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Capire il mondo osservandolo e facendo satira: Silvia Ziche tra Paperina, Lucrezia, Alice e Minni!

Creato il 14 gennaio 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Capire il mondo osservandolo e facendo satira: Silvia Ziche tra Paperina, Lucrezia, Alice e Minni! Silvia Ziche Lucrezia In Evidenza Alice a quel paese

Firma ormai storica di Disney Italia, Silvia Ziche ha collezionato nel corso della propria carriera un importante numero di collaborazioni: dopo essere approdata alla rivista di fumetti “Linus” nel 1987, ha disegnato per “Cuore”, “Smemoranda”, “Topolino”, “Comix”, “Musica” (inserto di “Repubblica”) e, dal 2006, collabora a “Donna Moderna”.
È anche presente in libreria con numerose pubblicazioni, tra cui i due volumi di Olimpo S.p.A. per i testi di Vincenzo Cerami¡Infierno!(una delle tante collaborazioni con Tito Faraci), Due, San Francisco e Santa Pazienza, Lucrezia 2 –La donna perfetta non esiste e È tutto sotto controllo. Per Rizzoli Lizard ha già realizzato Prove tecniche di megalomania (2009) e Lucrezia (2010).

A Lucca Comics 2013, era presente allo stand Disney per presentare il volume Il Grande Splash e altre storie da spanciarsi dal ridere, e allo stand Rizzoli-Lizard per presentare Lucrezia e Alice a quel paese. L’ho incontrata proprio in occasione di una sessione di firme per questo suo ultimo lavoro, durante la quale mi ha concesso un po’ del suo tempo per rispondere alle mie domande.

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Ciao Silvia, e grazie per il tempo che mi stai dedicando.
Ciao, e grazie a te!

Quanto è difficile fare satira nel fumetto Disney?
Non è così complicato, si tratta semplicemente di far scattare una specie di interruttore nel cervello. Quando si scrive una storia Disney si entra in quell’universo, ed è la stessa cosa che fare satira nel mondo reale. Chiaramente, in questo secondo caso, ci si appiglia alle abitudini e alle categorie delle persone che incontriamo nella realtà, mentre a Paperopoli e Topolinia devi fare satira sui caratteri dei personaggi che vivono lì. Oppure devi adattare la satira sul mondo reale a quel particolare universo, utilizzando un tipo di umorismo un po’ più sarcastico e graffiante, pur rimanendo nei canoni Disney.

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Considerando che spesso hai dato importanza alle donne nei tuoi fumetti, Disney e non solo, quanto potenziale hanno i personaggi femminili disneyani secondo te?
Non anticipo nulla, ma adesso sto proprio realizzando una storia con Minni per cercare di riportarla in pari con quello che non le è accaduto finora.
La mia impressione è che l’universo Disney si sia cristallizzato un po’ negli anni ’50… chiaramente si è sempre evoluto seguendo i cambiamenti del mondo, ma l’atmosfera e lo status quo della realtà raccontata – le case dei protagonisti, i loro ruoli – mi pare siano rimasti quelli. I personaggi invece si sono evoluti, mantenendo il loro carattere ma adattandosi a vivere nel mondo moderno.
Mi sembra però che questo non sia accaduto ai personaggi femminili, legati a dei cliché ormai superati. Certo, mi rendo conto che sia molto comodo per un certo tipo di umorismo avere un personaggio femminile di quel genere, che si presta a certe situazioni narrative e comiche, ma io penso che sia il momento di superare questi cliché e nelle mie storie credo di averlo fatto… o se non altro li ho presi molto in giro! Ora, come ti dicevo, sto cercando di fare questa storia in cui Minni ha un ruolo centrale molto forte, ma comunque divertente.

