Capire l’Universo

Creato il 28 maggio 2011 da Stukhtra

Piluccato qua e là (il libro, non l’Universo)

di Marco Cagnotti

Questa non è una recensione. Non è nemmeno una marchetta (i lettori di Stukhtra lo sanno: io non faccio mai marchette), sebbene il libro in questione sia stato scritto da un mio amico. Allora che roba è? Semplice: siccome questo libro io non l’ho (ancora) letto, è una presentazione piatta piatta.

Non l’ho letto, ma l’ho piluccato qua e là. E quello che ho assaggiato m’è bastato per farmi sbavare. Purtroppo ora non ho il tempo di leggerlo, sicché mi tocca rimandare. Tuttavia, per generosa concessione dell’autore e dell’editore, pubblico volentieri il prologo dell’opera. Sperando che altri sbavino quanto me ma, avendo più tempo di me, riescano pure a leggerlo. Se poi volessero anche scriverne una vera recensione…

C. Lamberti, Capire l’Universo, Springer

Prologo

C’è una pulce annidata tra i peli del mio gatto, una pulce curiosa e megalomane, che si è messa in testa l’idea di indagare su chi, quando, come e perché edificò le maestose rovine del Machu Picchu. Tanta stolida arroganza mi fa solo sorridere.

Eppure, a ben pensarci, avrebbe più motivi lei, la fastidiosa Ctenocephalides, di sghignazzare beffarda di me e della mia arroganza. Non ho forse io, uomo, la goffa pretesa di raccontare in questo libro l’origine e l’evoluzione dell’Universo? In fondo, il Machu Picchu dista dalla pulce solo 6 miliardi di volte la lunghezza del suo corpo, mentre se io provassi ad allineare 6 miliardi di corpi come il mio, messi in fila uno dietro l’altro come i grani di un rosario – e dovrei impegnare nell’operazione tutti gli abitanti del mondo –, non giungerei neppure a Venere o a Marte, che sono i pianeti più vicini. E, pensate un po’, noi uomini abbiamo la presunzione di indagare l’intero Universo!

Occorrerebbe una catena di novemila miliardi di corpi umani per spingerci fino al confine esterno dei pianeti che circondano il Sole, e ci troveremmo ancora sull’uscio di casa. Perché il Sistema Solare è sconsolatamente piccolo al cospetto non dico dell’Universo, ma anche solo della nostra Galassia. Per arrivare alla stella più vicina, dovremmo sistemare in fila la bellezza di 220mila miliardi di corpi umani e ce ne servirebbero 150 miliardi di miliardi per approdare al centro della Via Lattea.

Né, qui giunti, saremmo andati molto lontano. Abbiamo appena mosso qualche passo fuori casa; ci siamo lasciati alle spalle il nostro quartiere e ora ci troviamo nel centro della nostra città, o meglio della nostra “isola”, che è l’immagine solitamente usata per indicare le galassie che popolano l’Universo: di galassie se ne contano a miliardi, separate l’una dall’altra milioni di anni luce. Una sterminata distesa di isolotti sparsi alla rinfusa in quel vasto oceano che è il Cosmo.

Per raggiungere la galassia vicina più simile alla nostra, quella che gli astronomi chiamano M31 e che possiamo scorgere anche a occhio nudo nella costellazione d’Andromeda, dobbiamo percorrere un tragitto che è quasi cento volte più lungo di quello che ci ha portati nel centro della Via Lattea. E quando finalmente fossimo su M31 avremmo compiuto solo il primo timido passo d’avvicinamento al mondo delle galassie: per attraversare l’intero Universo osservabile dovremmo infatti affrontare un cammino ancora migliaia e migliaia di volte maggiore.

La malefica sifonattera ha dunque le sue buone ragioni per deridere gli uomini. Se il mio micio decidesse di trasferirsi in Perù, con una giornata di volo aereo e un’altra di trasferimento in quota sulle Ande attorno a Cuzco porterebbe la sua ospite a visitare i siti che tanto l’appassionano. Due giorni soltanto. Noi umani, invece, con il veicolo spaziale più veloce che abbiamo mai costruito, in due giorni saremmo in grado di percorrere non più di 3 milioni di chilometri, la distanza che la luce copre in 10 secondi. Allo stato delle cose, le nostre speranze di andare a visitare personalmente Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole, distante 4 anni luce, sono praticamente nulle. Se anche potessimo moltiplicare per 100 la velocità di crociera delle nostre astronavi ci occorrerebbero 7 secoli per giungere alla meta. Non facciamoci illusioni: siamo prigionieri di uno spazio angusto, al di fuori del quale non abbiamo speranza di mettere piede. Almeno, per il momento. Su Proxima Centauri, se partissimo adesso, potrebbero semmai approdare i nostri pronipoti della trentesima generazione.

A proposito di generazioni, il Machu Picchu venne edificato sei mila generazioni di pulci fa. E le pulci c’erano già allora. L’homo sapiens sapiens, l’uomo moderno, è comparso circa sei mila generazioni umane fa. L’Universo ha un’età centomila volte maggiore, eppure noi abbiamo la presunzione di raccontarne tutta l’evoluzione passata, risalendo fino a epoche tanto lontane che non erano stati ancora generati neppure gli elementi chimici che ci costituiscono e che sono essenziali per la nostra sopravvivenza. Insomma, anche il confronto temporale con l’insetto parassita sembrerebbe giocare a nostro sfavore.

