-Cummare Cuncettina, bonasera e bona festa!
Cuncettina, al secolo Concezione De Matteis vedova Cazzato, cerca di girare la testa per vedere da chi provenga il saluto, ma il collo è un anello di grasso schiacciato tra l’incalzare del triplice mento e il torreggiare del seno: così, bloccata tra la propria mole e la folla che intasa il corso e piazza Duomo, Cuncettina muove in qua e in là gli occhi, due grosse olive nere sprofondate in una puccia infarinata. Per fortuna dita sottili e grinzose le si aggrappano al braccio, precedendo un corpicino disseccato e una testa spumeggiante di capelli grigio violetti.
-Cummare Teresa, ohimmé, tie sinti? Comu te la passi?
La creanza vorrebbe almeno un abbraccio tra le due conoscenti, ma Cuncettina dovrebbe compiere una serie di torsioni verso il basso che la calca impedirebbe: è il primo giorno della festa dei santi patroni, le cui statue portate a spalla sullo sfondo musicale della banda si godono un paio d’ore d’aria. Non così i fedeli, che soffocano insaccati nei vestiti buoni in un glorioso pomeriggio agostano, armati di ventagli, fazzoletti e santa pazienza. La ben riuscita emulsione di fede, sudore e consuetudini si rapprende sempre più attorno alla piazza ovale, dove il vescovo spara raffiche di moniti e benedizioni sulla folla stremata.
Cuncettina e Teresa riescono a forza di gomiti ad appoggiarsi alla colonna di un portico e a guardarsi: Cuncettina, che ha da poco perso il marito per un’insospettata malattia cardiaca, veleggia come un enorme tendone da circo a lutto, mentre Teresa nuota in un abitino a fiori senza maniche. Dopo pochi convenevoli di sondaggio, le comari partono con l’analisi della situazione: d’altronde è per questo che sono uscite, affrontando lo scirocco e i suoi trentotto gradi pomeridiani, no? Una sola uscita durante la festa permette di raccogliere una mole di informazioni e pettegolezzi bastevole almeno fino all’Immacolata; in casi particolarmente succosi, fino all’uscita per la messa di Natale.
Un occhio al vescovo e uno alla Teresa, Concettina prende fiato e attacca:
-…e anche quest’anno il bar di Aldino è strapieno. Chissà quante ruote ha dovuto ungere per avere tutti quei tavolini, prendono mezza piazza. Cassa piena, oggi. E certo non per merito del figlio, che quello, a parte perdere a carte, non è che sa fare altro, no? Torna ogni giorno alle cinque, le sei di mattina…e la moglie, la Rosaria, una martire. Tutte le notti da sola, poveretta, non è che si può, già al primo anno di matrimonio, che il sangue a quell’età deve bruciare, e qquai lu posperu nun ‘mpiccia, cummare mia…il Santissimo e Divinissimo Sacramento!
Teresa che stava lì a fare sìsì-nono con la testa a seconda delle necessità, resta un istante interdetta all’interiezione finale di Cuncettina prima di capire che ha risposto alla litania del vescovo; ammirata, si fa il segno della croce per quanto il tremulizzu che la affligge lo consente e si inserisce veloce nel notiziario:
-Eeeeh, Cuncettina! Ma quella di fiammiferi sai quanti ne ha accesi e spenti prima del matrimonio? Uh, non ne parliamo, va’, che se no sant’Oronzo mio bello scende dalla colonna…
-None, Teresa- taglia secca la comare- none. Quiste su’ cose serie!
Scuote la testa e il fazzoletto, Cuncettina, mentre indispettita si chiede come fa Teresa ad essere così sicura. La gente…madonna, quanto chiacchiera!
Ma l’amica continua, imperterrita e fiera di saperne per una volta più dell’altra, fonte storica di tutti i pettegolezzi della cittadina:
-Cuncettina, te sta’ dicu… quella voleva il marito della figlia del prefetto e ha fatto le pazzie per rubarglielo, le pazzie. Ma lui…mah! o che aveva timore del suocero o che proprio non ce la fa, sienti a mmie, dicono che mo’ il matrimonio della figlia del prefetto è bello e bianco come al primo giorno, quella sta ancora come mamma l’ha fatta. E se no, non è opera de maritusa e manco dello Spirito Santo.
Per pararsi dall’accostamento blasfemo, un altro zigzagante segno della croce di Teresa, che però non lascia a Cuncettina il tempo di riprendersi e affonda:
-La Rosaria voleva a lui proprio, pure che era sposato, ma lui manco la guardava: e sì che è molto meglio della figlia del prefetto, ca ete sicca e nìura comu a n’ulìa. Tanto si era fissata che si era quasi ammalata, e la mamma piangeva ogni giorno e lei più si fissava e più dimagriva. Allora sono andate –dopo una sapiente pausa, il tono della voce di Teresa si abbassa fino a diventare quasi un sussurro- dalla macàra per farsi fare un filtro. La sai, no? la Scerazà, la marocchina che tiene la bancarella di passatiempi là, là, davanti alla chiesa del Buonconsiglio, a me lei me l’ha raccontato. Tutto. Non si è tenuto manco un cece in bocca.
E il braccino di Teresa punta verso un angolo della piazza dove, all’ombra di una cascata di fiori di pietra, siede una donna dalla pelle scura, il viso tatuato all’henné.
Sèèèèèh…-sbuffa Cuncettina- mo’ pure le macàre mancavano. Me pare nu cuntu de la nonna bonarma!
E con un brusco passaggio all’italiano a segnalare tutta la sua incredulità, incrocia a fatica le braccia sul petto spazioso e sentenzia:
-E sentiamo. Cosa ti ha raccontato questa Scerazà…
Primo Piatto
حُمُّص Hummus
300 grammi di ceci già lessati (conservare l’acqua di cottura), tre cucchiai di tahina (pasta di sesamo), un cucchiaino di cumino, un cucchiaio di olio d’oliva, mezzo cucchiaio di succo di limone, sale q.b., prezzemolo, peperoncino in polvere.
In una ciotola fonda mettere il sesamo e aggiungere l’acqua calda (circa tre cucchiai), mescolare finché l’acqua non sarà incorporata, aggiungere i ceci e frullare aggiungendo olio, limone, sale, cumino (ed altra acqua se l’impasto risultasse troppo denso).