che tutto ciò sia addebitabile agli “stili di vita”!
Recentemente Carmine Schiavone, ex “tesoriere” del clan dei Casalesi, collaboratore di giustizia da anni, in una intervista televisiva ha ribadito il ruolo determinante dei sistemi criminali, delle istituzioni locali e centrali, della politica, delle forze dell’ordine e di importanti frazioni dell’industria settentrionale, nel dare vita a tale saccheggio. Rifiuti tossico-nocivi sono stati sversati negli ultimi decenni nelle zone agricole della Campania e del basso Lazio – confessa il boss. Interi tracciati che hanno funto da base per la costruzione di assi viari sono stati imbottiti di bombe ecologiche, fanghi industriali, toner mescolati nelle sabbie, rifiuti termonucleari, ospedalieri, vernici ed inquinanti di ogni tipo… Le montagne sono state sventrate per ricavare materie prime per l’edilizia, poi sono state riempite di rifiuti con discariche abusive. Interi parchi residenziali o zone industriali sono stati costruiti su pavimentazioni di rifiuti pericolosi. Le falde acquifere sono state inquinate, nonostante vengano ancora utilizzate per irrigare i campi ove crescono frutta ed ortaggi presenti sulle nostre tavole (14).Queste le conclusioni di uno scienziato di fama mondiale: «Trent’anni di camorra e di rifiuti tossici non correttamente smaltiti costano a Napoli Nord e Caserta Sud un indice di mortalità pari al 9,2% in più per gli uomini e 12,4% per le donne» (15).
D’altronde, la Relazione sulla Campania della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti così sintetizza il disastro in atto: «Si tratta di danni incalcolabili, che graveranno sulle generazioni future. Il danno ambientale che si è consumato è destinato, purtroppo, a produrre i suoi effetti in forma amplificata e progressiva nei prossimi anni con un picco che si raggiungerà, secondo quanto riferito alla Commissione, fra una cinquantina d’anni. Questo dato può ritenersi la giusta e drammatica sintesi della situazione campana». La stessa Relazione accerta l’inquinamento delle falde che, già oggi operante, raggiungerà il proprio culmine nel 2064, apice in cui si realizzerà in pieno la precipitazione nella falda acquifera del percolato e di altre sostanze tossiche derivanti dalle migliaia di tonnellate di rifiuti (16).
Già da anni, la prova più evidente e scottante del biocidio in atto è l’abbattimento di migliaia di capi animali, vere e proprie “sentinelle della natura”, intossicati da diossine ed altri agenti tossico-nocivi. Le pecore di Acerra ne sono il paradigma (17).
La drammatica situazione ambientale della Campania è aggravata ulteriormente dal fenomeno dei “roghi”, talmente pervicace e aggressivo da aver dato il nome alla “Terra dei fuochi” (inizialmente comprensiva dei territori dei comuni di Giugliano, Villaricca e Qualiano e successivamente ampliatasi a tutta l’area napoletana e del basso casertano). I continui roghi tossici dei rifiuti sversati lungo i margini delle strade, sotto i ponti, in slarghi, sull’asse mediano, nelle campagne, durante tutto il giorno, violentano l’aria, il cielo, i polmoni. Disperdono le loro diossine nell’ambiente, ricadono sul terreno coltivato, entrano nel ciclo alimentare tramite frutta, ortaggi ed animali, penetrano direttamente nei polmoni. I roghi non sono mai improvvisati. Vengono dapprima preparati sapienti letti di combustione, poi mescolati rifiuti tali da alimentare il fuoco senza che si spengano (stracci imbevuti di oli o benzina, pneumatici…) per poi bruciarvi di tutto: dai rifiuti pericolosi a quelli tossici. A ciò si aggiungano anche quelli dei contadini che incendiano tutti i materiali plastici delle serre invece di smaltirli regolarmente. Tale fenomeno è figlio dell’ignoranza, del malaffare, della criminalità, della connivenza con istituzioni non operanti, dell’omissione di interventi di controllo pianificato sul territorio. Sebbene sia tecnologicamente possibile tracciare per via satellitare tutte le rotte dei rifiuti, così come è possibile controllare il territorio dall’alto in funzione deterrente e preventiva, tali sistemi di controllo non sono stati mai attivati. Le aree di combustione, spesso le stesse, sono sempre più numerose, ma nessuno interviene. L’aria acre, pungente e le nubi nere continuano a pervadere il cielo delle nostre terre.