Eppure, noi, piccole pulci cosmiche, annidate su un minuscolo pianeta, un giorno riusciremo a vincere la scommessa di raccontare per intero e nel dettaglio la storia dell’Universo sconfinato che ci ospita.

La nostra forza è l’intelligenza, quella strana e prodigiosa facoltà che solo noi abbiamo, qui sulla Terra, di incuriosirci di tutto ciò che ci circonda, di voler conoscere e capire, di entrare nei complessi meccanismi che plasmano il mondo per ricostruirne la storia passata e prevederne quella futura, con l’intenzione di intervenire attivamente nei processi naturali per piegarli ai nostri fini. L’intelligenza ci ha reso abili, pratici, efficienti, anche se l’abilità non sempre è illuminata dall’intelligenza. Molto spesso operiamo male, sollecitati da impellenze che mal governiamo, da egoismi di classe sociale, o nazionali, che non tengono nel dovuto conto l’interesse generale della specie. Ma un giorno riusciremo a darci forme politiche di controllo e di comando che supereranno gli orizzonti spaziali e temporali angusti entro cui ancora oggi ragioniamo e operiamo. Solo allora potremo dire d’aver dispiegato tutto il potenziale della nostra mente. Ce la faremo? Sì, perché siamo esseri intelligenti.

Studiare l’Universo, sforzarsi di capirlo, stimola a muoversi in quella direzione. Quando ci si confronta con le smisurate dimensioni spazio-temporali della scena cosmica in cui siamo attori, da un lato si coglie la nostra piccolezza materiale, dall’altro si può pienamente apprezzare il valore grandioso di quel dono che la Natura ci ha fatto, l’intelligenza.

Per quel che ne sappiamo, non esistono altri esseri intelligenti nella Galassia. Nulla vieta che esistano, anche molto più intelligenti di noi, e personalmente sono propenso a pensare che sia così. Ma finché non ne avremo una prova certa, dobbiamo pensare che solo a noi uomini del pianeta Terra sia stata concessa questa formidabile prerogativa e allora guai a non farne tesoro, anzitutto per riflettere sull’Universo, che poi significa riflettere su noi stessi, sul nostro valore, sul senso da dare alla storia della nostra specie. Non si può essere uomini, degni di questo nome, senza essere anche un po’ cosmologi.

Del resto, non c’è cultura umana che, nel passato, non abbia avvertito lo stretto legame che c’è tra l’uomo e il cielo e che, attraverso i suoi filosofi, non si sia sforzata di attribuire una dimensione cosmica al nostro essere uomini. Il cosmologo è il filosofo della natura dei giorni nostri, dell’epoca in cui il cielo può essere non solo cantato dai poeti, invocato dai sacerdoti, contemplato con stupore o scrutato con inquietudine, ma anche, finalmente, indagato con razionalità, misurato e oggettivamente compreso dalla scienza.

Ecco dunque il senso di questo libro: raccontare le conquiste della cosmologia nel modo più piano possibile, per favorire l’approccio all’argomento di quanti non abbiano specifiche conoscenze fisiche e astronomiche, acquisite attraverso gli studi.

Divulgare la scienza è difficile. La cosmologia, poi, presenta aspetti altamente tecnici che mettono a dura prova le qualità del divulgatore. Mi sforzerò di rendere i concetti il più possibile intuitivi, affinché il lettore possa coglierne almeno il senso generale, se non anche il loro significato fisico e matematico. Talvolta ricorrerò a esemplificazioni che al purista del linguaggio scientifico faranno storcere il naso, ma non esagererò in questo esercizio, ricercando il giusto equilibrio fra rigore e divulgazione, e comunque evitando che la semplificazione scivoli nella banalizzazione. Quando si renderà indispensabile, introdurrò anche qualche equazione e box d’approfondimento che però non richiedano conoscenze matematiche superiori a quelle di uno studente di liceo: questo perché il linguaggio della matematica ha una concretezza, oltre che un’elegante compattezza, che la lingua parlata non può neppure sognarsi di avvicinare.

Se, chiudendo l’ultima pagina, il lettore sarà un poco più conscio della propria dimensione cosmica, se gli capiterà di riflettere come non aveva mai fatto prima sulla storia degli uomini, inquadrandola nel contesto della storia dell’Universo, se gli si saranno spalancati davanti nuovi sconfinati orizzonti da esplorare, allora lo scopo del libro sarà stato raggiunto.

Se poi anche uno solo dei miei giovani lettori, stimolato da queste pagine, deciderà di intraprendere gli studi di fisica e la carriera del ricercatore astrofisico, allora la gratificazione per l’autore sarà massima. Ci sarà un cervello in più ad alimentare l’intelligenza collettiva della specie e tutti noi gli saremo grati per quanto contribuirà ad aprirci la mente, elevandoci dalla misera condizione di povere piccole pulci che non sanno guardare al di là di quattro peli di gatto.

Corrado Lamberti, febbraio 2011


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