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Capitolo i

Da Arkavarez


I. PrologoEra da poco l'alba e come al solito mi trovavo sulla spiaggia, sopra un letto fatto di foglie di palma. Ne avevo creato uno per rilassarmi la mattina dopo le mie passeggiate, era piacevole stendersi anche se la sabbia nei capelli dava sempre una gran noia. Il sole batteva sopra la mia pelle e tenendo gli occhi chiusi, ascoltavo il fruscio costante del mare e del vento. Pensavo tra me e me: stamattina mi sento cosi bene, che non ho voglia di lavorare. Era senza alcun dubbio una giornata bellissima. Con un semplice laccio di scarpe ero riuscito a costruire una collana: avevo appeso ad esso una pietra cristallina verde a forma di dente di pesce, che tenevo sempre in tasca. Il risultato era stato un favoloso oggetto fatto con le mie mani, senza averlo dovuto comprare Dovete sapere che sulla mia isola, si badava sempre di più a gli acquisti e ai possessi, tutti erano sempre a contare le monete in tasca, mentre io ero fuori da quest'ottica. La verità è che raramente riuscivo a metterne una da parte. Non guadagnavo altro che piccole mance e avvolte nemmeno quelle. 
Intanto mi presento: il mio nome è Cristòbal Ortega. Appartengo per metà alla tribù dei Quemi da parte di mia madre. La tribù viene normalmente chiamata Indígenas e gli spagnoli non ci distinguono diversi dall'altra tribù, i Boricua. Da parte di mio padre, e per ironia della sorte, sono figlio anche dei spagnoli. I conquistadores si insediarono in quest'isola nel 1522 AD e sono passati ormai cinquanta anni da allora. Dicono che assomiglio a mio padre e forse anche per il colore degli occhi castani, ma a differenza degli spagnoli, il mio colore di pelle è molto più scuro. Non posso essere nemmeno paragonato ai quemi, in quanto ho da sempre ricevuto un'educazione sociale prettamente spagnola. Per riguarda i miei genitori, sono morti molti anni fa e non è argomento di cui amo parlare per vari motivi, che magari vi racconterò in seguito.
Il mio padrone è il gestore della taverna Rayo de luna, si chiama Ferdinandez Valencia, mentre io sono solito chiamarlo Señor Valencia, o ancora più semplicemente: il vecchio. Grazie a lui avevo un alloggio in cui ripararmi, mi offre da mangiare e io per ripagarlo degli sforzi che fa per me cucino per i nostri clienti. Ero sempre stato contento della mia sistemazione ma avvolte speravo anche di provare altri lavori, trovare più redditizio e in maniera che potevo crearmi qualcosa di mio. Finora mi ero sempre arrangiato come meglio potevo essendo orfano.
Non ero tuttavia solo e c'era una persona a cui tengo particolarmente, oltre al vecchio, era sua figlia Christina. Lei porta sempre i capelli castani lunghi, racchiusi in una treccia, ha un volto molto fine e gli occhi scuri, il suo naso è piccolo e le sue labbra presentano un espressione sempre allegra. E' una ragazza molto bella e devo ammettere che mi piace molto, solo che non avevo mai osato confessarle cosa provavo nei suoi confronti. Eravamo cresciuti come fratello e sorella, ma senza mai esserlo. Di sicuro eravamo grandi amici, ma col passare del tempo mi accorgevo di desiderare qualcosa da lei, ed era qualcosa che andava oltre alla semplice amicizia. Non sapevo se per lei era lo stesso, a parlarne fino ad allora con lei , aveva sempre prevalso l'imbarazzo. Era in ogni caso l'unica persona che mi era sempre stata accanto, in quel mio breve tratto di vita. Comunque quella mattina avevo allungato la mano per prendere la mia sacca di pelle, la portavo sempre con me e avevo deciso di fare un passeggiata, incamminandomi verso il paese. La taverna del Señor Valencia era ancora chiusa, avevo pensato : ancora dorme il vecchio. Avvicinandosi al villaggio che si chiama Santo Sepulcro, si potevano osservare le terre coltivate dai campesinos, tuttavia chiunque non si sarebbe trattenuto dallo stupore guardandoli, la loro povertà è sempre stata estrema! Le persone del villaggio coltivano mais e lo impararono dai quemi, anche le patate dolci sono diffusissime su quest'isola. Un'altra cosa che curano sono le piante di guava, , fanno dei frutti dal gusto zuccherino e credetemi, sono una prelibatezza molto apprezzata. Molti avevano importato capre e cavalli, sono animali che provengono dal grande continente, anche essi servivano per essere allevati e poi mangiati. Inoltre c'erano anche poche zone particolari, erano quelle dedicate alle foglie di tabacco e di canne da zucchero. Il tabacco era richiestissimo per produrre sigari, le canne da zucchero invece servivano per produrre il rum, entrambi erano cose molto richieste. Il periodo peggiore era la stagione torrida, molto spesso i raccolti si bruciavano