CANTIERE DEL ’900 Milano, Gallerie d’Italia Piazza Scala: 189 opere dalle collezioni del Novecento di Intesa Sanpaolo, in un percorso nell’arte italiana dagli anni Cinquanta agli anni Novanta a cura di Francesco Tedeschi. Testo di Cristina Palmieri per MAE Milano Arte Expo – Visitare “Cantiere del ’900”(MAPPA) è un’affascinante avventura dello spirito. Ci si trova immersi in quello che da sempre è il cuore pulsante di Milano, di quella città che ha saputo divenire e rimanere, nel tempo, il riferimento economico e culturale dell’Italia del XX secolo. Negli ultimi anni si è insistito sull’importanza della zona limitrofa a Via Manzoni soprattutto in relazione al fatto che fosse divenuta il famoso “Quadrilatero della moda”, il simbolo del fashion e del glamour, dimenticando che il percorso che si snodava in un ipotetico circolo chiuso tra Via Manzoni, Via Brera e Piazza della Scala è stato, nel secondo Dopoguerra, il fulcro vitale della Milano artistica. Le maggiori Gallerie d’arte storiche di quel periodo, alcune delle quali ancor oggi esistenti (pur talvolta avendo cambiato sede) nacquero proprio in questo contesto cittadino. Le ricordo molto bene, quando, ancora ragazzina, dalla Galleria in Fatebenefratelli di mio papà (Guido Palmieri, NdR), mi dirigevo con lui a visitare i colleghi, da Renzo Cortina in Piazza Cavour, ad Ada Zunino in Via Turati, che menzionava sempre gli anni ruggenti trascorsi da Carlo Cardazzo, alla Galleria Schettini, passando per il Naviglio, ormai di Renato Cardazzo, al Milione dei Ghiringhelli.>>
Oggi molto, forse tutto, è cambiato, soprattutto nell’ambiente artistico, nella città medesima. Ma, come ha avuto modo di sottolineare l’Assessore alla Cultura Stefano Boeri in occasione dell’inaugurazione di questo spazio, di fatto è possibile ipotizzare una sorta di “Via dell’Arte”, che si sviluppa in 900 metri lineari, lungo i quali si articola il nucleo del sistema museale milanese (dalla Pinacoteca di Brera al Museo del Novecento, passando per Palazzo Marino, il Duomo e Palazzo Reale).
Lucio Fontana – Concetto Spaziale “La Luna a Venezia” 1962 IN PRIMO PIANO
Arrivare in Piazza della Scala e avventurarsi nella sede di “Gallerie d’Italia”, presso Palazzo Beltrami, rappresenta, per chi ama l’arte, l’opportunità di immergersi nel “Bello”, tout court. L’Architetto Michele De Lucchi è stato in grado di interconnettere quattro differenti edifici attraverso un progetto di risistemazione che definirei non solo di grande attualità, ma esso stesso un’opera d’arte; oggi architettura e design offrono talvolta soluzioni che possiamo considerare a tutti gli effetti “arte”. De Lucchi, come ha sottolineato anche Francesco Tedeschi, curatore dell’allestimento di “Cantiere Novecento”, ha dato vita ad una sorta di “agorà coperta, un’ esternità interna che si propone come un punto di incontro aperto”.
Oserei definirlo quindi un moderno luogo di transito, che però non si caratterizza come “non luogo”, ma come spazio dell’essere e dell’essenza, se riusciamo a reputare l’arte, come dovrebbe essere, un viatico verso l’infinità che è intrinseca essenza dell’uomo.
Ma veniamo al “tesoro” esposto. Intesa San Paolo, con lodevole lungimiranza e con un’acuta scelta culturale, ha stabilito di valorizzare le proprie collezioni d’arte, patrimonio ormai ingente, se consideriamo che proviene dalle numerose fusioni (circa 250) degli Istituti di Credito in essa confluiti.
“Cantieri del ’900” raccoglie – ovviamente – solo una parte delle opere ( 189 di circa 3000) che il curatore, appunto il Professor Tedeschi, il quale da anni sovraintende all’ingente lavoro di catalogazione delle medesime, ha ritenuto rappresentative delle correnti e degli artisti che hanno animato il panorama artistico italiano dal secondo dopoguerra al termine del secolo appena conclusosi.
E’ però possibile, su prenotazione, poter anche visitare l’affascinante caveau, “museo di raccolta“, una sorta di scrigno delle meraviglie che si estende su 300 mq. e raccoglie altre 500 opere su pannelli di rete scorrevoli.
