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Cannes 67: “Leviathan” di (Premio per la Miglior Sceneggiatura)

Creato il 26 maggio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

leviathan

Anno: 2014

Durata: 130′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Russia

Regia: Andrei Zvyagintsev

In una piccola cittadina nel nord della Russia situata sul Mare di Barents, Kolia si scontra con il potere locale. Il sindaco vuole impossessarsi della terra su cui è localizzata la casa dove Kolia conduce una vita frugale con la giovane moglie Lilya e il figlio Roma, nato dal precedente matrimonio. Per difendersi, Kolia ricorre all’aiuto del determinato avvocato Dmitri, suo amico di vecchia data. Inutile dire che il sindaco ricorrerà a tutti mezzi, alla coercizione fisica e psicologica per accaparrarsi la posta in gioco.

A Cannes, il Leviathan scritto a quattro mani da Oleg Negin e Andrey Zvyagintsev ha ricevuto il Premio alla sceneggiatura, una scrittura complessa sulla progressiva degenerazione delle tensioni tra le parti diretta lentamente e inesorabilmente verso il compimento di un sopruso per mano dello Stato. Il Leviathan del titolo richiama la creatura mostruosa nominata dal filosofo Thomas Hobbes per identificare la rinuncia (di parte) della libertà individuale in nome di un bene più grande, la società, con il fine di assicurarsi sicurezza sociale e di evitare “la guerra di tutti contro tutti”. Ma il Leviathan secondo le Sacre Scritture è il mostro biblico per eccellenza, è Satana. Azzardando un’ipotesi basata sull’ambiguità semantica del nome “Leviathan”, non sarebbe del tutto folle sovrapporre lo Stato a Satana e spazzare via il dubbio della dicotomia. Per Zvyagintsev, “così come tutti noi nasciamo marchiati dal peccato originale, allo stesso modo nasciamo tutti in uno ‘stato’. Il potere spirituale dello stato sull’uomo non conosce limiti”. Leviathan è una delle tante storie eleggibili per raccontare lo status quo in Russia e, cinematograficamente parlando, è tante cose. La condizione dell’essere umano è al centro del discorso: l’uomo dilaniato dal conflitto, diviso tra il sé e la comunità, tra libertà e asservimento, tra giustizia morale e giustizia legale. Va da sé che la giustizia dello stato tradisca spesso il patto con il cittadino macchiandosi di corruzione e omissione di tutela. Nella scena del tribunale, Zvyagintsev ci obbliga ad ascoltare l’interminabile sentenza pronunciata come fosse una filastrocca e senza mai prendere fiato dal giudice. È il potere giudiziario a tuonare inumano su Kolia per sopraffarlo. Il potere è declinato in varie forme ma ha il risultato comune di soggiogare l’individuo, in questo caso un uomo umile colpevole di aver costruito una casa su un terreno appetitoso per il politicanti locali.

Da un punto di vista strettamente cinematografico, Leviathan mescola tanti ingredienti di generi diversi, tant’è che inquadrarlo in un’unica categoria risulta fuorviante e limitante. C’è tanto black humor, ma definirlo commedia nera non si può; il delitto e il mistero intorno ad esso ne farebbero un noir, ma l’assassinio è ‘solo’ l’esecuzione violenta del potere sul singolo; potrebbe essere un political thriller, ma l’intervento della politica si inscrive in un discorso più ampio e filosofico. Certo è che la contestualizzazione in terra russa è condizione necessaria e sufficiente all’evolversi degli eventi. La Russia, con la sua spiritualità, il suo tormentoso rapporto con il sacro, con la messa in discussione della giustezza del potere è la protagonista silenziosa e coercitiva della storia.

Personaggi primari e secondari hanno tutti la stessa attenzione. Ad eccezione delle figure rappresentanti la Chiesa Ortodossa e la politica/potere, che hanno una connotazione nettamente negativa, ognuno vive a modo suo e secondo le circostanze il conflitto tra bene e male. Kolia è l’eroe tragico, il ‘figlio di Dio’ capace di risolvere nel perdono le offese ricevute ma impotente dinanzi al destino di oppressione deciso per lui dagli uomini.

Il film russo in questione, degno membro di una geografia cinematografica socio-politicamente intricata e greve, è un’allegoria desolata della condizione umana davvero coraggiosa.


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