- Anno: 2015
- Durata: 103'
- Genere: Drammatico
- Nazionalita: India
- Regia: Neeraj Ghaywan
Vincitore del Premio Fipresci della critica internazionale – per la sezione Un Certain Regard – e del Premio dell’avvenire in ex aequo con Nahid di Ida Panahandeh (Iran), sempre per Un Certain Regard, il film indiano indipendente Masaan di Neeraj Ghaywan racconta una bella e tragica storia di ineguaglianze, sociali e di genere, nell’India contemporanea dove, sembra dire il regista, al di là di utilitaristiche apparenze e di uno sviluppo complessivo a pieno titolo riconosciuto sui mercati internazionali, sono ancora all’ordine del giorno forti questioni legate alla casta di appartenenza, enormi difficoltà di emancipazione per le donne, grossi ostacoli per uomini e donne di frequentare e sposare chi vogliono, ampia corruzione ed abusi della polizia, in generale diffusa ipocrisia sociale.
Nel film, girato nei magnifici scenari naturali di Varanasi (Benares), la città santa, dove buona parte della vita e della morte si svolge sui ghat - le rampe discendenti al fiume Gange, con le abluzioni sacre e le pire delle cremazioni che bruciano costantemente – i protagonisti sono personaggi di tutte le caste, le cui vicende esistenziali s’intrecciano in uno script ben equilibrato e denso di pathos: giovani che vogliono vivere, sperimentare ed amare liberamente, hanno studiato, si scambiano messaggi, tutto sembra possibile ma non lo è; adulti che credono di conoscere il mondo e si adeguano a situazioni anacronistiche, rimpiangendo gli errori passati; forze dell’ordine violente, che ricattano e minacciano la gente comune con odiose ed assurde denunce per guadagnare illegalmente; bambini orfani tirati su dalla comunità che vivono di espedienti. Le vite di Deepack, un giovane dei quartieri poveri laureatosi in ingegneria, Devi, una ragazza confusa e schiacciata dal senso di colpa per il suicidio di un giovane a seguito della scoperta pubblica della loro relazione, Pathak, un padre vittima della corruzione della polizia, e Jhonta, un ragazzino in cerca di una famiglia, si incontreranno, mentre il fiume continua a splendere di albe e tramonti mozzafiato, preludio per tutti ad un domani migliore, nel travaglio fra modernità e tradizione.
“Per me questo film - afferma il regista, parlando della sua opera prima - è una sorta di storia iniziatica, nella quale il dolore e la morte, che toccano tutti i personaggi, possono trasformarsi in qualcosa di positivo e non necessariamente condurre alla disperazione assoluta. D’altronde Benares è conosciuta come ‘la città della morte’ e si dice che, chi muore laggiù, troverà la salvezza”.
Elisabetta Colla