REMO BIANCO terzo quarto del XX secolo Tecnica mista su tela, 75 X 100 cm. Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Milano
Quanto personalmente mi ha fatto immenso piacere è stato il criterio con il quale Tedeschi (amato professore dei miei tempi universitari) ha formulato la cernita dei capolavori da esporre. Non soltanto ed esclusivamente nomi altisonanti e ormai accreditati dalla critica e dal mercato internazionali, ma anche alcuni artisti che, pur non essendo inseribili in precisi gruppi o correnti, per la loro personalità assolutamente unica e difficilmente “incasellabile”, tuttavia hanno sviluppato espressività che molto bene testimoniano quella pluralità e ricchezza di ricerche che è la caratteristica sostanziale del Novecento pittorico. Mi riferisco per esempio a Remo Bianco (a cui mi legano emozioni e ricordi personali, oltre che lavorativi) di cui è presente un “Tableau dorè”. Bianco, pur nella considerevole produzione che lo ha condotto ad attraversare numerose esperienze, ha sempre testimoniato l’amore per la materia, per gli amalgami della stessa, per la sperimentazione con i vari materiali (ricordiamo i 3D, i collage), attingendo ai diversi e numerosi stimoli che gravitano in quegli anni e che questo artista è stato in grado di declinare in modo assolutamente unico e personale, con una vivacità intuitiva e empirica che lo conduce ad esplorare le tante possibilità tecniche che la modernità consegna a chi caparbiamente cerca di trovare un proprio autentico linguaggio. Sono, quelle di Bianco, così come altre dei molti artisti presenti, scelte che potremmo analizzare non semplicemente da un punto di vista artistico, ma da un punto di vista linguistico, semiologico.
Vi è infatti, nei più, il desiderio di confrontarsi con l’oggettualità della materia, con l’oggetto stesso che – svincolato dal proprio contesto originario – assurge a nuovi significati, diviene anzi un significante che solo l’artista può caricare di inedite scelte espressive, il cui fulcro originario è da ricercarsi nella capacità inventiva di chi crea, nel desiderio di travalicare limiti e norme date per secoli per arrivare a vivere l’opera come lo spazio in cui tutto diviene possibile.
In questa chiave possiamo leggere i tagli e i buchi di Fontana. Il traforamento, l’andare oltre lo spazio e la materia, alla ricerca di quelle accezioni altre che si spalancano, possibili, infinite e plurime, quasi a negare ogni definitiva assertività, come dichiarava Montale in “Non chiederci la parola”. Nel medesimo tempo Fontana però attesta qualcosa con schietta fermezza. La possibilità di vivere la tela come qualsiasi altra materia, come una scultura, da plasmare e da inventare. Splendida la sala dedicata a questo artista nei “Cantieri”, presente con i famosi “concetti spaziali”. Come non innamorarsi dell’opera “La luna a Venezia” (1961)? Su una base scura, con l’inserto di un cerchio argentato, le gemme di vetro colorato paiono raccontare i colori del carnevale veneziano, ma - soprattutto – dichiarano quell’amore per l’utilizzo sperimentale dei materiali che accomuna i più degli artisti di questo periodo, frutto della loro fantasia sbrigliata e visionaria, poetica.
ALBERTO BURRI terzo quarto del XX secolo Olio, smalti, tela, sabbie di pietra pomice su tela, 85,2 X 98,8 cm. Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Milano.
Le opere di Burri, in queste sale rappresentate, oserei dire, da due capolavori (“Rosso-nero” e “Sabbia”), testimoniano anch’esse questo percorso. Sin dagli esordi la poetica di Burri si esplicita in un amore per la materia che si traduce in un’ incessante sperimentazione che lo porta ad utilizzare – sulla base su cui si costruisce l’opera (tela o tavola che sia) – prima del colore, pur importantissimo, una pluralità di materiali, dalle sabbie, alla iuta, alle combustioni di composti plastici, ai legni e ferri. Qui si gioca la creatività. Nell’intervenire sulla superficie con segni, colori, sovrapposizioni.
