Magazine Racconti

Capitolo 72 (epilogo)

Da Blackvinylblues @blackvinylblues

Sono tornato da un giorno, e non sono più abituato al mio letto.
Vorrei un libro.
Le chiazze dei vinili mancanti si fanno presenti, pesanti.
Come se mi avessero rubato dei vinili.
In realtà no, è il tempo che se li è portati via. Scusa del cazzo. Li ho venduti per tirare avanti.
Chiamai il commissario.
- Che cazzo fai? Sono le quattro! - esordì il commissario.
- Già. Non riesco a dormire.
- Io sì. Cosa c'è?
- Non so cosa fare della mia vita.
- Che novità.
- Davvero. Florian mi ha offerto un lavoro.
- Quindi?
- Non so se accettare.
- Cosa dovresti fare? Portare vinili da un alto all'altro di Cipro?
- No. Libri.
- A Cipro?
- Ma che cazzo c'entra Cipro? Dovrei essere un semplice commesso.
- Capito. Fai come vuoi. Di solito le minestre riscaldate fanno schifo.
- Ma non sarebbe una minestra riscaldata. Solo, farei un pranzo con gli stessi ingredienti.
- Complimenti per la metafora.
- Grazie. Ma quindi, cosa mi consigli?
- Ti consiglio di vederti intorno.
- Ok.
- Ciao.
- Notte.
Lo prendo alla lettera.
I muri sono gli stessi, pieni di vinili, libri e palle di vetro con neve.
Ricordi. Sono stato fermo venticinque anni a vedere questi ricordi, a vivere di questi ricordi, a sfruttarli.
Penso a quanto mi disse Florian.
"Ricordati la promessa".
Rimettendo i diari a posto, insieme alle musicassette, continuo a pensarci.
Sarei dovuto andare avanti.
Vedo fuori dalla finestra. La scuola è chiusa per neve.
Il manto di neve mi ricorda Hof.
Ma vorrei cavalcare questa nuova scossa che mi ha dato questa esperienza.
Vorrei andare avanti.
Mi sembra quasi che i vinili mi osservino.
Ma non capisco cosa vogliano dirmi.
Prendo un libro.
Finalmente. L.A. Confidential. Un classico.
Ma lo ripongo subito.
Torno a letto.
Avrei bisogno di una sigaretta. Ma ho smesso.
Preparo un caffè. Ormai è tempo quasi di svegliarsi.
Continuo a vedere fuori dalla finestra. Comincia a nevicare.
Invece dei bimbi vedo un paio di ubriachi che pisciano sulla neve. Penso provino a scrivere il proprio nome.
Uno cade. Io sghignazzo, anche perché non mi sente. Mi allontano.
Il caffè è pronto.
Il fumo, come al solito, esce sinuoso.
Ma spinto dal vento freddo, si spinge verso il telefono.
È tempo di decidersi.
Penso di non mettere molto in gioco, ma è tutto quello che ho.
- Pronto, Florian?
- Sì, ma chi cazzo è alle quattro e mezzo del mattino?

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