e coloro che non riuscivano a sopravvivere, a causa della mancanza di monete, si salvavano grazie alla pesca. Attraversando i campi ero arrivato al villaggio. Non è posto grande ma comunque ci abitavano diverse centinaia di persone. Le case sono fatte di legno, i tetti sono sporgenti ed sono fatti di travicelli e pagliericci intrecciati. Sono tutte così, ad esclusione della residenza del feudatario di queste terre, è chiamavato da tutti: Il Señor de la villa. Vive in un podere poco più a nord di Santo Sepulcro e possiede una casa enorme, costruita in pietra. Addentrandomi per le strade del paese provai a vedere se qualche passante aveva bisogno dei miei servigi, ero intenzionato a racimolare qualcosa in cambio qualche commissione. Le mie aspettative quella mattinata furono purtroppo deluse, e così, arrivando a mezzogiorno, la fame era incominciata a farsi sentire. Mentre camminavo a ritornare alla taverna, ad un tratto sentì la voce di due uomini parlare tra di loro, sembravano dei pescatori. Dentro di me avevo pensato: magari avranno un incarico per me. Convinto di questo mi ero avvicinato per rivolgergli la parola. L'unica cosa curiosa era che avevo notato che entrambi voltandosi verso di me, si erano scambiati un occhiolino. Uno di loro mi fece cenno di avvicinarmi, mentre cercando di essere il più possibile cortese, domandai se loro potevo essere d'aiuto o se gli serviva qualcosa. Il primo sembrava un po anzianotto o forse non portava bene la sua età, il suo aspetto tuttavia era decisamente sinistro. Aveva un volto pallidissimo e pieno di cicatrici, aveva una barba lunga mentre la sua testa era calva. I suoi denti erano consumati e anneriti, la sua stazza era grossa e muscolosa, l'unica cosa certa era che non amava lavarsi troppo spesso, potete credermi se vi dico che il suo odore avrebbe rivoltato chiunque. Proprio quest'ultimo iniziò a fissarmi attentamente. Anche l'altro uomo non era messo meglio, a differenza del primo, si presentava con un'aria divertita. Fisicamente era molto più snello, portava capelli lunghi castani chiusi con una benda consumata, la sua barba era corta e castana, mentre i suoi vestiti erano sudici quanto la benda. Dopo un lungo silenzio, si presentarono con il nome di Marshall quello magro e Jeffrey quello più grosso. Oltre ai nomi stranissimi, parlavano con un accento che non avevo mai sentito.
Marshall: Look! Cosa abbiamo qua? Un marinaio? No un topo! Cosa vuoi? Lavorare? Credi forse che sia alla portata di tutti? Non è certo alla tua portata, sono lavori per cui occorrono uomini duri e decisi e tu non sei adatto. E' meglio se ti togli di mezzo!
Jeffrey: Ooh!! My poor legs! E' tutto il giorno che camminiamo e incomincio a essere stanco! Perché non va bene? Sembra sano e qualche muscolo in fondo ce l'ha. Forse è un po' magro e ha la faccia di un poppante, ma chi se ne frega! E poi guardalo bene, sembra cosi' invogliato a lavorare, potrebbe avere persino del pepe nel sedere! Diamo alla gioventù la possibilità di mostrare il proprio valore.Avevano incominciato a darmi fastidio, però la necessità fa virtù. I due uomini continuarono a litigare tra loro sul prendermi o sul non prendermi. Io stavo incominciando ad annoiarmi e ci stavano mettendo troppo per questo verdetto finale. Erano passati alcuni minuti, eppure a me sembravano ore, e finalmente i due marinai erano arrivati ad un accordo. Non capivo bene quale fosse, poiché spesso parlavano bisbigliandosi nelle orecchie. Jeffrey mi mise una mano sulla spalla e con un sorriso che sembrava un ghigno mostruoso, si rivolse a me dicendo:
Jeffrey: Oh! My old times. E pensare che un tempo avevo la tua età e il tuo stesso spirito! Mio giovane sea wolf, mi chiedo come si può lasciare uno come te senza un lavoro? Non è necessario chiederti quanta voglia ci sia in te di lavorare, lo si vede dai tuoi occhi. Il mio amico sembra rude, ma in realtà è buono come il pane e anche lui concorda con me. Abbiamo bisogno di un mozzo. Potresti iniziare con incarichi semplici, finché non conoscerai la nave e il mare, e lavorando con noi sarai in una botte di ferro. Noi ci occupiamo di pesca su un grossa barca e peschiamo sempre in queste zone, quindi potrai sempre tornare sull'isola quando vuoi. Lo stipendio è buono e verrai pagato quanto promesso, senza giorni di ritardo. Ovviamente bisogna guadagnarselo il pane, ma il capo non è molto esigente e nessuno si è mai lamentato di lui. Spero che sia una buona garanzia da parte nostra, vieni con noi e giudicherai tu stesso!Se non ti va di rimanere, puoi sempre tornare indietro! Comunque se devi raccogliere le tue cose e salutare i tuoi familiari, ricorda di fare presto perché abbiamo poco tempo! Hurry!!