Decine di migliaia di denunce alle forze dell’ordine rimaste inevase. Nessuno si muove. Perché?
Quello dei roghi è un fenomeno organizzato, che investe più figure e più passaggi intermedi, fino all’ultimo anello, della manovalanza peggio pagata e più soggetta a rischi diretti. Spesso sono alcuni Rom che appiccano materialmente i roghi, o fuori i propri campi di concentramento o altrove. Sono i primi a rischiare per poche decine di euro, sono i primi a respirare quei fumi, sono i primi a morirne. Il sistema di gerarchizzazione razzista interno alla società – nel relegarli ai margini della stessa – non solo li destina ai lavori più sporchi, che sono anche quelli maggiormente visibili e perciò fastidiosi, ma li rende oggetto di vere e proprie reazioni di furore simbolico o materiale da parte delle popolazioni autoctone, che se non agiscono direttamente con i pogrom, li discriminano e deportano dai propri territori, ritenendoli responsabili anche dell’ulteriore avvelenamento delle loro terre, senza considerare l’intera catena di responsabilità per tutto ciò. I Rom quindi diventano capri espiatori e facile strumento di dislocamento dell’attenzione dai veri/vari responsabili: meccanismi di potere che generano la devastazione ambientale vengono semplificati, nel senso comune, dalla figura del Rom-piromane. La condanna del singolo gesto non solo deve essere aliena da qualsiasi forma di “responsabilità collettiva” dell’intera comunità Rom, ma deve essere letta in un quadro più ampio di critica dei poteri e delle sue varie articolazioni (anche di quelli che le comunità autoctone esercitano sui Rom).In definitiva, non è azzardato parlare di vero e proprio biocidio della natura nel suo complesso. Un genocidio che aggredisce direttamente l’essere umano, un ecocidio che divora le condizioni di riproducibilità dell’ambiente. Nella sua interezza, è un’aggressione alla natura senza precedenti, organizzata scientificamente e dotata di coperture politiche, istituzionali, affaristiche, militari (18).
3. Che fare?
Il Piano regionale dei rifiuti, così come inizialmente elaborato a metà degli anni ’90 dalla Giunta Rastrelli e successivamente fatto proprio da quelle Bassolino, fino alle sua ultime modifiche, è stato da sempre ispirato da una scelta di fondo che privilegia l’incenerimento dei rifiuti (prevedendo inizialmente cinque bruciatori) e marginalizza la raccolta differenziata, il riuso, la riduzione di sprechi ed imballaggi nel processo produttivo e di circolazione delle merci, sistemi alternativi di trattamento a freddo dei rifiuti.
Un attento studioso della materia, qualche tempo fa, notava come alla Campania fosse stato assegnato un ruolo da “apripista” per la nuova era dell’incenerimento dei rifiuti. Nel 2002 solo l’8% dei rifiuti urbani su scala nazionale veniva incenerito (per lo più al Nord). Il Piano regionale dei rifiuti campani prevedeva una massiccia organizzazione del ciclo integrato dei rifiuti in funzione inceneritorista. La Campania come banco di prova da replicare poi su scala nazionale (19). Per far accettare alle popolazioni locali tale scelta (lautamente finanziata dallo Stato con la garanzia dei CIP6), la Campania aveva bisogno della “crisi”, dell’emergenza dei rifiuti. Emergenza durata ufficialmente dal 1994 al 2009. Tre lustri in cui nella regione campana è stata sospesa perfino al democrazia formale, rappresentativa, con la attribuzione dei gangli principali del potere decisionale e gestionale relativi all’intera vicenda a strutture commissariali che per definizione agiscono in deroga alla legge ordinaria e rispondono solo al potere esecutivo. Ciò ha consentito un migliore e più agevole amalgama tra le istanze delle lobby degli inceneritori (nel caso di specie soprattutto Impregilo), i funzionari del commissariato e gli agenti dei sistemi criminali con o senza colletti bianchi.
