Tante volte, senza la minima vergogna intellettuale, ho dichiarato il mio folle amore per la musica neomelodica napoletana, per il repertorio sendimendale che spopola in terra di Gomorra, e per il Gigi D’Alessio early years, quello prima dello sdoganamento sanremese e delle canzoni in lingua italiana, il cantore di straordinari quadretti tutti partenopei quali “Fotomodelle un po’ povere”, “Un mese in ritardo”, “Sposa ragazzina” o “Perché non lasci tuo marito”.
Altrettante volte, invece, la vergogna ha avuto la meglio (per fortuna) e ha bloccato le mie emozioni sempre debordanti; così sono riuscito a trattenermi dal vomitare sul blog lunghi ed inutili sproloqui a proposito della politica italiana, con troppo facili lamentele su Berlusconi dalle quali, oramai, tutto può venir fuori tranne quegli interessanti guizzi di pensiero originale e bella forma che sempre si devono pretendere da chi scrive.
Mi si conceda però, oggi, di infilare una monetina nel mio juke box personale e di gettonare “Ll'e Vulute Tu”, una vecchia hit di D’Alessio inclusa nel suo primo album "Lasciatemi cantare" (Zeus Records, 1992), una canzone mai andata oltre il territorio di Caserta ma perfetta come ultima serenata per il Cavaliere.
“Na muntagna ‘e lacrime int’all’uocchie
piglia ‘o posto de’ parole”
Ritengo che i napoletani e l’Italia tutta debbano mostrare riconoscenza a D’Alessio che, prima rifiutandosi di salire sul palco con Letizia Moratti e di duettare con Matteo Salvini, e poi andando in scena per Gianni Lettieri e cantando insieme a Silvio Berlusconi, ha dato il colpo di grazia ai già agonizzanti candidati-sindaco del centrodestra.
Come mi ha scritto ieri sera via sms un amico di Via Toledo, Gigi D’Alessio è il vero ago della bilancia, e se cantasse per Barack Obama garantirebbe la presidenza degli Stati Uniti a quella squinternata di Sarah Palin.
Ll’e vulute tu che pozz’ fa,
nun ce l’aggiu fatt’ a me fermà,
e fa finta che era una carezza fatta
solo un po’ più forte primma ‘e te putè abbraccià
Così, per me, oggi, mettere nuovamente da parte la vergogna e ripescare una canzone d’annata (e dannata) di Giggì è un piccolo, banale ma sincero modo per partecipare alla festa di una città che adoro e che, chissà, magari adesso ha davvero una speranza di poter tornare a cantare.
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