Non succede molto in questo libro, e dopo aver letto “Espiazione”, il confronto è magro. Tuttavia, McEwan ha una scrittura così essenziale che in poche righe ti mette un personaggio davanti come se gli fossi andato addosso mentre camminavi sul marciapiede guardando da un’altra parte.
I cani neri sono quelli che June, la suocera della voce narrante, ha incontrato in una sperduta stradina di montagna in gioventù e che l’hanno costretta a rivedere tutte le sue convinzioni. C’è un continuo parallelismo tra i cani neri personali di June (o di ognuno di noi) e i “cani neri” del Novecento, impersonati dai forni crematori e dalle guerre.
Ricorre inoltre spesso la contrapposizione tra intellettualismo e emotività, tra impegno politico e meditazione solitaria, tra spirituale e materiale, e la presentazione dei dualismi ci vien passata sottobanco tramite i due personaggi, June, che si ritira in una casetta isolata nel sud della Francia, e suo marito Bernard, intellettuale e razionale.
Una coppia moderna, che vive separata eppure si vuol bene perché si completa a vicenda.
Insomma, sebbene non mi sia piaciuto come “Espiazione”, anche questo romanzo ha molto da dire.