Ancora non credevo alle mie orecchie! Avevo davanti a me l'opportunità di sistemarmi per conto mio, e con qualche soldo in più fra l'altro. Tuttavia era meglio, prima di partire, dirigersi un attimo alla taverna. Era da poco passata l'ora di pranzo, come al solito il Señor Valencia si sedeva sulla sedia a dondolo davanti l'entrata e si fumava il suo sigaro. Il suo sguardo era sempre lo stesso: un uomo che scruta minuziosamente ogni cosa. Il suo difetto più grande era quello di non fidarsi mai di nessuno, chiunque per lui era li pronto a derubarlo o tentare di imbrogliarlo. Tuttavia per avere l'età di sessanta anni, aveva ancora in corpo in pieno vigore fisico, i suoi capelli erano bianchi e amava essere sempre perfettamente rasato. Si vestiva con dei pantaloni lunghi fino alle ginocchia e accompagnata dal suo chaleco de cuero, ovvero una camicia senza maniche in cuoio. Quella mattina non sembrava di buon umore e prima di poterlo salutare, già iniziava a sgridarmi, arrivando come al solito, a conclusioni troppo affrettate.
Señor Valencia: Dònde has estado? La taverna era piena di gente fino a mezz'ora fa e tu te ne stavi a poltrire! Devo sempre badare a tutto, mentre tu sei sempre a inventare scuse! Vai di corsa in cucina a dare una sistemata! Cosa ci abbandoni e parti? Io sono pieno di trabajo e tu te la sbrighi andando a lavorare da qualcun altro? Maledetta gioventù corrotta, sempre a pretendere voi giovani, sapete pensare solo al guadagno. Non siete mai contenti di nulla e non vi lamentate, e perchè oziate! Ho provato a crescerti anche se non sei mio figlio, ma sei testardo come un capron! Comunque puoi andare a salutare Christina. Non voglio vederla piangere, bisogna avvertirla di una cosa così importante!
Il vecchio era rimasto sulla sua sedia a dondolo, era arrabbiato ma sentivo che anche del dispiacere nella sua voce. Mi aveva fatto un po' male sentire il vecchio prendersela in quel modo, comunque gli sarebbe passata in fretta. Entrai nella taverna e mi diressi verso il salone. L'intera taverna era fatta interamente di un legno color rossiccio, i tavoli erano disposti in quattro file adiacenti ed erano lunghissimi, accompagnati da altrettante lunghe panche. Il vecchio fra l'altro era furbo, aveva emesso uno sconto del 25% in favore dei militari, come hombre con ballesta, soldados o chaballeros. Quasi tutte le guardie del Señor de la villa erano sempre da noi e cosi' la gente losca se ne stava alla larga. Loro invece venivano in gran massa per risparmiare, ed erano monete che il vecchio sempre intascava.
Al banco non c'era nessuno e neppure ai tavoli, vi erano invece molti boccali da mettere via, decisi cosi di dare una sistemata veloce. Christina appena ebbe sentito lo sbattere dei boccali, mi raggiunse. Era molto sorridente, questo mi frustrava visto la notizia che fra poco gli avrei dovuto darle. Lei si accorse subito guardandomi nel viso che qualcosa non non andava, del resto la conoscevo fin troppo bene e come io, anche lei. Era rimasta ferma a guardarmi con aria da interrogativa. Indossava un lungo abito rosso con dei merletti vicino al seno, la parte inferiore era una gonna lunga con delle pieghe adiacenti, servivano a darle una graziosa forma ondulata, ai fianchi era molto stretto ed era più largo al petto, per scolpire la forma del suo seno. Dire che era incantevole era poco, avvinandomi per dirle che stavo per partire, mi si spezzò il cuore e l'avevo abbracciata per la tristezza che provavo. Avevo deciso poi di farmi coraggio e le raccontai subito cosa stava accadendo. Il Señor Valencia, mentre parlavo con Christina, stette ad origliarci per tutto il tempo. Christina aveva fatto una smorfia alla notizia e cercava nei miei occhi di capire se ero sicuro di volermi assentare. Non importava che le rispondessi con parole, semplicemente avevo abbassato gli occhi per il dispiacere e lei aveva compreso la risposta.
