Capitalismo Oligopolista

Creato il 18 maggio 2011 da Fugadeitalenti

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Le buone notizie, per cominciare: un articolo de Il Sole 24 Ore uscito lo scorso sabato ci informa che la tanto attesa legge Controesodo, per il rientro dei cervelli, è -per davvero- in dirittura d’arrivo. Con un paio di mesi di ritardo sul previsto… ma dovrebbe essere fatta. Approvata a fine dicembre in via definitiva dal Parlamento, la legge ha ottenuto finalmente il suo decreto attuativo, firmato dal Ministero dell’Economia, d’intesa con quello dell’Istruzione. Il Decreto, a quanto afferma l’articolo, è attualmente all’esame della Ragioneria Generale dello Stato per l’ok finale. Permetterà ai giovani italiani residenti da almeno due anni all’estero di tornare -se lo vogliono e lo ritengono opportuno- nel Belpaese, con crediti di imposta importanti. Vi terremo aggiornati .

Oggi vorrei però parlarvi di un termine che mi ha molto colpito, quando ho moderato, lo scorso venerdì, la “Brain Calling Fair di Milano“. Uno dei relatori al convegno del pomeriggio ha dipinto l’Italia come un “capitalismo oligopolista“. Un Paese, insomma, dove ogni istanza di cambiamento è la negazione della ragion d’essere del sistema. Si tratta della tipologia peggiore, tra le quattro forme di capitalismo possibili, tutte elencate dallo stesso relatore nel corso del convegno. Perché è un sistema che non cambia mai. Che non si adatta alle novità. Che vive la novità come uno sconvolgimento. E che per questo non riesce ad agganciare il treno del futuro e della modernità.

Bene ha sintetizzato James Murdoch, amministratore delegato di News Corporation, la scorsa settimana al convegno “Crescere tra le righe” di Bagnaia. “Sfortunatamente, una parte di questo Paese fa resistenza al successo su base meritocratica, fa resistenza alla creazione di opportunità per i giovani di talento che non appartengono all’establishment tradizionale, fa resistenza a qualsiasi cosa che sappia di cambiamento“. Un’istantanea che non fa una piega, scattata da uno straniero che da anni sta cercando di penetrare il mercato più oligopolista d’Italia, quello televisivo. Talmente oligopolista da apparire quasi un residuo della Guerra Fredda, con due grossi blocchi (Rai-Mediaset) impegnati a difendere alla strenuo lo status quo. E’ una considerazione che fa riflettere.

Giovedì scorso sono stato invece ospite alla Scuola di Alta Formazione al Management (SAFM) di Torino: realmente una bella esperienza, con giovani di altissimo profilo, molto ben selezionati (tutti economisti o ingegneri), che hanno posto domande sostanziali sulle aspettative professionali in Italia e all’estero, sui meccanismi di selezione, sui salari, ma anche e soprattutto sulle differenze tra il nostro Paese e quelli di nuova emigrazione. Ne è nata una discussione vivace, interessante, ricca di spunti, con una platea di giovani desiderosi di capire come poter cambiare -in positivo- l’Italia. Su come non divenire vittime di un Paese per Vecchi. Ma modificarlo dall’interno.

Cosa potrà accadere, se non ce la facessero? Già ora i sondaggi lo mostrano con chiarezza. Sondaggio GfK Eurisko, citato al convegno “Crescere tra le righe” di Bagnaia: il 58% dei giovani intervistati vuole lasciare l’Italia per studiare all’estero; il 59% vorrebbe fare la stessa cosa per lavoro. Il 43% di loro sogna di lasciare questo Paese definitivamente.

Così proprio non va. Serve una sterzata. Serve un profondo rinnovamento. Non di facciata, però. Un rinnovamento guidato dai giovani, animati da volontà di reale innovazione e con un background internazionale. In grado di trasformare questo “capitalismo oligopolista” in un “capitalismo moderno e basato sulla concorrenza reale”.

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