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Dal punto di vista grafico, celebri sono alcune espressioni e pose tra il caricaturale e l’estremo, adeguate allo stile delle tue storie: da dove deriva questo approccio particolare?
Premetto che ho letto di tutto nella vita, però per le influenze del segno ti faccio i nomi per me più importanti, anche se probabilmente ne rimarrà fuori qualcuno. Sicuramente la partenza è il Giorgio Cavazzano degli anni ’70, quello delle storie scritte da Giorgio Pezzin, veramente deliranti e bellissime sia nei testi che nei disegni. Sono tra le prime storie che ho letto quando ero bambina, quindi le ho metabolizzate e interiorizzate, fanno proprio parte della mia matrice. Questa è la partenza.
Poi c’è Asterix, quello di Uderzo degli anni migliori, che aveva un disegno assolutamente fantastico. Io mi sono sempre focalizzata sulle espressioni dei personaggi, quindi nonostante sia Cavazzano che Uderzo abbiano una capacità di disegno incredibile in tutto, dai personaggi agli oggetti, dalle ambientazioni alle prospettive, e riescano a ottenere virtuosismi grafici incredibili – capacità che io non credo di avere – venivo rapita proprio dalla recitazione dei personaggi, che era quello che mi interessava di più.
Poi devo citare molte strisce americane, Calvin & Hobbes e i Peanuts tra tutte, e anche André Franquin con Gaston La Gaffe e con le storie nere.
Sono tutte cose diversissime, ma mi rendo conto che di tutte queste ho preso quello che più mi piaceva e mi divertiva nella recitazione dei personaggi. Sono la persona più sbagliata per giudicare il mio disegno, ma credo che questa sia stata la partenza del mio percorso professionale.
Dopodiché, è successo che anche nelle storie lunghe ho mantenuto in modo quasi inconsapevole un’impostazione da striscia, anzi quasi da sit-com. Per capirci: le sit-com sono girate tutte in interni e per far capire allo spettatore dove è ambientata la scena viene proposto un campo lungo con alcuni riferimenti sul luogo. Ecco, io più o meno lavoro così. Se devo cambiare ambientazione nella storia mostro dove ci si trova e poi mi concentro sui personaggi.
Il mio disegno ha sempre privilegiato tantissimo la recitazione, non ci sono quindi virtuosismi grafici o prospettive azzardate, mantengo una regia tranquilla cercando di valorizzare quello che ritengo il mio punto forte, cioè l’interpretazione e le espressioni dei personaggi.

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A proposito di struttura da sit-com, parliamo di Il Grande Splash, la tua terza saga a micro-puntate Disney dopo Il Papero del Mistero e Topokolossal: da dove nacque l’idea di questa struttura così particolare?
L’impulso di partenza per Il Papero del Mistero è stato una richiesta redazionale: il Direttore di Topolino di allora, Paolo Cavaglione, aveva bisogno di storie brevi, di 5-7 pagine. Io ci ho pensato sopra e mi è venuto in mente di realizzare una lunga avventura suddivisa in tante micro-puntate.
Ora è difficile dare delle spiegazioni al perché uno fa delle cose. Avevo voglia di farlo, e questa richiesta del Direttore, unita alla volontà di scrivere una storia lunga, mi ha fatto scoprire che mi trovo a mio agio nelgestire una storia di questa portata.
Mi piace cercare di immaginare una storia che possa essere molto lunga, una struttura forte con uno spunto che porti il lettore fino alla fine, ma che dia anche la possibilità di divagare e quindi sia frazionabile in tante puntate.
Anche perché quando invento queste cose non succede razionalmente, è come se mi muovessi in un altro mondo con la mia testa e lì trovassi quasi inconsapevolmente la direzione verso cui andare.
Io entro in quel mondo e vedo come si muovono i personaggi… è difficile chiamarlo “pensare”, è un’astrazione istintiva, che mi porta da un’altra parte.

