Conosciamo bene le terribili vicende dell’Egitto odierno che, con la presidenza Morsi, sta vivendo momenti difficilissimi sotto il profilo delle scelte politiche.
Ci sono i Fratelli Musulmani da una parte, che predicano l’oscurantismo medievale, e la lobbie autarchica dei militari dall’altra, che non demorde ed esercita le sue pressioni.
Insomma siamo in un’autentica deriva autoritaria, considerato il contesto ma sopratutto l 'assunto storico, anche forse piuttosto prevedibile.
E le aspirazioni laiche e democratiche, specie quelle dei giovani, e di tanti altri, uomini e donne di ogni età, che hanno sperato davvero in un cambiamento del sistema, gettate invece tutte per intero alle ortiche.
Ma in Egitto esiste anche un congruo gruppo di cristiani di rito copto che, di questi tempi, temono sul serio e terribilmente per la propria incolumità.
Essi sono memori delle angherie di sempre, tanto negli anni del regime di Mubarak, e prima ancora. Così come oggi.
Cittadini egiziani come gli altri ma emarginati, ostacolati, aggrediti, feriti materialmente e pure nella dignità, e talora anche uccisi, senza che nessuno facesse sentire una voce di protesta in loro difesa.
Se non proprio quando l’accaduto era così plateale da non poterlo fare passare sotto silenzio.
Timore e incertezza sono le due facce della medesima medaglia per costoro, i copti appunto, in quanto non è chiara quale strada politico-confessionale imboccherà l’Egitto prossimamente.
E, forse, timore e incertezza non riguardano poi solo i copti ma tutti coloro che, per un motivo o per un altro, sono attualmente dissenzienti con un certo modo di fare politica.
Ecco ,allora, che il nuovo patriarca copto-cattolico, Ibrahim Isaak Sidrak ,eletto appena lo scorso 15 gennaio, rivolgendosi a tutti gli egiziani, ha invitato alla riconciliazione.
E a lui ha fatto eco un altro vescovo copto-cattolico, Youhanna Golta, che ha sottolineato fortemente tutti i rischi di fare dell’Egitto un Paese islamista come da alcune parti(strategie internazionali) si progetta.
E, meno che mai, di avere un Egitto confessionalmente diviso, trattandosi di un Paese che comunque è situato all’incrocio tra Europa, Asia e Africa.
Un Paese che non può chiudersi come un monolite.
Se venissero privilegiate le divisioni interne o si optasse per una confessione religiosa unica- egli ha chiarito - il prezzo più grande in termini di assenza di pace a pagarlo maggiormente sarebbe solo il popolo.
E questo non deve accadere.
Pace per i copti significherebbe semmai una probabile riconciliazione tra le diverse anime del Paese e bando alle paure di tutti.
Un segnale di distensione auspicabile da parte dei più.
In poche parole un graduale ritorno alla normalità, fermo restando che la strada della democrazia, per un Paese che contempla ancora la pena di morte per un certo tipo di reati, realisticamente parlando, è ancora molto lunga e, direi, parecchio tortuosa pure.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)