Da un paio d’anni la Tre giorni del Sangiovese di Predappio ha aperto le porte a nuovi spunti, con veri approfondimenti nei laboratori curati da Francesco Falcone, che mette in campo piccole e grandi eccellenze da conoscere. Quest’anno con grande gioia abbiamo avuto il piacere di rincontrare Mauro Erro (Enogea, http://ilviandantebevitore.blogspot.it/, Enoteca Divino in Vigna, etc.), che nella passata edizione aveva raccontato la storia ed i vini di Luigi Tecce. In questa occasione Francesco lo ha invitato a parlare dei Campi Flegrei, con particolare focus, su un vitigno a bacca rossa poco noto, il Piedirosso, localmente Per ‘e palummo, per via della colorazione rossastra dei raspi, simili appunto alle zampe di piccioni e colombi.
Tra le prime scoperte che facciamo c’è il fatto che la denominazione Campi Flegrei, nata nel 1994 principalmente ad opera della Cantina Terra del Sole (oggi scomparsa) conta attualmente un centinaio di ettari, a fronte degli oltre 3000 di un passato, parlando di fine 1800, che vedeva una produzione florida, destinata in gran parte a soddisfare le richieste del centro partenopeo e in parte destinate all’esportazione, ad opera principalmente degli imbottigliatori napoletani. Allora Napoli era un centro culturale ed economico attivissimo, e anche il mondo del vino locale ne traeva beneficio. Poi l’arrivo della fillossera prima, dei due conflitti mondiali poi, affossò il lavoro nei campi, e nel secondo dopoguerra fu il dilagare della speculazione edilizia a dare il colpo di grazia al comparto agricolo.
Oggi nei Campi Flegrei i due terzi del parco vitato è occupato da Falanghina, e il restante da Piedirosso, varietà che rappresenta il secondo vitigno a bacca rossa più diffuso nell’intera Campania, dopo l’aglianico. Il Piedirosso è un vitigno poco produttivo, con rese tra 30 e 50 quintali per ettaro, allevato preferibilmente a pergola o a spalatore. È una pianta vigorosa, che sviluppa molto legno, e riesce a dilungarsi incredibilmente per svariati metri se le si lascia spazio e non si controlla debitamente in potatura. Caratteristica fondamentale dei Campi Flegrei sono i suoli vulcanici, dove le piante ancora oggi sono praticamente tutte a piede franco, anche perché i vari esperimenti su portainnesto non hanno dato buoni risultati. A questo si aggiunge il fatto che molti vigneti vantano età notevoli, con tante piante ottuagenarie o addirittura secolari, ed anche a questo sono dovute le basse rese, già influenzate dalle difficoltà intrinseche di queste uve, sensibili a oidio e peronospora, dalla buccia fine e quindi facilmente attaccabili, spesso difficili da maturare, specie nelle forme di allevamento a tralci molto lunghi, nelle quali i grappoli apicali rimangono molto distanti dal fusto, ricevendo così poco nutrimento. Alcune difficoltà vengono anche dalle precipitazioni, molto scarse durante l’anno, e concentrate solitamente solo nei mesi invernali, che da un lato concentrano i vini mettendo in stress le piante, ma in annate eccessivamente calde e siccitose mettono a rischio la vita stessa delle piante.
La particolarità dei Campi Flegrei è determinata come detto dai terreni, prettamente vulcanici, ricchi di potassio ma scarsi in altre fondamentali, che costringono a concimazioni mirate in alcuni casi di eccessive carenze. Un territorio che è però piuttosto vasto e nel quale si incontrano molteplici espressioni, dalle vigne sul mare, su sabbie bianche vulcaniche, come quelle di Vincenzo di Meo (La Sibilla) o su colline terrazzate nell’entroterra, o persino nelle vigne cittadine di Napoli (la seconda città europea più vitata dopo Vienna) come Vigna delle Volpi di Agnanum. Si parla di produttori piccoli, dispersi sul territorio, tanto da rappresentare quasi singolarmente specifici areali della stessa denominazione.
