Fonte: “Rinascita”
Effetto domino? Contagio? Le cause delle agitazioni che stanno interessando l’area del Golfo Persico ed il Nordafrica sono profondamente differenti; tali dissomiglianze vengono illustrate in un fondamentale lavoro di Pietro Longo e Daniele Scalea, Capire le rivolte arabe: Alle origini del fenomeno rivoluzionario – edito pochi mesi fa per Avatar éditions e per l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG).
A Firenze, il prestigioso Circolo Vie Nuove – ex Casa del Popolo del Pci – ha ospitato la presentazione del volume nell’ambito del tema Mediterraneo: Mare Mosso, avviato giorni addietro dagli interventi di Lucio Caracciolo e Umberto De Giovannangeli, per capire l’evoluzione politica, i nuovi equilibri, i traffici e il quadro socio-economico di questo teatro strategico che è il Mediterraneo. Il Circolo da tempo si segnala per iniziative e incontri culturali di primissimo livello nazionale; amministratore è Daniele Sordi.
L’incontro è stato organizzato da Alessandro Michelucci: direttore del Centro di documentazione sui popoli minacciati; esperto di minoranze; collaboratore dell’Università di Firenze sul progetto LanMob (dedicato ai problemi delle minoranze linguistiche europee); giornalista. Egli, inoltre, ha intessuto una fitta rete di contatti in Europa e in tutto il mondo e collabora a numerose testate cartacee e su internet.
Oltre all’autore Scalea, sono intervenuti Giovanni Armillotta, assistente di Storia dei Paesi afro-asiatici e islamici a Pisa, nonché direttore del periodico “Africana” (fra i sedici italiani consultati dall’ “Index Islamicus” dell’Università di Cambridge) e Vincenzo Durante, assistente ordinario di Diritto romano a Firenze, nonché saggista. “Si tratta di un gran bel libro, denso ed armonioso, di studiosi di alto profilo, orientalisti, ricercatori e redattori di ‘Eurasia’ – Rivista di studi geopolitici – non generici analisti improvvisati; una ricostruzione attenta, frutto di ricerche su un imponente materiale, lucida, scrupolosa e aliena da schemi interpretativi preconfezionati ed etnocentrici” ha osservato Durante.
Pietro Longo, arabista, è dottorando in Studi sul Vicino Oriente e Maghreb all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, dove si occupa di diritto musulmano e dei paesi islamici e nello specifico del cosiddetto Costituzionalismo islamico. Tra i suoi interessi ci sono anche la geopolitica e le relazioni internazionali del Vicino Oriente. Dal 2010 è nella redazione della rivista di geopolitica “Eurasia”. Daniele Scalea è laureato in Scienze storiche all’Università degli Studi di Milano, segretario scientifico dell’IsAG e redattore anch’egli della predetta rivista sin dal 2004. Nel 2010 ha pubblicato il libro La sfida totale. Equilibri e strategie nel grande gioco delle potenze mondiali (Fuoco Edizioni, Roma 2010).
Gli autori, entrambi giovanissimi – come messo in risalto da Armillotta: di Scalea si potrebbe credere sia “un vecchio docente forbito che conosce il russo alla perfezione, dalla modestia aulica e dal linguaggio stranamente attuale”, non fosse, in realtà, poco più che ventiseienne – fanno chiarezza sugli ideali e le aspirazioni che animano i nostri vicini arabi, tratteggiando le future fattezze del mondo, una volta che l’ondata della rivolta avrà preso la piega imposta, male che vada, da Casa Bianca, Londra e Parigi.
In particolare, ha ribadito Vincenzo Durante, il testo “disvela la struttura nascosta della retorica dei media occidentali sulla primavera araba, alcuni dei quali hanno enfatizzato il carattere eroico e quasi romanzesco delle rivolte dipingendole come movimenti popolari spontanei che mediante l’autorganizzazione e l’uso di mezzi tecnologici hanno rovesciato i regimi tirannici che da decenni li opprimono. Altri hanno seguito la linea della diffusione di notizie esagerate di proposito, dai caratteri grotteschi, in modo da involgere un clima favorevole alle rivolte e ai rovesciamenti di regime. Si pensi alla notizia della pratica, da parte degli ufficiali di Gheddafi, di distribuire alle truppe dosi di Viagra, sì da risvegliare gli istinti dei combattenti e spingerli ad effettuare stupri punitivi sulla popolazione femminile degli insorti. E in questo anche media arabi molto noti hanno le loro responsabilità. La prima vittima della guerra è la verità, avvertiva Eschilo già nel V secolo avanti Cristo”.