Si costituisce così un vero e proprio blocco di potere composto da più coaguli: quello imprenditoriale-bancario, interessato alla costruzione degli inceneritori, in un segmento dell’economia necessariamente oligopolistico con garanzie di facili profitti, anche statalmente assistiti; quello politico-istituzionale, aggregato in maniera trasversale e duratura nel tempo attorno alle logiche ed i piani dell’incenerimento, dapprima rappresentato dalla figura di Rastrelli e poi dalla lunga stagione bassoliniana (con la longa manus della Protezione civile); quello dei sistemi criminali che gestiscono lo smaltimento illecito dei rifiuti, condizionano o controllano aziende partecipate, detengono il monopolio del movimento terra e del trasporto rifiuti, accumulano ricchezze gigantesche con le discariche abusive, ma anche con i servizi legali collaterali allo smaltimento lecito dei rifiuti (anche nel caso di costruzione degli inceneritori continuerebbero a fornire i propri servizi e gestire discariche abusive per i rifiuti pericolosi e tossici); quello mass-mediatico, tutto schierato in maniera compatta (tranne rare ed encomiabili eccezioni di singoli giornalisti) in favore della scelta inceneritorista, che è servito, soprattutto nei periodi di crisi acuta, a legittimare la scelta di bruciare come la migliore, la più salubre, la più razionale, contribuendo di converso a demonizzare ogni forma di opposizione ad essa. Massoneria e lobby occulte sono stati strumenti di costante congiunzione tra questi vari momenti della rete di poteri che hanno agito sul territorio campano (20).Il sistema messo in piedi da Bassolino, costruito attorno a laute consulenze esterne, aziende partecipate, gestione politica dei corsi di formazione (nei quali ha avuto un ruolo preponderante parte della dirigenza di Rifondazione comunista), occupazione di tutti gli spazi pubblici, in stretta connessione con i poteri giurisdizionali, mediatici e culturali, è stato l’humus in cui sono lievitati affarismo, speculazione e clientelismo, di una tale portata da sussumere l’intera opposizione di palazzo, riuscendo anche a silenziare per un lungo periodo i movimenti di piazza.
Contro tutto ciò la popolazione campana si è mobilitata, anche in massa, negli ultimi anni, dando vita a numerose vertenze locali che hanno assunto dimensioni più grandi. Le mobilitazioni dal basso hanno avuto il merito di liberarsi dell’etichetta “NIMBY” adottando un orizzonte politico e di lotta più ampio, con netti rifiuti alle politiche regionali ed alle scelte commissariali non solo nel proprio “orticello” ma sul piano sovracomunale. Lotte che hanno saputo connettersi con altri momenti di conflittualità sparsi sul territorio nazionale (da quello contro la privatizzazione dell’acqua fino alla NoTAV o NoDalMolin presenti alla manifestazione nazionale di Chiaiano) e che hanno prodotto e sedimentato saperi tecnici, crescita collettiva, controinformazione sempre più puntuale e critica. Lotte che hanno posto per la prima volta cittadini inizialmente timidi di fronte alla repressione dello Stato, anche brutale. Lotte che hanno prodotto esperienza di conflitto e memoria e diffuso anche tra la popolazione passiva il duplice messaggio dei movimenti: “NO” alle politiche inceneritoriste e delle discariche e “SÌ” a piani alternativi, sostenibili sul piano ambientale, fuori dalle logiche del profitto, imperniati sul primato dei beni vita, salute e di quelli comuni più in generale.
La capacità di resistenza dei vari focolai di lotta, tuttavia, per lo più non è riuscita ad incrinare definitivamente il piano dei governanti, sebbene abbia ottenuto alcune vittorie, anche importanti (a Pianura, quartiere periferico di Napoli, si è forse consumata quella simbolicamente più vivida, per la potenza destituente sprigionata ed organizzata in quelle settimane, anche sul fronte “militare”, tale da costringere forze dell’ordine ed istituzioni a fare letteralmente molti passi indietro, fino ad abbandonare lo scellerato progetto di riaprire la discarica dei Pisani (21).
