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Capitalismo divino

Creato il 26 gennaio 2012 da Ilcasos @ilcasos

Riceviamo e pubblichiamo una recensione di un nostro lettore all’introduzione di “Capitalismo divino”. Buona lettura!

  

Capitalismo divino

Sul Manifesto dell’11.11.11 è apparsa una recensione di un libretto pubblicato di recente e intitolato Il capitalismo divino. Colloquio su denaro, consumo, arte e distruzione, ed. it. a cura di Stefano Franchini, Mimesis, Milano 2011, pp. 160. Il recensore esamina principalmente il Colloquio, la parte centrale del libro, un incontro svoltosi a Karlsruhe nel luglio del 2005 (in un periodo dunque precedente all’esplosione della crisi globale) durante il quale un gruppo di filosofi tedeschi di grido (tra i quali Peter Sloterdijk e Boris Groys, i più noti al pubblico italiano) discute delle trasformazioni del capitalismo contemporaneo. L’edizione italiana, a differenza di quella tedesca pubblicata nel 2007, è arricchita da una lunga Introduzione e da un’appendice testuale, con frammenti inediti o ritradotti di Friedrich Engels, Max Weber, Walter Benjamin e Slavoj Zizek. La lunga introduzione del curatore italiano tenta di dare una definizione di “capitalismo divino” (ossia di “capitalismo come religione”), spiegando le implicazioni metodologiche (teologia economica) che questo concetto comporta, mentre l’Appendice raccoglie alcuni testi paradigmatici di tale approccio. Il saggio introduttivo definisce, attraverso una rilettura originale (e solo abbozzata) del Capitale di Marx, che cosa sia il “capitalismo” e quali siano stati i suoi macro-stadi evolutivi. Partendo dalla formula universale con cui Marx “riassume” concettualmente il funzionamento del capitale, vengono individuati tra stadi, chiamati Alto, Medio e Basso capitalismo, caratterizzati rispettivamente dalla centralità del capitale produttivo, del capitale-merce e del capitale monetario, secondo il ciclo logico di Marx, che qui diventa figura di un ciclo anche storico-geografico, con cui è possibile leggere in trasparenza, tra l’altro, l’assetto geopolitico globale e l’equilibrio tra potenze imperialistiche. Alcune aree ferme allo stadio precapitalistico, altre impegnate nello sforzo dell’industrializzazione primaria sempre più rapida (le vette dell’Alto capitalismo produttivo), altre rilassate sulle spiagge del Medio capitalismo e altre ancora, le più avanzate e indebitate, già in transito verso le paludi del Basso capitalismo.Trovo che sia una definizione semplice (forse semplicistica) del capitalismo, ma chiara ed efficace, e soprattutto molto attuale, perché coglie le profonde trasformazioni sociali, culturali-morali e politiche che intervengono quando, al centro della scena logica ed economica di una nazione, il capitale produttivo subentra al modo di produzione feudale, quando il capitale-merce subentra al capitale produttivo, e quando, come oggi nei Paesi a capitalismo avanzato, il capitale monetario scalza il capitale-merce. Nell’introduzione si dice una cosa banale ma verissima: l’architettura interna del “Capitale” coincide con le fasi di sviluppo del “capitale”: il libro primo dedicato al capitale produttivo, il libro secondo alla circolazione, ossia alle dinamiche del capitale-merce, il libro terzo al capitale monetario (capitale fittizio e borsistico, credito, prestito a interesse ecc.). Oggi quindi il libro terzo ha un’attualità sorprendente, specie dove parla di “feticcio automatico” rispetto alla relazione tra creditore e debitore. In secondo luogo, l’introduzione sottolinea la validità del materialismo storico in quanto metodo d’analisi, riabilitandolo grazie a un salto mortale teorico: viene associato alla funzione critica della “teologia economica”, un concetto che già Giorgio Agamben, in questi anni, ha tentato di esplorare. Se il capitale è il Dio moderno, se il capitalismo è una religione sui generis, mondana, immanente, ma analoga a un vero e proprio sistema religioso, e se questo sistema religioso va soggetto a metamorfosi storiche (dio produttivo, dio-merce, dio denaro), che scalzano tutti gli altri sistemi religiosi precedenti e coevi, assoggettandoli, allora il predominio progressivo (e ormai incontrastato) dell’Economico su tutte le altre sfere, riabilita il fondamento teorico del materialismo storico, ossia che la base strutturale dei rapporti di produzione determina la grande sovrastruttura “con la precisione delle scienze esatte”. Solo che la base è incardinata, di volta in volta, su una figura specifica di capitale, che detta l’agenda per plasmare la sovrastruttura. Il fatto di vedere il capitalismo come una religione, con un proprio percorso storico e conflittuale rispetto agli altri sistemi concorrenziali, mette in crisi anche il paradigma della secolarizzazione e la tesi weberiana della derivazione “protestante” del capitalismo. Il capitalismo non è derivato dal protestantesimo, ma l’ha usato nel suo tragitto evolutivo e poi se ne è liberato quando è diventato un ostacolo, così come ha fatto con il cattolicesimo, in seguito con la new age con le etiche orientali. A fine ottocento, quando la religione capitalista, con la sua radicale immanenza, ha scalzato ogni residuo di trascendenza e si è finalmente affrancata dagli altri sistemi, ha potuto elaborare un proprio autonomo sistema di pensiero.

E’ soprattutto nella filosofia di Nietzsche e nella teoria freudiana (e nel determinismo che connota la filosofia della storia marxiana, per cui il capitalismo un bel giorno si ribalterebbe in comunismo con la forza di un automatismo) che il capitalismo divino trova la propria teologia e la propria etica più adeguate, stilizzando l’individuo ideale del capitale moderno, quell’homo oeconomicus razionale e relegato in una sfera d’immanenza interamente mondana, profana. Il libro invita dunque a tenere conto di questo passaggio storico epocale delle nostre società dal Medio al Basso capitalismo, con tutto quel che comporta in termini di nuovi soggetti conflittuali, nuovi rapporti imperialistici, nuovi strumenti di sfruttamento, nuove forme di controllo e governance. Con un certo anticipo teorico, il libro invita a riflettere sul dopo-Berlusconi, visto come rappresentazione cristallina di questo passaggio dal videocrate al bancocrate. Sembra un monito davvero attualissimo.

Nuke

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capitalismo, il manifesto, Mark Jongen Eco e Voci


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