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Cinematografia: Paul Greengrass, nel 2002, presenta "Bloody Sunday". Il regista, capace di collezionare diverse passioni artistiche e di avvicinarsi a diversi generi, segue pedissequamente e con poche concessioni alla narrazione da fiction, i resoconti dettagliati delle commisioni d'inchiesta e piuttosto che girare un pamphlet univoco, preferisce una corretta narrazione documentaristica, con un passaggio piuttosto complesso e composito dai vari fronti della città, secondo una ricostruzione consequenziale precisa e pertinente, andando a seguire, contemporaneamente, fasi militari e fasi personali, e non limitandosi a giustapporre dei semplici raccordi attraverso dissolvenze, ma facendoli interagire nella costruzione delle psicologie dei personaggi. Ivan Cooper, interpretato da un ottimo James Nesbitt, è il personaggio storico che acquisisce valore umano. Ma non è un panegirico, quanto un'analisi sulle motivazioni, sulla buona fede, sulle sfaccettature, che stanno dietro alla tragedia. Grrengrass non perde la bussola e adduce le motivazioni tragiche del conflitto ai parà inglesi, con un finale straziante chenon ha segno alcun di revisionismo, ma è portato ad indagare i motivi dell'accaduto, da vero storico, piuttosto che incarnarli. Quindi punta il dito sull'incomunicabilità dei fronti e, trascendendo motivazioni ideologiche, sugli errori da ambo le parti. Una volta definiti gli stessi, la sua indagine passa dal neutrale all'analisi complessiva e l'interpretazione (e la nuova posizione del Governo inglese è esemplificativa) non può che essere a vantaggio dei civili, dei diritti, contro l'abuso delle forze armate. La "Bloody Sunday" non è un'azione di contenimento, ma dalle parole, contraddittorie, dei soldati coinvolti, appare una guerra vera e propria. Greengrass non condanna i militari in toto, anzi ne fa emergere problematiche. Piuttosto il suo è un atto contro la politica del tempo.
Considerazioni:
In primo luogo, non mi occupo di politica. Ho, però, la capacità critica di discenere qualcosa di profondamente sbagliato da qualcosa di giusto. E sta nelle mia considerazione, personale, sui valori di una società civile, affermare che il "Bloody Sunday" fu un atto drammatico da parte dell'esercito inglese che oltrepassò i limiti in maniera netta e mai punita con giustizia. Lo ricordano le didascalie del film, ne fa menzione il nuovo Premier inglese Cameron, che nel Giugno del 2010, ha ammesso, a quasi 40 anni dal lontano 1972, che si è trattato di una tragedia "ingiustificata e ingiustificabile" e ha chiesto perdono. Vorrei far presente che l'Italia politica, a dieci anni dal G8 di Genova, nonostante le condanne in appello, non ha usato un metro di giudizio molto diverso da quello Inglese del passato. E così come i valorosi ufficiali british sono stati decorati dalla Regina, allo stesso modo, con una condanna in appello in aggiunta (assoluzione nella sentenza di primo grado), il gruppo militare al comando, durante il G8, sta ricevendo incarichi importanti nelle Forze dell'Ordine. Anche se l'entità e la tipologia di eventi non è confrontabile, dato che a Derry, nell'Irlanda del Nord, morirono 14 persone, mentre a Genova perse la vita un ragazzo (Cristina Comencini ha dedicato alla sua memoria un documentario), in contesti storici diversi, e in manifestazioni diverse, la ripetizione del modello ci induce a pensare che qualcosa non vada nelle democrazie occidentali.
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