E questa ostensione eterna di
un canto di parole che appare sempre improvvisa pur nella sua estrema volontà di raccontare la necessità deiettiva della perpetuità dell’essere. Apparizione quasi
liturgica, messa cantata di luoghi che stuprano parole, opere e omissioni di
soggetti che ammantano i loro scheletri di una pelle scuoiata che mostra
profonde ulcerazioni che sono dell’anima e del corpo nel contempo. Suono profondo,
mistico, terminale. Vibrazione che emerge da un sottotraccia senza fine proprio
perché una fine ha, ed è una fine destinata alla ripetizione reiterata e
dolente, pur nella sua intrinseca attrazione marchiata a fuoco dal segno di un
brivido di sensualità, come la pena inflitta da un demone che mostra sorrisi
atroci, inchiavardato nell’eternità di un inferno che si appalesa come una derisione
dell’umanità tutta. Pareti scarnificate, offuscate da lugubri sfumature che
fanno da scenografia al divenire caparbio di sensazioni vitali e mortali che
proprio nella loro reciproca penetrazione ingravidano l’universo. Massa di
storie che scardina le porte di un continuum narrativo che esibisce i propri
visceri allo scopo di giungere alla stupefazione di quello stesso continuum e di tutti quelli che potranno da esso nascere, nella creazione finale
di una nuova corporeità delle anime attraverso la parola. Parola che si fa strumento, ma che diviene anche protagonista che si erge nell'assoluto, che è descrizione, ma anche dimostrazione quasi
cartesiana del caos. La materia primordiale muta se stessa in vita palpitante e nasce e muore e
rinasce e muore ancora nella negazione e nella affermazione. Luogo che abita la
perfettissima zona mediana tra il cosmo e l’atomo, tra la vita e la morte, Canti del caos è l’inno alla nostra
modernità così primitiva, così medievale, così scissa e nel contempo unita,
vivente tra gli stimoli atavicamente irrimediabili del nostro cervello rettile
e l’illusione della onnipresente virtualità tecnologica. Canti del caos va letto perché Canti
del caos siamo noi.
Un libro.
Canti del caos,
di Antonio Moresco (Mondadori).
Magazine Cultura
Canti del caos, di Antonio Moresco (Mondadori)
Creato il 02 settembre 2013 da Angeloricci @angeloricci
E questa ostensione eterna di
un canto di parole che appare sempre improvvisa pur nella sua estrema volontà di raccontare la necessità deiettiva della perpetuità dell’essere. Apparizione quasi
liturgica, messa cantata di luoghi che stuprano parole, opere e omissioni di
soggetti che ammantano i loro scheletri di una pelle scuoiata che mostra
profonde ulcerazioni che sono dell’anima e del corpo nel contempo. Suono profondo,
mistico, terminale. Vibrazione che emerge da un sottotraccia senza fine proprio
perché una fine ha, ed è una fine destinata alla ripetizione reiterata e
dolente, pur nella sua intrinseca attrazione marchiata a fuoco dal segno di un
brivido di sensualità, come la pena inflitta da un demone che mostra sorrisi
atroci, inchiavardato nell’eternità di un inferno che si appalesa come una derisione
dell’umanità tutta. Pareti scarnificate, offuscate da lugubri sfumature che
fanno da scenografia al divenire caparbio di sensazioni vitali e mortali che
proprio nella loro reciproca penetrazione ingravidano l’universo. Massa di
storie che scardina le porte di un continuum narrativo che esibisce i propri
visceri allo scopo di giungere alla stupefazione di quello stesso continuum e di tutti quelli che potranno da esso nascere, nella creazione finale
di una nuova corporeità delle anime attraverso la parola. Parola che si fa strumento, ma che diviene anche protagonista che si erge nell'assoluto, che è descrizione, ma anche dimostrazione quasi
cartesiana del caos. La materia primordiale muta se stessa in vita palpitante e nasce e muore e
rinasce e muore ancora nella negazione e nella affermazione. Luogo che abita la
perfettissima zona mediana tra il cosmo e l’atomo, tra la vita e la morte, Canti del caos è l’inno alla nostra
modernità così primitiva, così medievale, così scissa e nel contempo unita,
vivente tra gli stimoli atavicamente irrimediabili del nostro cervello rettile
e l’illusione della onnipresente virtualità tecnologica. Canti del caos va letto perché Canti
del caos siamo noi.
Un libro.
Canti del caos,
di Antonio Moresco (Mondadori).
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