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Cannes 2014. LOST RIVER (recensione): ambiziosissimo esordio alla regia di Ryan Gosling

Creato il 22 maggio 2014 da Luigilocatelli

ee6d6e4e219106eb0d5aa5bca554c5f5Lost River, un film  di Ryan Gosling. Con Christina Hendricks, Saoirse Ronan, Matt Smith, Iain De Caestecker, Eva Mendes, Barbara Steele, Reda Kateb. Presentato a Un certain regard.

Gosling sul set

Gosling sul set

Chi si aspettava un film piuttosto mainstream, magari un action, è rimasto deluso. L’esordio alla regia di Ryan Gosling (che non  compare come attore) ha sorpreso tutti per la sua assoluta autorialità, qualcosa tra Refn, Coppola e Lynch. Cronache del degrado da una periferia estrema, tra case che cadono in rovina, incendi dolosi, povertà dilagante. Ma Gosling non fa un film denuncia e opta per un cinema quasi onirico. A Cannes è stato accolto male, ma forse è nato un autore. Forse. Voto 6 e mezzo

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In Salle Debussy a sostenere Ryan Gosling e il suo primo film da regista c’erano mercoledì seraanche Wim Wenders e Nicolas Wining Refn, l’autore che l’ha portato proprio qui a Cannes negli anni scorsi con Drive e Solo Dio perdona. D’altra parte Ryan – che Lost River oltre che averlo diretto lo ha anche scritto e dunque ne è responsabile in toto – ha citato tra le sue fonti proprio Refn, oltre che quei film di degrado suburbano e vite giovanili sempre sul rischio di deteriorarsi come American Graffiti e I ragazzi della 56esima strada di Coppola. Ma a me è sembrato che ci sia anche molto David Lynch, magari come riferimento inconscio, con le sue atmosfere sospese tra reale e delirante, anche per via di una cinematography lisergica, di colori pieni e mostruosamente pastellati e malati curata da Benoît Debie, così bravo da doversi considerare vero e proprio coautore. Dalle parti di una città dismessa tipo Detroit, in una terra desolata tra periferia urbana e campagna inselvatichita, vive il ragazzo Bones con la madre single Billy e il fratelino di tre anni. Case un tempo belle e dignitose e ora in rovina, arrugginite, degradate. Asfalto divorato dalle male piante. Non è rimasto quasi nessuno da quelle parti, tra i pochi una ragazza che vive con una nonna matta che non parla da decenni (attenzione, è l’icona Barbara Steele, sì, la signora degli orrori di Mario Bava e Riccardo Freda, la pazzerella felliniana di Otto e mezzo, e già questo merita la visione del film). Bones cerca di raccattare quaclhe dollaro recuperando ferro e altro dalle case abandonate, dalle auto distrutte, la madre non ha più soldi per pagarsi il mutuo ed è costretta ad accettare un nuovo lavoro in uno strano horror club con spettacoli di grand guignolo per spettatori al limite del pervertito. Intanto, il truce Bull con la sua banda cerca di impadronirsi della zona e dei suoi poveri traffici aggredendo, pestando, intimidendo, minacciando, e appiccando incendi che illuminano le notti già digraziate del posto. Tra Bones e Bull si scatenerà la guerra per la supremazia del territorio, e non solo per quello. C’è una città sommersa da un bacinoartificiale in cui si nasconde un oscuro sortilegio, che è forse secondo una leggenda metropolitana la causa della decadenza di Lost River. Ryan Gosling realizza un film per niente mainstream, ambizioso e pure pretenzioso, destinato a piacere a pochi per il suo smaccato narcisismo autoriale, e a scontentare molti, anche i suoi fans e soprattutto le sue fans. Ha coraggio, astenendosi da ogni estetica del carino, da ogni piacioneria, il che per una star come lui è un bel rischio. Racconta più per immagini e per visioni, per associazioni libere o coatte, lynchianamente appunto, e trascura un po’ troppo la narrazione e la costruzione di una storia coerente perferendo isolare monadi e frammenti, Ma azzecca sequenze molto belle. Quelle fiamme nella notte, quell’ingresso demoniaco del club degli orrori (quasi una citazione di Suspiria di Dario Argento), l’apparizione della diva del grand macabre Eva Mendes, i lampioni della città sommersa affioranti dalle acque che di colpo si riccendono. Si lascia affascinare da paesagi di rovine, di una modernità e di una civiltà industriale ormai condannate dalla crisi economica, e ce ne comunica tutto lo splendore malato, contaminato. Non so se sia nato un autore, ma questo film, certo piuttosto antiatico per un’ambizione che sfiora l’arroganza, non è da trascurare. Anche se alla fine della poriezione cui ho assistito di applausi ne ha riceveuti pochi, e i buuh sono stati molti di più.


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