Magazine Diario personale

Cani da polpaccio

Da Kisciotte @Kisciotte_Dixit
Non ricordo la presenza di mio fratello nella scena, quindi o era appena nato e non in grado di starmi dietro o ancora vivevo in un eden senza rompicoglioni. Ne deduco che io avrò avuto circa otto anni. Ogni estate trascorrevamo i mesi estivi nella casa di campagna dei nonni materni, alle sorgenti del Livenza. Quando arrivavamo, aprendo la portiera della simca grigia, la mia prima aspettativa era ricevere le feste di Cita.
Cita era la cagnolina di mio zio Doro. L’ho sempre visto al lavoro nei campi con Cita incollata a lui. Mi raccontava che in una sera di pioggia aveva sentito abbaiare insistentemente al cancello del nostro appezzamento di terra, era andato a controllare e si era trovato davanti un cucciolotto fradicio. Mio zio non parlava molto, si teneva dentro come stipate sotto un fienile le cose che pensava, anche le emozioni, per paura che prendessero l’acqua e si marcissero a metterle fuori. Abitava in una casa ottocento metri sopra la nostra, col fratello e la sorella, e in nostra assenza ci teneva aperta la casa, per evitare che bisce e vipere ci facessero il nido sotto i letti. Intanto approfittava delle pur minime comodità che nella “casa alta” non aveva: televisione, bombola del gas, bagno con la fiamma dell’acqua calda, ecc..
Cita era una bastardina, ma appena lavata e asciugata si era rivelata di una bellezza da fare invidia a qualunque pedigree altolocato: pelo medio, bionda, nasino squisito e soprattutto una vivacità, una mansuetudine, un’intelligenza che nemmeno a cercarle negli ovetti kinder. Oserei dire perfino… riflessiva, quando mi fissava profondamente.Su internet ho cercato un po’ e ho trovato questa foto, che le somiglia.Stava dieci mesi senza vedermi, ma appena la portiera dell’auto si apriva, era tutta una festa. Dal primo all’ultimo giorno di vacanza, le mie giornate erano scandite da lei; che poi ci fossero le montagne dietro la casa o che il sole sorgesse o che i grilli cantassero, erano particolari irrilevanti.Con Cita andavo d’accordissimo, mio zio le aveva voluto bene da subito, e siccome voleva molto bene anche a me, appena eravamo soli su nei prati della sua casa, diventava ciarliero e ci raccontava delle costellazioni in cielo, della poiana che volteggiava in caccia, di quando aveva addomesticato un tasso, del cervo che scendeva a mangiargli l’orto, di quella volta che la mucca gli era scappata via per il troi (sentiero) e l’avevano riacciuffata dopo chilometri.Io e Cita stavamo lì accucciati, lingua fuori penzoloni, ad ascoltare.
Accadde che Cita diventò una signorina, e un’estate la trovai paffutella e incinta. A Milano in autunno arrivò la notizia che era diventata mamma di Lola. Il cugino di mia mamma d’inverno era andato su per sciare (perché dalla nostra casa si saliva in auto alle piste del Piancavallo) e ci riferì che Lola era una meraviglia pure lei. Solo che era diversamente splendida: una volpe in miniatura, nel colore e nelle forme, che come la mamma si sarebbe rivelata di ottimo carattere, dolce e intelligente.L’estate successiva arrivammo in vacanza, ma di Lola nessuna traccia, perché mio zio l’aveva abituata a stare nella casa in alto, a far compagnia alla zia Andoleta e allo zio Ernesto. Non voleva che andasse troppo in giro, che da basso c’era la strada con le macchine.
Beh, l’indomani io presi e andai su per vederla. La casa dei miei zii era appartata in mezzo al bosco sul crinale, e non pensavo al fatto che Lola, fatti salvi i miei zii, era cresciuta senza aver visto nessun altro essere umano. I miei zii erano a fare fieno in fondo ai campi e appena io mi affacciai sul cortile della casa, mi si avventò addosso una furia rossa. Ricordo come fosse ora che mi si fece incontro attraverso il prato davanti alla casa abbaiando e ringhiando, con una determinazione che non era solo di guardia. Era totalmente selvatica! Le avevo invaso il territorio. Non veniva per intimorirmi e scacciarmi, ma per mordermi mostrando i denti cattiva.Io non sapendo che fare continuai ad avanzare piano e rigido dalla paura in direzione dei campi. Intanto Lola mi abbaiava e mi attaccava i polpacci. Avevo una paura fottuta e sono certo che, interpretando il mio avanzare rigido come strafottente indifferenza, da un momento all’altro mi avrebbe morso.
Se non che all’improvviso, sbucando da non so dove, richiamata dal frastuono, Cita si avventa sulla figlia; e ci si azzuffa. Vedo che la placca, la immobilizza tenendola con i denti per la collottola, senza farle male. Appena Lola dà segni di resa, Cita scatta verso di me e si mette a leccarmi i polpacci (cosa che non aveva mai fatto prima). Lola cerca di rifarsi sotto per aggredirmi e Cita di nuovo a saltarle addosso, fregandosene che fosse sua figlia, a domarla e subito di nuovo sui miei polpacci a leccarmi.Insomma, io me la ricorderò sempre quella scena. Cita che aggrediva la figlia per difendermi e subito veniva a leccarmi i polpacci per farle capire che ero un amico. Ed è andata avanti così, incessantemente, per tutti i duecento metri che ci separavano dallo zio Doro. Con me che avanzavo pianissimo, tra lo spavento e il timore di provocare ancor più l’istinto selvatico di Lola se solo avessi aumentato l’andatura, accennando una corsa.Fu qualcosa di fantastico, un delicato metodo d'insegnamento; quanto di meglio potesse fare una cagnetta, in mancanza di parole.Una volta arrivati da mio zio Doro, che insieme allo zio Ernesto stava cavando patate da una cuiera (filare d'orto) sotto una murada (contrafforte di pietre), Cita ha continuato la sua commovente opera educativa.È andata avanti per tutto il tempo un po’ giocando con sua figlia, un po’ venendo tra le mie gambe sul rival (pendio), dove me ne stavo seduto per riprendermi dallo spavento, a farsi coccolare. Per far capire a Lola che non ero una minaccia e invitarla ad avvicinarsi a me.
Quando sento nominare l'intelligenza riferita a un cane, io penso a quel momento.
Inutile dire che anche con Lola, dopo qualche giorno, divenni un tutt’uno. E fu esilarante la prima volta che la portammo nella nostra casa da basso. Vederla pattinare e spanciare sulle piastrelle della cucina come fosse sul ghiaccio, non essendo mai stata su superfici lisce, fu una scena esilarante. Ma fece presto di necessità virtù, per venirmi a mangiare dalla mano sotto il tavolo, ogni volta che di nascosto le passavo i bocconi.E ogni volta era una leccata di gratitudine.Ai polpacci penzoloni.
K.
Questo post è dedicato a una bimba pelosa
Fuori uno!

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