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"Canzoni dal secondo piano" Roy Andersson sulle tracce di Kafka
Creato il 29 luglio 2014 da SamuelesestieriA inaugurare gli anni zero, come una sorta di manifesto apocalittico dove la tragedia del mondo non può che trasfiguarsi in immaginario liquido e grottesco, c'è "Canzoni dal secondo piano".
In un'equazione perfetta si potrebbe dire che Roy Andersson sta al cinema come Kafka alla letteratura: non è lecito parlare di senso o di non-senso, ma forse solo, per un divertito gioco di parole, di dissenso. Andersson non ci sta: frammenta un immaginario che è sempre più convertito al pensiero unico e alla convergenza, spezza il film in una serie di situazioni che non finiscono, ma si accendono e si spengono sullo schermo, come ipotesi di vita senza vita, di tempo senza tempo, perché l'aporia è conditio invalicabile della contemporaneità.
Personaggi che si sfiorano ma non sanno (non possono) comunicare, perché ormai parole, gesti o sguardi non riescono più a varcare il campo, sono impossibilitati a qualsiasi ipotesi di sintesi o unità. Campi lunghi, piani fissi che negano un pur minimo movimento di macchina, che chiedono allo sguardo di perdersi dei meandri di un'immagine che non finisce, ma continua sempre, oltre i limiti dello sguardo. Negato il campo e il controcampo, negata l'empatia e il sentimento, quella che rimane è la buffa giostra del mondo, la danza di burattini che hanno perso il loro teatro, e perfino i fili, mentre parlano di Gesù che fu crocifisso perché era bello e gentile ma non era figlio di Dio.
Dalla Storia alla Religione fino alla chiacchiera vana di chi non è più capace di ascoltare. Nessuno scambio di sguardi, ma una solitudine lancinante che fa ridere e che fa male: non c'è nulla di più divertente della nostra sofferenza. Non più il tragico ma una sua imitazione perversa che porta, inevitabilmente, al riso.
E' il paradosso a configurarsi come l'unico termine tecnico del mondo.Dire assurdo significa dire quotidiano, e allora assisteremo a un traffico esasperante che blocca un'intera città (anche se nessuno sa da cosa sia causato), a case che si muovono, a padri che bruciano i propri negozi, a figli caduti nell'afasia perché scriver poesie li ha fatti impazzire. Le possibilità di dialogo (per citare un altro maestro dell'incomunicabilità) sono divenute impossibilità di dialogo, precipizi dell'uomo e del mondo: ecco come la paura ha ceduto il passo alla tristezza (si pensi ai morti viventi).
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