Ho ricordi vaghi di quando, da bambina, andavo a matrimoni in cui le donne portavano con disinvoltura cappelli anche importanti ed estrosi che ai miei occhi le facevano sembrare dive di Hollywood. Nonna Lauretta come Greta Garbo. Eppure era così. I cappelli le rendevano eleganti, davano loro un tono e facevano emergere una femminilità altrimenti insospettata. Oggi sono poche le donne che li portano d’abitudine e nel nostro immaginario i cappelli sono ormai diventati solo ciliegie sull’abbigliamento di personaggi famosi o famosetti in occasioni speciali.
Ai tempi di mia madre chi realizzava cappelli era la modista, un’artigiana creativa che spesso era la protagonista di romanzi d’appendice, oggi chi li crea viene spesso considerato un artista. Non stupisce dunque che a Manhattan, presso il Bard Graduate Center, sia stata recentemente inaugurata la mostra “Hats: An anthology by Stephen Jones” curata proprio da quest’ultimo.
Jones è un cappellaio in Londra dai primi anni Ottanta, ha disegnato modelli per numerose personalità, da Boy George alla principessa Diana, e ha collaborato con case di moda quali Balenciaga, Christian Dior, Marc Jacobs e Jean Paul Gaultier.
Sono esposti oltre 300 cappelli, 80 dei quali creazioni di Jones, che offrono ai visitatori una panoramica ad ampio raggio di come questo accessorio è stato interpretato nel tempo. Si va da una maschera egiziana di Anubis del 600 a.C. alle creazioni di Balenciaga degli anni Cinquanta. A questi si aggiungono i cappelli disegnati da Jones e dai suoi contemporanei.
Ci sono “pezzi” strabilianti, eleganti, eccessivi, estrosi, decisamente strani, ma sono tutti delle vere e proprie opere d’arte.
Guardate coi vostri occhi.
Guardate coi vostri occhi.