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Lucrezia e Alice, crossover inaspettato: come mai un volume che unisce i tuoi due personaggi? E in quale delle due donne ti riconosci di più?
L’idea di unire le due cose è stata una conseguenza di tutta una catena di pensieri.
Alice è il personaggio che esiste da più tempo, usciva nei primi anni ’90 su Comix, poi l’ho lasciata perdere, un po’ perché ha chiuso Comix e un po’ perché non si è più presentata l’occasione di riutilizzarla. Circa dieci anni dopo Alice è nata Lucrezia, e con lei ho cercato di raccontare tutto quello che non era venuto fuori con Alice.
La storia che viene narrata passa sempre attraverso il punto di vista di chi la racconta: anche se si scrive una storia avventurosa, dove la psicologia dei personaggi è poco importante, comunque è una storia filtrata dall’autore. A maggior ragione quando si cerca di raccontare storie che coinvolgono la vita e la psicologia di un personaggio, si può provare a calarsi in una diversa mentalità e personalità, ma alla fine sarà sempre presente la componente dell’autore.
Sia Alice che Lucrezia quindi parlano di me, in diversi momenti della mia vita: quando scrivevo Alice avevo vent’anni, quindo ho creato Lucrezia ne avevo quasi trentacinque.
Alice era idealista come ero io a vent’anni: idealista perché lo sono per carattere, e Alice allo stesso modo parla per massimi sistemi e categorie immense come l’universo, l’umanità, l’amore, la pace… Lo fa perché ne è profondamente convinta ma anche perché non ha nessuna esperienza della vita. Se parla dell’amore con la A maiuscola, parla dell’amore universale perché non ha esperienza dell’amore reale. E questa era la mia situazione di allora.
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Con Lucrezia invece ho avuto modo di raccontare qualcosa di ulteriore rispetto ad Alice, ovvero il restringimento degli orizzonti che ho visto succedere a me e soprattutto ad amici e conoscenti.
Quando si comincia a fare esperienza della vita e si prendono le prime capocciate contro gli spigoli, si restringono gli orizzonti: non si parla più della pace del mondo e dell’amore universale, si comincia a pensare al proprio benessere personale, il mondo diventa il terrazzo di casa e l’amore con la A maiuscola diventa la ricerca della della propria felicità. Non solo: nella non-completezza di ogni individuo c’è anche una forte componente di vittimismo, una richiesta verso gli altri assolutamente illogica e non sensata di farci sentire bene. Scarichiamo sugli altri la responsabilità della nostra felicità: se siamo infelici di solito è molto più facile dare la colpa alla persona che ci sta vicino piuttosto che prenderci delle responsabilità, guardarci dentro e cercare un equilibrio che solo noi possiamo trovare. Avevo notato questa cosa e la volevo raccontare, e da questa esigenza è nata Lucrezia.
Lucrezia è una donna un po’ più grande di Alice, irrisolta, che fa la vittima, che non è bella… una persona normale, con tanti difetti come tutte le persone normali. Con lei ho potuto raccontare quello che noi chiamiamo amore e di fatto amore non è. E così ho fatto per tutti questi anni.
Con quest’ultimo libro mi sono resa conto che questo periodo storico è così pesante e difficile da non poter più parlare solo dei rapporti tra le persone e dell’amore, perché la realtà è entrata talmente tanto in ogni momento della nostra vita quotidiana da condizionarla del tutto, anche nei rapporti interpersonali. Le difficoltà economiche, la mancanza di lavoro e la mancanza di fiducia verso il futuro condizionano tutto quanto, le nostre scelte e i nostri rapporti umani.
Avevo bisogno di raccontare questo. E mi sono detta, quindi, che mi serviva un personaggio che desse una spallata a Lucrezia, per farla uscire dal suo vittimismo e dalla sua pretesa di essere resa felice da chiunque che non sia lei stessa. Ho pensato per un po’ di inventarne uno, poi ho realizzato che un personaggio del genere ce l’avevo già, ed era Alice. Da lì è stato naturale scrivere dei due personaggi insieme, e anche lo stratagemma di aver surgelato Alice per vent’anni e di scongelarla ora, così da aver potuto mantenere la sua età e il suo sguardo naif sul mondo, è servito allo scopo.
Grazie a questo libro ho dato una spallata a entrambi i personaggi: Alice è messa in condizione di fare i conti con la vita reale, e Lucrezia con quella ideale.
Trattandosi di due personaggi che in qualche maniera rappresentano due miei alter ego di due fasi della mia vita, è stata anche una bella autoanalisi.

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Hai un blog molto aggiornato, e recentemente hai aperto anche una tua pagina Facebook. Come utilizzi e come vedi questi due mezzi (blog e Facebook) per la tua attività e la tua persona, specie considerando la tua fama di non entusiasta tecnologica?
Non è fama, lo dichiaro apertamente!
Comunque, io l’ho fatto perché secondo me non ha senso ancorarsi al passato, ai “miei tempi”. Io sono poco tecnologica, ma il mio lavoro è fare fumetti, raccontare storie: non ha senso rimanere bloccati a quando non c’erano queste possibilità.
Adesso le cose sono cambiate, i mezzi sono cambiati. Il web è il posto dove si trova tutto, e allora mi sono chiesta perché non avrei dovuto esserci anch’io.
Inoltre, sono 25 anni che faccio fumetti, e ho un sacco di materiale che magari non verrà mai ripubblicato in volume: perché devo tenere queste pile di carta in casa, quando c’è un modo per farle conoscere o ritrovare ai lettori?
Allora ho fatto un tentativo con la tecnologia, anche se non è esattamente il mio mondo, e infatti ho dovuto farmi aiutare per utilizzare blog e Facebook.
Raccontare storie è il mio lavoro e la mia passione, se adesso il posto dove si trovano le storie è internet, beh… perché no?

Ringraziamo Silvia Ziche per la sua gentilezza.

Intervista tenutasi dal vivo durante Lucca Comics & Games 2013.

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