Ancora una volta, la stampa omologata ha dunque peccato di retorica e semplicismo, dispensandosi dal riportare le vere sembianze di un fenomeno molteplice e variegato, nonché dal riferire la natura dei complessi rivolgimenti che ne scaturiscono. Si è voluto dar ad intendere che i vari gruppi etnici di rivoltosi anelino ad equipararsi, volontariamente, alle forme di governo liberal-democratiche – ispirate al consumismo massificante – che ottenebrano i cervelli occidentali. Una spessa cortina fumogena – ovvero, il polveroso cover-up informativo – ha eclissato le proteste sciite in Arabia Saudita, Yemen e Bahrein, distorcendo al contempo l’ascesa del Fratelli musulmani sunniti e gli eventi occorsi in Libia e Siria. “Nel Golfo abbiamo dei Paesi che sostanzialmente sono delle monarchie autoritarie; regimi basati sul potere patrimoniale di poche famiglie. Laddove invece, in Paesi come la stessa Tunisia, l’Algeria e l’Egitto, abbiamo una società civile molto più dinamica, in cui esistono dei partiti politici che, in qualche modo, hanno già interiorizzato la dialettica partitica e il processo democratico. Il Golfo Persico è una realtà a sé stante, in cui a decidere sono quelle poche famiglie che hanno interesse a non far entrare nuovi attori nel discorso politico, per mantenere l’amministrazione delle risorse petrolifere o, comunque, degli idrocarburi” aveva tenuto a precisare Pietro Longo, nel corso di un’intervista rilasciata, all’inizio di marzo, a RaiNews24.
Concorde nella suddetta analisi, Giovanni Armillotta individua nella condotta dell’amministrazione guerrafondaia di Barack Obama un tentativo di esorcizzare l’accaduto e preservare la propria immagine dall’onta dello scacco matto subito nella regione fra Iraq e Afghanistan e nella fine del progetto unipolare. Del resto, tale atteggiamento sembra essere perfettamente in linea con le aspirazioni dell’uomo da 110 milioni di dollari – la somma di denaro investito da corporation, lobby e banche nella prima, fragorosa campagna mediatica del presidente amerikano.
A parere di Durante, “quel che sta succedendo a un passo dalle nostre case, dalla Tunisia, al Bahrein, alla Libia viene spiegato incrociando dati, cifre, verifiche economiche e, ovviamente, illustrando le specificità culturali e socio-economiche, tra eterogeneità e complessità, di un mondo che non è speculare ai pregiudizi occidentali, alle teorie dello scontro di civiltà, alle teorizzazioni dei neo-con americani e dei loro emuli italiani sull’inconciliabilità ed incompatibilità fra islam e democrazia”. Ciascuno scenario della realtà vicinorientale è stato sviscerato nelle sue prerogative specifiche; il volume in questione rappresenta perciò uno squarcio nel velo dell’oblio e della mistificazione che ha contraddistinto, sinora, il pensiero unico dominante.
L’Italia, al di là delle proprie alleanze atlantiche, non può certo ignorare le imminenti e assai probabili ripercussioni di quanto si sta verificando nello spazio mediterraneo: presto o tardi, dovrà confrontarsi con varie incognite e complicanze – ad iniziare dalla crisi libica, di cui sta già pagando lo scotto sia in termini di credibilità, per aver violato il Trattato di Amicizia con la Libia, che di ingenti spese militari; nonché, con il peso dell’incertezza sul futuro approvvigionamento energetico della penisola, e la fine dell’egemonia imprenditoriale del Bel Paese sul e nell’ex Quarta Sponda.
Il pubblico, folto, ha posto domande numerose e stimolanti nel dibattito a conclusione degli interventi. In conclusione va detto che il volume è un primo passo verso la verità, quale liberazione dal pregiudizio: in tal senso, gli autori ci forniscono un indispensabile strumento.
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