Quelle lotte non sono risultate vane, non solo perché hanno messo in scacco o comunque in profonda crisi la governance commissariale per lungo tempo, perché hanno ottenuto degli importanti risultati immediati (ad esempio a Taverna del Re, Giugliano, solo grazie all’attivismo del locale presidio permanente è stato possibile porre degli argini strutturali allo scempio delle tonnellate di balle lì accatastate che sudavano percolato mortale che si infiltrava nel terreno). Hanno in generale rallentato i tempi di realizzazione del Piano regionale dei rifiuti, finendo anche per condizionarlo con il successivo ridimensionamento. Tuttavia, il campo di battaglia è ancora caldo, la lotta non può che continuare, su più fronti. Il 16 agosto scorso è stato emanato dalla Regione Campania un bando di gara pubblica per la costruzione dell’inceneritore da costruirsi a Giugliano in Campania, terra già martoriata da numerose bombe ecologiche nonché dal simbolo dello scempio dell’emergenza rifiuti campana: Taverna del Re, un’area equivalente a circa 185 campi di calcio con piramidi di balle di rifiuti.
Un inceneritore da 450 milioni di euro che dovrebbe usufruire dei CIP6 e bruciare le balle di mezza Campania, comprese quelle di Taverna del Re, che nessuno sa cosa contengano. Per questo motivo il presidio permanente locale si è da subito opposto a tale progetto chiedendo come primo passo una commissione internazionale di medici e scienziati che analizzi il contenuto delle balle per poi progettare la soluzione migliore per il loro smaltimento. Il secco “NO” all’inceneritore a Giugliano così come altrove deve essere oggetto di un’ampia campagna politica e di mobilitazione, deve essere il nuovo fronte di lotta non solo della popolazione locale ma dell’intera regione ed oltre, in combinazione con le altre vertenze sulle centrali a biomasse nel casertano (22).
Non solo. Tale mobilitazione che comincia a crescere deve essere solo uno dei fronti di lotta, da estendere in termini di rivendicazione decisa sulla questione delle bonifiche del territorio, nodo centrale di ogni politica di risanamento di quest’area devastata. Bonifiche di cui si parla da anni ma per la quali non è stato mai mosso alcun dito, se è vero che addirittura i siti contaminati oggetto di sequestri operati dalla magistratura, con processi penali in corso o definiti, giacciono ancora lì da anni senza alcun intervento di messa in sicurezza e bonifica (23). Centinaia di milioni di euro per costruire gli inceneritori, miliardi di euro spesi nel buco nero del commissariato per l’emergenza rifiuti, non un centesimo per le bonifiche. E ciò nonostante la disoccupazione giovanile e più adulta sia una piaga strutturale della Campania. Una disoccupazione giovanile che non interessa solo la manodopera dequalificata ma anche le intelligenze formate nelle università. Un esercito salariale di riserva che potrebbe essere utilizzato in un grande piano di risanamento e bonifica del territorio campano, che preveda percorsi seri di qualificazione e formazione e di messa all’opera della scienza e della tecnica al servizio della popolazione, seguendo le logiche di una razionalità sociale che persegua l’obiettivo della preservazione della salute, della vita e dell’ambiente per le generazioni attuale e future.
Un piano generale di ristrutturazione ambientalista della regione campana, controllato dal basso sia in riferimento agli obiettivi che agli strumenti adottati, alle procedure seguite, alle destinazioni della spesa pubblica. In quest’ottica è fondamentale la saldatura dei vari movimenti dei disoccupati (a partire dai “Precari Bros” che su questo obiettivo hanno speso anni di iniziative sociali) e del mondo del lavoro in via di espulsione dal ciclo produttivo con le battaglie ambientaliste che verranno. Un piano costruito attorno alle ragioni del riuso, della riduzione drastica degli imballaggi e di materiali non riciclabili, della raccolta differenziata spinta, del compostaggio, delle bonifiche, del controllo sistematico, anche satellitare, del territorio per reprimere severamente ogni principio di rogo e per bloccare i traffici illeciti di rifiuti.