Per iniziare Mauro Erro ci ha portato anche due campioni di Falanghina dei Campi Flegrei, sottolineando la diversità tra il clone Flegreo e quello del Beneventano, più dotato in acidità e sostanza il secondo, più elegante e trasduttore di sapidità il primo.Falanghina dei Campi Flegrei Cruna del Lago 2012 – La Sibilla (da magnum). Un colore di oro lucente giovane e un naso che non ti aspetti, nordico, minerale e rieslingheggiante. Uno sbuffo di gomma bruciata apre la strada a un ventaglio di castagna, zenzero candito, pesca bianca, una nota evolutiva lieve di oliva e cappero. Pieno e sapido, trainato da finissima freschezza, con note di pepe bianco e cenere, lungo, elegantissimo nei ritorni di frutta (anche ananas maturo) in un finale asciutto e salato, di sasso. Bocca sottile, raffinata, che gioca di fioretto e rapisce per eleganza. Da segnarsi assolutamente. Vino sotto i 10€, tra l’altro.
Falanghina dei Campi Flegrei 2010 – Contrada Salandra. Profilo molto più dolce e aperto, i toni mostrano una maturità maggiore, che si riscontra anche nei profumi, di ananas, banana, cedro, foglie di tè e nocciola. In bocca si percepisce una lieve nota ridotta iniziale, ma si distende al palato con morbidezza, con una progressione lenta, un bell’equilibrio in una struttura più rotonda e piena del precedente, che chiude lungo con toni torbati e una lunga scia saporita. Altro vino da non farsi sfuggire, per chi ama i bianchi di maggior spessore, pur restando nel campo della grande eleganza, senza fronzoli e barocchismi.
Ci concentriamo quindi sul Piedirosso, vero protagonista della degustazione, volta a scoprire le diverse espressioni di un vino facile compagno della tavola, dalle spontanee note speziate, dal tannino piuttosto gentile e dalla struttura moderata, che ne consente una bevuta disinvolta e gradevole, capace di soddisfare senza stancare.
Piedirosso dei campi Flegrei 2012 Vigna Madre – La Sibilla. Le uve vengono da piante quasi centenarie, su meno di 1 ettaro, dove convivono 3 cloni diversi dei 7 originariamente ritrovati. In questa annata si scelse di usare legno per l’affinamento, che traspare nei toni olfattivi, tra il boisè ed il balsamico a completare un quadro fatto di amarena, carne, spezie fini ed erbe mediterranee. Davvero una bella complessità, che somma le doti del vitigno all’apporto del contenitore, che marca un po’ il palato con un finale scuro di radici e inchiostro, appena amaricante e con tannino che pulisce la bocca. 7 giorni di macerazione sulle bucce per la cronaca. Bella la sua dinamica, con ricordi di fiori secchi e una lieve nota riduttiva, la sua beva è frenata solo dall’integrazione ancora incompleta del legno. 82
Piedirosso dei Campi Flegrei 2013 Vigna Madre – La Sibilla. Solo acciaio per questa annata, e il colore trova piena trasparenza e vivacità. Al naso mostra anch’esso multiformi sfaccettature, con origano, pomodoro confìt, anguria, pepe verde lieve, e note balsamiche di alloro ed eucalipto. Ricco di sapore al palato, con tannino ancora vivo, che lascia una sensazione di velluto, mentre la bocca si ammanta di sale. Lungo al gusto su sensazioni di fiori, agrume e roccia vulcanica, quasi catramosa. Il primo tassello per mettere la mia preferenza sulle versioni in acciaio. 86
Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna delle volpi 2007 – Agnanum. Qui la scelta è di usare un tonneau, e solo uno perché sui 500 litri annui si attesta questa produzione, cui Raffaele Moccia affianca anche una versione in acciaio. Il legno viene usato per tre anni, e vedremo come il diverso stadio di utilizzo modifichi il risultato. Nei sentori palesa ricordi di fegato, accompagnato da sbuffi di alcol e una sottile vena di volatile che amplifica le sensazioni balsamiche di mentuccia, legno di cedro e lavanda. Qui si avverte un legno di primo passaggio, che lascia ricordi fumè, di tabacco e cenere, e nel finale di bocca ancora inchiostro e una sapidità crescente. Manca un po’ lo slancio, e il tannino che si avverte sembra più dal legno che dal vitigno. 82
Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna delle volpi 2010 – Agnanum. Meno mortificato al naso, libero di esprimersi su note chiare di ciliegia, fiore, caffè, spezia di cannella e scorze di agrume. Bello il finale di bocca dinamico e lungo, con bel frutto dai ritorni di melograno, tannino fine, morbido, e ancora sensazioni di resina di abete. Glu glu. 87
Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna delle volpi 2012 – Agnanum si mostra quasi più crudo, con note vegetali di geranio ed erbe mediterranee, cui si affianca un ricordo di carne cruda e arancia. Bocca ancora non risolta, con tannino vivo e un po’ asciugante, per una chiusura su orzo e torba. Molta carne cruda, arancia, tannino ok, un po legnoso, lavanda, note meditterranee ma balsamicita nordiche. Torna il torbato e l’orzo nel finale. 84
Si denotano in linea generale caratteri differenti non solo per il tipo di affinamento, ma anche per lo sviluppo delle uve, differente per via dei diversi microclimi, con maturazione attorno a metà settembre sul mare, quasi un mese dopo nell’entroterra.
