Come fare a capire se lo psicologo è quello giusto, se va bene per me e non sto perdendo tempo? Come fare a capire che è quello giusto e non mi farà stare peggio?
Una volta presa la decisione di rivolgersi a uno psicologo, ci si può chiedere se il professionista faccia al caso nostro oppure no. Quali sono dunque gli elementi che possono aiutare a fugare paure e dubbi in chi si rivolge a uno psicologo o a uno psicoterapeuta?
Lo psicologo giusto
Alcuni di questi dubbi sono stati già discussi in altri post. Mi riferisco all’età, al modello psicoterapeutico, al sesso dello psicologo: uno psicologo in gamba può essere indifferentemente giovane o vecchio, cognitivista o psicodinamico, uomo o donna.
Io credo che ciò che conti davvero sia la qualità della relazione che si crea tra paziente e psicologo. Detto altrimenti, il punto centrale è il modo in cui si sente il paziente quando parla con lo psicologo di cose che magari non ha mai osato dire a nessuno. Si sente capito e ascoltato? Avverte che le sue parole vengono rispettate, che quello che sta dicendo suscita la curiosità dello psicologo, che lo psicologo si sforza di capire come sia il suo mondo? O, al contrario, si sente fuori posto, gli sembra che lo psicologo si distragga spesso e non ricordi quello che gli viene detto? Sente che allo psicologo non importa granché dei suoi patimenti?
L’alleanza terapeutica
La ricerca ha sottolineato come una buona relazione tra paziente e terapeuta sia uno degli elementi che contribuiscono all’efficacia di una psicoterapia. Molti psicoterapeuti parlano di alleanza terapeutica, che è qualcosa che si riferisce non solo alla sensazione di vicinanza empatica che fluisce tra paziente e terapeuta ma anche al fatto che paziente e terapeuta collaborano per raggiungere i medesimi obiettivi di conoscenza di sé e cambiamento.
Lo psicologo giusto è allora quello con cui si sta bene (in senso lato) e quello che aiuta a capire, che fa vedere le cose da un’altra prospettiva. Lo psicologo giusto è quello che accoglie emozioni e pensieri e facilita la nascita di altre emozioni e altri pensieri ancora.
È così semplice?
Dove sta l’inghippo? Sta nel fatto che la percezione è influenzata dalla nostra personalità. Questo significa che, se il paziente percepisce lo psicoterapeuta come indifferente o assente, non è detto che questa percezione corrisponda alla realtà e che lo psicoterapeuta sia davvero così come descritto.
Potrebbe darsi che si tratti di una visione unicamente soggettiva, che riflette cioè le difficoltà del paziente, la sua paura di cambiare. In un caso del genere, pensare che lo psicoterapeuta sia distante può giustificare agli occhi del paziente la decisione di abbandonare la terapia. Il paziente può dirsi che “ci ha provato”. Si evita così di affrontare la fatica di nuovi pensieri e nuovi comportamenti e ottiene il permanere dello status quo.
Che fare?
Io penso che sia sempre buona cosa parlare col proprio terapeuta delle sensazioni che si hanno su di lui/lei. Parlare può aiutare a sciogliere il dubbio e a capire se critica, indifferenza, noia percepite nello psicoterapeuta sono un dato oggettivo – una coppia terapeutica che non funziona – o un problema che appartiene al paziente e che si ripropone all’interno della relazione con il terapeuta.
Tirando le fila del discorso, se un paziente si sente costantemente criticato o non ascoltato né capito, se non si sente a suo agio con il suo psicoterapeuta, se parlare di queste sensazioni non lo ha aiutato a chiarire la questione (e se non avvengono cambiamenti psicologici significativi), beh, questo paziente può pensare che il suo psicoterapeuta – di certo ottimo professionista con altri – non sia quello giusto per lui.
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Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, si occupa di adulti e adolescenti, a Roma. In particolare, è specialista in disturbi d’ansia e depressione e nella prevenzione dei comportamenti a rischio. Ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli.
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