In tempi di austerità, bisogna avere il coraggio di rompere radicalmente con i vincoli di bilancio e con le politiche di pareggio imposti dai continui diktat dell’Unione Europea ed ora anche in parte costituzionalizzati, di cui il PD è il più fedele sostenitore. Se lo Stato spende miliardi per gli armamenti e le missioni imperialistiche all’estero (13 miliardi solo per gli F35), tanti altri miliardi in rivoli di sprechi che alimentano la burocrazia politica ed i parassiti che la circondano, allora vuol dire che i flussi di spesa pubblica ci sono, ma che la spesa va ri-orientata in favore degli interessi dei ceti popolari. Obblighiamo gli strozzini che ci governano e la classe dominante a dirci pubblicamente se a prevalere sono i loro interessi privati o quelli generali; il profitto o la vita; quale gerarchia di beni giuridici va tutelata.Conosciamo già la risposta. Il Re è nudo. Dobbiamo soltanto sbranarlo! Per farlo è necessario articolare una vertenza generalizzata sulla questione del biocidio in Campania, che coinvolga tutti i soggetti subalterni in nuovi momenti destituenti che siano da preludio alla costituzione di un percorso di generale opposizione politica e sociale in grado di riprodurre, anche nei nostri territori, quella indispensabile rottura rivoluzionaria che serve all’insieme dei ceti popolari colpiti dai diversificati effetti della crisi. Su questo terreno di mobilitazione, di lotta e di organizzazione la Rete dei Comunisti non farà mancare il proprio contributo politico e militante agli attivisti politici e sociali ed all’agire dei movimenti di massa che si affacciano al conflitto.
Noi sappiamo ed abbiamo le prove.
Prove marchiate sulla nostra pelle. Nel nostro codice genetico e nelle nostre cellule impazzite.
Le nostre prove sono i nostri morti. Sono i nostri figli mai nati o nati deformi.
I nostri fratelli ammalatisi troppo giovani ed i nostri padri, le nostre madri strappatici troppo presto.
Sono le lenzuola dei letti impregnati di sofferenza e grida di dolore.
In passato siamo stati silenti e terrorizzati.
Poi abbiamo alzato la testa, abbiamo cominciato a parlare e lottare.
Ma non è bastato. Non basta.
Bisogna cominciare a pensare a restituire il terrore contro i dominanti, contro chi ci ammazza ogni giorno nel silenzio.
Trasformiamo le nostre notti insonni in insonnia generalizzata e lacrime di sudore freddo per chi ci opprime.
Fonte: Rete dei Comunisti
1 Cfr. L.M. Lombardi Satriani, M. Meligrana, Diritto egemone e diritto popolare, Milano-Vibo Valentia, Jaca Book-Quale cultura, 1998.
2 Per un’antologia di tale letteratura, si v. V. Teti (a c. di), La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale, Roma, manifestolibri, 1993.
3 L’uomo bianco predominante dell’era capitalistica finisce immancabilmente per coincidere con il borghese, l’uomo proprietario, di contro alla massa informe dei nullatenenti (proletari, colorati e donne): «Ogni teoria razzista è anche, in vario grado, una teoria elitaria, una teoria classista» (P. Basso, Razze schiave e razze signore. I vecchi e nuovi razzismi, Milano, Franco Angeli, 2005, p. 55, cui si rimanda per un approfondimento della materia).
4 Sulle nuove forme di razzismo istituzionale, in Italia come in Europa e negli Stati Uniti, si v. P. Basso (a c. di), Razzismo di stato. Stati Uniti, Europa, Italia, Milano, Franco Angeli, 2010.
5 Ancora oggi è luogo di esportazione di tantissima manodopera ed anche intelligenze, attratte dai centri imperialistici (v. la Germania negli ultimi anni).
6 Si v. l’ottimo saggio di A. Petrillo, “Le urla e il silenzio. Depoliticizzazione dei conflitti e parresia nella Campania tardo-liberale”, in Id. (a c. di), Biopolitica di un rifiuto. Le rivolte anti-discarica a Napoli e in Campania, Verona, Ombre Corte, 2009, pp. 13-71. Si rinvia all’intero libro per una panoramica generale delle varie vertenze e lotte ambientaliste recenti su suolo campano.
7 A. Iacuelli, Le vie infinite dei rifiuti. Il sistema campano, Roma, Rinascita edizioni, 2008, p. 28.
8 B. Iovene, Campania infelix, Milano, BUR, 2008, pp. 220-1.
9 A. Lamberti, Lazzaroni: Napoli sono anche loro, Napoli, Grauseditore, 2006.
10 Il Ministro della Salute Lorenzin recentemente ha sostenuto che in Campania non si muore per i roghi tossici e la questione rifiuti, ma per gli stili di vita non corretti della popolazione locale. D’altronde, un recente studio mostra come le fonti ufficiali sottostimino i casi di neoplasie in Campania del 27% (M. Barba et alii, “Wasting lives: the effects of toxic waste exposure on health. The case of Campania, Southern Italy”, in Cancer Biology and Therapy, vol. 2, n. 12/2011).