Christina: Esto me entristece. Non mi aspettavo una partenza cosi' improvvisa Cristòbal, ma non preoccuparti. Sono contenta che tu sia passato a salutarmi. Arriva un momento per ognuno, in cui deve affrontare la propria vita e diventare indipendente. E' una cosa importante e non voglio che tu ti debba sentire in colpa per questa scelta, ma vivilo piuttosto come il tuo momento. Lo so mio padre è stato scortese, ma conosci il suo carattere. Sai quando torni cosa faremo? Faremo un gran banchetto e balleremo insieme, accompagnati dalla musica di una chitarra!! Per salutare il ritorno di un muchacho diventato ormai un vero hombre. Prendi questa mia collana come regalo in mio ricordo, tienila pure fin quando non ci rivedremo. Sono sicura che mi penserai e anch'io ti penserò molto. Pregherò per te tutti i giorni, ma non stare via troppo, por favor!
Christina aveva sfilato la sua collana. Me l'aveva data in suo ricordo finché non sarei ritornato. Mentre io feci lo stesso con la collana che quella mattina avevo creato, l'avevo data a lei e fra l'altro le stava bene intorno al collo. Alcune lacrime scesero dai suoi occhi, ma le asciugò subito e si sforzò di restare sorridente. Sentivo che si sarebbe messa a piangere, questo mi dispiaceva molto e quindi avevo preferito affrettare i saluti. Nuovamente ero tornato dal Señor Valencia e tentai di salutarlo, sperando in una reazione un po' più socievole. Si era tolto il sigaro dalla bocca e mi fissava con aria dubbiosa.
Señor Valencia: Potevi metterci anche di meno a salutare mia figlia! Lo so che non è buona educazione ascoltare i discorsi degli altri, ma nella vita ci sono delle eccezioni! Comunque sei sicuro di poterti fidare delle persone che ti hanno proposto l'incarico? No me gusta! Secondo me c'è puzza di marcio. Come mai non si è presentata al molo come ogni nave in regola? Che ci fa nel retro dell'isola? Può darsi che stiano caricando legna, facendo riparazioni o lavando lo scafo da incrostazioni del mare. Tuttavia può anche darsi che si stia nascondendo. Quiero un favor Cristobàl! Fai attenzione non ti voglio trattenere se ci vuoi andare, ma se vedi che quella nave ha cannoni, non salire a bordo. Scappa!! Ne va della tua vita!
Ero rimasto a riflettere sulle parole del vecchio, i marinai che mi avevano proposto il lavoro erano vestiti con abiti stracciati, se fosse stata una nave prestigiosa avrebbero indossato delle divise. Ero abbastanza sicuro che non avrei trovato dei cannoni ad aspettarmi! Il vecchio continuava a fissarmi con uno sguardo serio, quasi volesse intendere Muchoatención . Sapevo bene che egli era incapace di fidarsi di qualsiasi cosa e avevo cercato prenderlo troppo seriamente. In quel momento era venuta anche Christina da noi, mi guardava ancora in quel modo triste per la mia improvvisa partenza, cosi ci salutammo un'ultima volta con un nuovo abbraccio.
Avevo perso molto tempo ma quei due non si lamentarono. Avevamo percorso insieme la strada verso la loro nave e finalmente dopo un ora eravamo arrivati alla loro spiaggia. Ero rimasto letteralmente scioccato a quella visione, la sensazione era molto a un colpo di pistola dritto nel cuore e non riuscivo a credere ai miei occhi! Quello che vedevo in pieno mare era stata la cosa più terribile che potesse esistere. Tutto mentre Marshall e Jeffrey ingrandivano i loro sorrisi, non erano certo sorrisi compassionevoli, come non li avrebbe avuti uno squalo davanti alla sua preda. Solo di una cosa ero consapevole: Quel giorno si stava trasformando in un incubo!
Proseguimento (Capitolo II "La nave dei dannati")

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