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Capitoli da ricordare

Creato il 17 maggio 2010 da Marce982

Capitoli da ricordareRevisionare un romanzo è un lavoro in genere molto lungo, a volte molto più lungo che scriverlo. È un’attività interessante, perché ti consente di guardarti dentro e di metterti in discussione credo come nient’altro (a parte eventi funesti che non è mai bene augurarsi).

Revisionare un romanzo è come guardare un album di fotografie, ci ritrovi vecchi amici, gente di cui avevi dimenticato l’esistenza, altri che avresti preferito dimenticare; magari sorridi osservando quella foto folle in cui insieme ad altri stai in una posa al limite tra un gruppo di acrobati del circo russo e una banda di matti.

Revisionare un romanzo ti dà la possibilità concreta di cancellare tutto quello che non va, tutto quello che ti fa storcere il naso, tutto quello che non avresti mai voluto scrivere. Insomma l’opportunità di reinventare l’intera storia senza remore, senza ripensamenti.

Ma questo non è sempre vero. Ottenere un distacco tale da riuscire a essere veramente dei buoni critici di se stessi non è mai cosa facile. Ancora più difficile quando ti trovi di fronte a un paragrafo che rispecchia indistricabilmente una parte di te. Come se tu avessi preso un pezzo del tuo fegato e lo avessi piazzato proprio lì, in quel punto: sbarazzarsene diventa difficile, improponibile.

Brutta gatta da pelare, soprattutto nel momento in cui ti rendi conto che in quella porzione di te c’è davvero qualcosa che non va, qualcosa che non funziona.

Ma non è sempre così.

Ci sono volte in cui finisci di leggere un capitolo e ti rendi conto di trovarti di fronte non alla cosa più bella che tu abbia mai letto, ma alla cosa migliore che tu abbia mai scritto. Poi sfogli le pagine all’indietro e ti rendi conto di avere corretto pesantemente quanto avevi scritto, di avere apportato modifiche sostanziali che hanno snaturato il capitolo rispetto a quello di partenza. Allora ti dici «Caspita! non doveva essere così buono, allora».

Però continua a girarti nei pensieri, non riesci a togliertelo dalla testa.

Ci pensi su, cerchi di comprendere la ragione di questo frullare di parole di cui non riesci a liberarti e ti rendi conto piano piano che in realtà, quello che hai di fronte è davvero il migliore capitolo che tu abbia scritto. E non perché sia stato perfetto in origine, ma perché sei stato in grado di renderlo migliore, di prendere la materia grezza e portarla a uno stadio superiore.

Attenzione.

Non sto dicendo di avere scritto la cosa migliore che la storia della letteratura abbia mai visto. No. Sto semplicemente dicendo che, nella carriera di uno scrittore (o aspirante tale) ci sono delle pietre miliari, dei brani (o capitoli, chiamateli come vi pare) che rappresentano in maniera più compiuta di altri lo spirito dell’autore, che riescono a rivelarne l’anima più di altri, che ne svelano i propositi meglio di un intero romanzo. Ecco, questi sono i capitoli da ricordare, quelli da rivedere con maggiore piacere, anche a distanza di anni.

Nei giorni scorsi mi sono ritrovato tra le mani uno di questi capitoli da ricordare, alla fine mi sentivo in uno stato di grazia, in pace con l’intero cosmo. Ce n’è uno simile anche ne Il destino di Eufeld, forse, appena uscirà in libreria vi svelerò qual è.

Stay tuned.

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