11 A. Mazza, K. Senior, “Italian ‘Triangle of Death’ linked to waste crisis”, in The Lancet Oncology, vol. 5, n. 9, sett. 2004. La costituzione e regolare tenuta di un vero registro dei tumori, che possa servire da strumento di analisi statistica delle patologie neoplastiche, è una battaglia storica dei movimenti ambientalisti campani, posto che in tutta la regione ne esiste soltanto uno ufficiale, assolutamente insufficiente. Il registro dei tumori potrebbe essere un vero e proprio grimaldello nelle mani dei cittadini per dimostrare scientificamente ciò che i governanti negano. Ecco un “buon” motivo per non farlo.
12 A. Marfella, “La sovrapposizione dei flussi di rifiuti urbani e speciali industriali: il ‘segreto di Pulcinella’ delle origini di Gomorra”, in A. Giordano, G. Tarro, Campania, terra di veleni, Napoli, Denaro libri, 2012, p. 96.
13 http://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/pozzi_caivano_forestale/notizie/305759.shtml .
14 Intervista di Sky Tg24 del 24 agosto 2013.
15 A. Giordano, “Vivere in un mondo di rifiuti tossici: un silenzio assordante”, in A. Giordano, G. Tarro, op. cit., p. 28
16 R. Galullo, “La catastrofe ambientale a Napoli e Caserta: come l’Aids e la peste”, in Il Sole 24 Ore, 24.01.2013.
17 Su queste tematiche si v. con profitto il film di E. Calabria, A. D’Ambrosio e P. Ruggiero Biùtiful cauntri del 2007.
18 Si tenga comunque presente che questa è soltanto una forma particolarmente aggressiva e distruttiva in tempi brevi di biocidio, ma che il modo di produzione capitalistico stesso è oramai entrato in una contraddizione insanabile con la natura, tanto da rendere sempre più urgente ed attuale una società post-capitalistica che operi secondo le leggi della compatibilità con la riproduzione naturale. Sul lungo processo di aggressione e distruzione della natura ad opera del capitalismo, si v. almeno J. Bellamy Foster, The Vulnerable Planet. A Short Economic History of the Environment, New York, Monthly Review Press, 1999.
19 M. Ruzzenenti, L’Italia sotto i rifiuti. Brescia: un monito per la penisola, Milano, Jaca Book, 2004, p. 220.
20 Per una ricostruzione del blocco di potere campano costituitosi nell’era Bassolino attorno all’emergenza rifiuti, vero suo momento e luogo costitutivi, v. P. Rabitti, Ecoballe, Roma, Aliberti, 2008, T. Sodano, N. Trocchia, La peste, Milano, Rizzoli, 2010, G. Manzo, A. Musella, Chi comanda Napoli. Clan, clientele politiche e Chiesa: i poteri forti che da vent’anni mettono sotto scacco la città, Roma, Castelvecchi, 2012.
21 Già in altra pubblicazione della RdC leggevamo quella battaglia come l’espressione dell’esplosione di una contraddizione molto più ampia interna all’area metropolitana. La questione ambientale diventava solo il momento culminante di un processo lento di accumulo di disperazione e criticità rastrellate su altri fronti (disagio economico, disoccupazione elevatissima, marginalità sociale e culturale, deprivazione generalizzata di servizi pubblici…): AA.VV., Trash. La metropoli e i suoi rifiuti. Riflessioni e analisi sull’organizzazione capitalista delle metropoli vista basso. La realtà della Campania, i suoi rifiuti e le sue periferie, Quaderno di Contropiano per la Rete dei Comunisti, ottobre 2008.
22 Si danno qui per presupposte le ragioni del “no” all’inceneritore, produttore di nanoparticelle non filtrabili che comportano l’aumento di neoplasie, malattie cardiovascolari, aborti, malformazioni fetali ed anche diabete o tiroiditi. Si v. a titolo introduttivo gli studi del Dott. Stefano Montanari, profondo conoscitore dei disastri provocati dalle polveri ultrafini, nonché M. Ruzzenenti, op. cit. ed il film di M. Carlucci, Sporchi da morire, 2012.
23 Su questi punti v. più ampiamente A. Iacuelli, op. cit., B. Iovene, op. cit.