C'è chi controbatte e scrive che per decisioni come quelle relative all'accordo sarebbe servita un'assunzione collettiva di responsabilità e non un'operazione di vertice. Altri parlano di una deriva di cui sarebbe stato responsabile innanzitutto Bruno Trentin e conclude: "attenzione agli ammutinamenti!". Pareri alimentati anche da voci esterne. C'è chi cita il documento di Bertinotti-Cofferati (su opposte sponde ai tempi della supposta “deriva” trentiniana). Altri l'intervista di Gallino al Manifesto. O l'articolo invece favorevole di Adriano Serafino sul sito Sindacalmente. A me capita di riprendere un'analisi di Piergiovanni Alleva (sul sito diirittisocialiecittadinanza). Alleva, giuslavorista non accomodante, espone giudizi positivi (l'accordo dimostra il fallimento delle intese separate, è un passo avanti sulla rappresentatività, "una critica distruttiva e aprioristica non sembra meritata”). Conclude, però, sostenendo che, data l'assenza della scelta referendaria, si apre "un bivio tra una versione autoritaria e addirittura repressiva, ed una versione democratica".
Se le cose stanno così, l’unica sarebbe, penso, far leva sugli aspetti positivi. Come quelli sottolineati dal Direttivo Cgil: “Si coinvolgano i lavoratori, In caso di rilevanti divergenze interne alle delegazioni trattanti, come aveva proposto la Cgil con il direttivo del 15 gennaio 2011, allo scopo di prevenire conclusioni separate della trattativa". Non è meglio dei referendum che permettono di dire solo un si o un no e spesso prevalgono i si, sotto la spinta del ricatto padronale, come a Grugliasco, Mirafiori,Pomigliano? E’ quella che un tempo si chiamava “democrazia di mandato”.
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