Ma, in fondo, sempre questo genere di ricerca troviamo nella piccola e deliziosa opera di Gianni Dova del periodo nucleare. Mi riempie di gioia imbattermi in essa perché Dova, uno degli artisti più importanti del secondo novecento, fra gli altri esponente del Movimento dello Spazialismo, negli ultimi anni è stato un poco “accantonato” dalla critica e dal mercato. Mistero non comprensibile, dal momento che per svariati decenni ne ha vissuto la ribalta. Ma soprattutto non facilmente accettabile se consideriamo, appunto, il valore artistico che ha saputo esprimere attraverso la propria ricerca; anch’essa di matrice informale, quindi attenta, come emerge anche nell’opera presente, alla materia, al gesto, al colore. Indubbiamente non inferiore – anzi – a colleghi come Burri, Santomaso, Afro, mi rammarica (dal momento che proprio per questa rivista mi occupo di mercato e quotazioni) verificare come le sue quotazioni siano rimaste stabili nell’ultimo lustro. Come non consigliarne, quindi, a maggior ragione, pensando alla sua importanza storica ed il suo valore artistico, l’acquisto, proprio considerando che non potrà che incontrare una nuova rinascita? Ovviamente quando il mercato si svincolerà da personaggi miopi e forse privi della determinazione di leggere attraverso il percorso storico, al di là delle contingenze che vogliono l’arte assimilabile ad un bene che deve offrire facili e rapidi guadagni.
GIANNI DOVA terzo quarto del XX secolo Olio su tela, 40 X 50 cm. Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Milano
Mi domando perché infatti un Manzoni o un Fontana, di cui non metto in discussione assolutamente il valore artistico, o lo stesso Burri, debbano aver raggiunto quotazioni da capogiro ed invece artisti come Crippa e Dova, altrettanto geniali (mi permetto di affermare, conoscendone bene l’opera, forse ancor più interessanti di altri contemporanei, nella loro coniugazione della poetica dell’informale) si siano arenati a costi – se paragonati ai sopra citati – che non rendono loro giustizia, anche se solide.
Perdonate la digressione, ormai frutto di una certa “deformazione professionale”. Torniamo al nostro “Cantiere del ’900”. Nato non come soggetto museale, di fatto, a pochi metri dal “Museo del ’900”, si presenta come un intelligente percorso critico.
Suddiviso in quattro grandi nuclei (l’arte degli anni Cinquanta, dall’Informale all’ Astrazione, la sezione dedicata all’arte Cinetica e Programmata, gli anni ’60 e ’70 con la Pop Art, l’arte Povera e per chiudere, gli anni ’80 e ’90) e due focus monografici (“Il colore come forma plastica dell’arte tra Futurismo e anni novanta” e “L’ora italiana” di Emilio Isgrò), vi troviamo esposti i testimoni maggiori della storia dell’arte italiana del secondo novecento. Per una visione puntuale dei nomi e delle opere vi rimando al sito www.gallerieditalia.com.
Quello che, dopo averlo visitato, credo sia opportuno sottolineare è che, nell’allestirlo, vi è stata un’attenzione precisa e puntuale che accompagna attraverso i principali movimenti artistici che si sono susseguiti dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, dallo spazialismo, al Mac, all’Arte cinetica, alla Pop, sino all’Arte Povera e alla Transavanguardia. Forse non tutte le opere sono altisonanti, certamente però significative. Consentono di “esplorare” le esperienze, varie e ricche, come accennato, che hanno accompagnato gli artisti nel loro desiderio di essere “nuovi”, di raccontare non il mondo, o non soltanto il mondo, ma il proprio universo. Un universo creato, inventato, caparbiamente cercato. Così come Fontana è riconoscibile nelle sue “ferite” sulla materia, scopriamo qui come Gianni Colombo giochi con gli elastici, Biasi con le lamelle, Pistoletto con i materiali specchianti, Isgrò con le cancellature, Dorazio con le forme e i colori, Rotella con le carte sovrapposte e strappate, la Pop art con la desacralizzazione di immagini, oggetti, culture.
Il percorso conduce attraverso una stimolante riflessione sulla pluralità dei linguaggi e delle espressività che ha caratterizzato l’arte contemporanea al di là delle semplificazioni e degli schematismi. Svincolatosi definitivamente dalla necessità di riprodurre il reale, l’artista può scegliere cosa rappresentare e come rappresentarlo, anche qualora permanga – come negli autori legati alla figurazione– un riferimento alla realtà.
CRISTINA PALMIERI
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MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Cristina Palmieri per il testo Cantiere del ’900 Gallerie d’Italia e per la rubrica Il filo di Arianna dedicata al mercato dell’arte, alle quotazioni arte contemporanea e al collezionismo.
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