Due anni dopo lo splendido La grande bellezza, Paolo Sorrentino torna a Cannes con il suo ultimo film: Youth - La giovinezza, attesissimo grazie a un cast internazionale e a un battage pubblicitario che ha contribuito a fare crescere esponenzialmente le attese. Fred Ballinger ( Michael Caine), ottantenne compositore e direttore d'orchestra, si rifugia presso un albergo in Svizzera, condividendo riposo e riflessioni con il coetaneo Mick Boyle ( Harvey Keitel), regista impegnato a dirigere un'ultima pellicola dalle velleità testamentarie. Tra incontri con una varia umanità, drammi famigliari e presagi di un tramonto imminente, le ombre del passato emergeranno prepotenti, costringendo l'anziano Fred a fare i conti con i propri fantasmi.
Sorrentino si conferma tecnico da manuale, dimostrandosi fedele a un'idea di cinema prettamente estetica e confezionando un'opera di grande impatto visivo, contraddistinta da geometrie essenziali e rigorose che scandiscono la narrazione. Oltre a ciò, il regista tenta di tratteggiare un sottotesto dalle smisurate ambizioni esistenziali: la vecchiaia come eterno rimpianto delle occasioni perdute e come specchio della memoria, l'emozione come cardine unico dell'esistenza, l'arte che si interseca alla vita elevandosi a fulcro di una nuova e decisiva consapevolezza. Ma questa volta, la delusione è cocente: tematiche affascinanti solo sulla carta, che non riescono a trovare un'adeguata realizzazione sul grande schermo.
La sovrabbondanza di stereotipi, ancor più fastidiosi perché solo apparentemente (e furbescamente) negati, appesantisce sviluppo e caratterizzazioni, veicolando un senso di retorica che si rivela il limite maggiore del film: la sceneggiatura arranca tra tempi morti e didascalismi, i dialoghi risultano banali e privi di spessore, il senso ultimo della vicenda (l'attesa della morte e le contraddizioni strutturalmente connaturate alla quotidianità) annacquato da un finale inutilmente conciliatorio.
Al settimo lungometraggio, Sorrentino sembra essersi arreso al manierismo e all'autoreferenzialità, rimanendo in superficie e affidandosi totalmente alle interpretazioni (notevoli) di un cast da antologia (ottimo Paul Dano nel ruolo dell'attore Jimmy Tree), con menzione d'onore per il funzionale e dolente Michael Caine (che supera in corsa il più impacciato Harvey Keitel). Molta cura formale e poca anima: restano, a mo' di consolazione, il cameo di Jane Fonda (la sfatta Brenda Morel) e la splendida fotografia dell'habitué Luca Bigazzi.
Voto: 2/4