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"Canale Mussolini" di Antonio Pennacchi

Creato il 10 settembre 2010 da Barbaragreggio
Questa recensione è apparsa su Sulromanzo. “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi (ed. Mondadori) – Premio Strega 2010. La narrazione ha inizio alla fine dell’Ottocento, con il nonno Peruzzi che lascia il carretto e si fa contadino per amore di una moglie risoluta, che lo amerà fino all’ultimo giorno con la stessa, indistruttibile, intensità. La fame cresce di pari passo con la famiglia, arrivano i maschi Temistocle, Pericle, Iseo, Treves, la femmina – velenosa – Bìssolata, a cui si vanno ad aggiungere negli anni molti altri tra fratelli e sorelle. La miseria logora gli animi, mettendo a dura prova la pazienza dei Peruzzi. Saranno l’incombere inatteso della Quota 90 e l’inganno dei conti Zorzi Vila a spingerli nel Lazio. Sorte comune a migliaia di altre famiglie – intere stirpi di veneti, emiliani e friulani – che si caleranno in una terra sconosciuta fatta di paludi appena bonificate ed eucalipti. L’arrivo a Littoria (attuale Latina) vede i Peruzzi combattere senza misura per la difesa dei loro due poderi, ricevuti grazie alla partecipazione di Temistocle alla prima guerra mondiale. Seguono avventure rocambolesche che intrecciano la quotidianità dei Peruzzi alle pagine della storia. Il Duce, capo di un Fascio nascente in via di espansione, frequenta il nonno, il quale tuttavia sembra essere interessato più a come l’uomo guarda il fondoschiena della moglie che alle sue idee politiche. I figli, al contrario, scendono in campo attivamente, servendo una causa inizialmente forte e ordinata che con il tempo apparirà sempre più fragile e traballante. Nessun giudizio dell’autore interrompe la narrazione, né altera i resoconti storici di un periodo doloroso come quello a cavallo tra le due guerre. La tragicità dei ricordi familiari, con i morti al fronte e le fughe dal nemico, è intervallata da aneddoti coloriti e vivaci. L’irruenza del sangue Peruzzi scandisce il ritmo di azioni e parole. Nonostante gli screzi, che sempre accompagnano la convivenza delle persone, la famiglia si fa unita nei momenti di difficoltà, raccogliendo le forze e lottando per proteggersi l’un l’altro. Gli iniziali contrasti con i laziali già presenti nell’Agro Pontino si assopiscono con il passare degli anni, quando i matrimoni misti – tra cispadani e marocchini – mescolano sangue e usanze. La ricostruzione della bonifica delle paludi pontine è minuziosa, con abbondanti spiegazioni tecniche che, tuttavia, non appesantiscono la lettura. La guerra è vissuta in prima persona da molti dei Peruzzi, partiti a coppie per diverse destinazioni. L’Italia appare come un paese vecchio, immobile, mentre tutto attorno il mondo corre e cambia. La luce dell’aquila che volò su Roma e sussurrò di un nuovo Impero, si spegne in Russia, dove i nostri vanno a morire di gelo. Le nazioni si danno battaglia, dai cieli cadono bombe e lungo le strade si nascondono i nemici, pronti a sparare. La vita, però, continua nel podere dei Peruzzi. Il manto nero, sogno ricorrente della nonna, troverà soluzione tra i colpi di mitraglia, esplosi contro un albero evanescente. L’Armida, moglie del valoroso Pericle, diviene con il tempo il fulcro di una storia nella storia. Vittima del suo amore, di un eccesso di passione che la porterà a divenire un’onta per i Peruzzi, la più bella tra le donne anima la parte finale di un romanzo mai monocorde. La passione, solo accennata nel delineare gli altri personaggi, esplode dirompente tra il ronzio delle api e lo scroscio delle acque del canale. Barbara Greggio

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