Girato nei modi del cinema indipendente, con un realismo che sfiora e mima il cinéma-vérité, con l’uso ovviamente molto mobile e prensile della camera a mano (o a spalla, che è lo stesso) a intensificare il senso di immediatezza, con attori-star che si fingono benissimo gente qualunque, si presenta all’inizio come un mystery, un puzzle dalle molte zone oscure di cui lo spettatore non afferra il disegno. Assistiamo per un bel po’ a frammenti disgiunti delle vite di Eleanor Rigby (chiamata così dai genitori fanatici beatlesiani, che son poi William Hurt e Isabelle Huppert, bravissimi, soprattutto il primo, semplicemente da Oscar) e del marito Connor. Son separati, di una separazione che si intuisce dolorosa e piena, specie da parte di lei, di rancori. Eleanor Rigby – è il nome completo – è una donna devastata, la vediamo in una delle prime scene tentare il suicidio buttandosi da un ponte. Si salverà, ma la malinconia, una malinconia tenace e vischiosa, non smette di accompagnarla. Se n’è tornata a vivere dai genitori, una coppia intelettuale molto openminded che cerca come può di lenire la sua sofferenza. Intanto vediamo Connor, il marito lasciato e da lei ora evitato con tutte le forze, lavorare nel suo ristorante e intanto pensare ossessivamente a Eleanor, solo a Eleanor. La cerca, e quando riesce a intuire dove abiti, comincia a seguirla, a pedinarla, sfiorando lo stalking. Non sappiamo, non capiamo che cosa abbia distrutto la loro vita insieme, non capiamo quali siano le colpe che Eleanor Rigby rinfaccia a Connor, ne vediamo solo le pesanti ricadute su tutte e due. Che continuano a volersi e desiderarsi, ma che non possono non torturarsi e farsi del male (ecco l’oscuro côté bergmaniano-strindberghiano). Poi naturalmente sapremo, ed è una mazzata (ma non rivelo niente, ci mancherebbe. Butto lì solo un indizio: Alabama Monroe). Con un finale magnificamente pensato e girato, una gran scena notturna e ambigua che ci fa rimpiangere il risultato che TDOER avrebbe potuto raggiungere se si fosse sempre mantenuto all’altezza dei suoi momenti migliori. Prodotto comunque di indubbia qualità che, se imboccasse in autunno alla sua uscita nei cinema americani la strada giusta (ottime reviews e buoni incassi), potrebbe anche avere parecchie chance nella awards season. Film eminentemente di attori. Jessica Chastain si conferma una delle miglior e più profonde attrici della sua generazioni, e qui a tratti somiglia in modo impressionante alla Monica Vitti della stagione antonioniana. James McAvoy disegna un maschio tormentato e come nullificato dalla potenza (e imperscrutabilità) del femminile, un carattere assai in linea con i tempi. Quuando arriverà in Italia (il film, intendo), preparate i fazzoletti, che alla fine si piange.
Cannes 2014: THE DISAPPEARANCE OF ELEANOR RIGBY (THEM) – recensione
Creato il 08 giugno 2014 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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