Piedirosso dei Campi Flegrei 2010 – Contrada Salandra. Si cambia produttore, la zona (Pozzuoli) e ancora una volta lo stile. Qui Giuseppe Fortunato, nato come agricoltore e mutuato alla viticultura per tradizione familiare, va alla ricerca del frutto adottando macerazioni lunghe fino a 30 giorni, per poi affinare in solo acciaio. L’aspetto è dei più trasparenti incontrati, scarico nella carica cromatica ma vivace nei toni rubino giovani. Meno ampio il bouquet forse, più terroso, con ciliegia ed idee di rosmarino, basilico ed erba limoncella. Convincente in bocca, dinamico e succoso, tannino praticamente assente, ma procede a lungo nei ricordi, permeando il palato di un leggero velo fumè, quasi da pietra focaia. In assoluto tra i miei preferiti. 87
Piedirosso dei Campi Flegrei 2012 – Contrada Salandra. Anche qui in evidenza il frutto rosso, ma anche una nota dolce di castagna, con scie floreali e balsamiche fresche. La bocca è tirata dall’acidità, il tannino graffia ancora un po’ e asciuga il palato, lasciando ricordi di fiore e leggero tabacco. 83+
Mauro e Francesco vogliono lasciarci un bel panorama di quello che il piedirosso sa dare su suoli vulcanici, e ce ne offrono altri due fuori denominazione, il primo dal vulcano spento di Roccamonfina, il secondo dalle pendici del Vesuvio.
Roccamonfina Igt Lucno 2013 – I Cacciagalli. Nel territorio casertano il giovane Mario Basco sta facendo grandi progressi, lavorando le sue vigne secondo i principi della biodinamica e adattando in cantina l’uso di anfore in terracotta non trattata, che concedono una microssigenazione al vino simile a quella di un contenitore di legno, ma senza il suo apporto di terziari. Per il suo piedirosso fa un mese di macerazione sulle bucce, e 7 mesi totali in anfora, da cui esce un bellissimo colore dai bagliori purpurei, piuttosto trasparente. Nei profumi spiccano pepe nero, mela rossa, liquirizia, caramella alla mora e una sensazione lieve di gomma. La bocca gioisce, golosa di amarena e screziata di caffè, con lunghe sensazioni di erbe aromatiche, mentre il sorso scivola via piacevolissimo. 85+
Frupa, Piedirosso Igt 2011 – Azienda Vinicola Sorrentino. Le vigne e la cantina albergano a Boscotrecase, ai piedi del cono del Vesuvio, in fronte al Mar Tirreno e in piena zona archeologica, a pochi passi da Pompei. In questo caso si prova a modulare il carattere del piedirosso attraverso un affinamento di 12 mesi in barrique francesi, a mio avviso peccando un po’ in eccesso dato che i caratteri più evidenti sono proprio quelli di spezia dolce di vaniglia che avvolgono il naso, poi seguiti da note erbacee, di fiore di rosmarino e ciliegia. Quella che degustiamo era la prima annata, e l’auspicio è che abbia alleggerito la mano con le seguenti. A conferma di questa sorta di personale dispiacere una bocca dal tannino denso, sottesa da una viva acidità, per un risultato ancora giovane con gran mordente al palato, e fiore e frutto combattono per mostrarsi, sempre celati dietro a una coltre di “legno”, ancora da assorbire al meglio. La sostanza c’è ed è bella, avrei voluto apprezzarla più svestita. 82-
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