Cara Alda

Creato il 27 marzo 2015 da Scribacchina

Proprio pochi giorni fa parlavo di te, cara Alda.
Stavo passeggiando con Nora sui Navigli.
«Nora, non era qui la casa di Alda Merini

Nora ha alzato il dito verso una casa: «Lì, dev’essere quella».
E poi, con la straordinaria naturalezza che è una delle sue caratteristiche più belle, ha iniziato a raccontare di quando lavorava al bar, quello stesso bar che frequentavo quando ero più piccola e più dark. Quello dove si andava dopo le prove: un posto magico, dove c’era sempre qualche mostra d’arte da vedere o qualche nuovo cd da ascoltare.
«Sai che l’ho conosciuta, Alda? Era venuta all’inaugurazione di una mostra, forse erano quadri, non ricordo. Ecco, la vedo arrivare – hai presente com’era, no? Una persona alla mano, genuina. Si avvicina al bancone con la sua sigaretta; le chiedo se vuole un caffè, o un aperitivo, o qualsiasi altra cosa.
Ricordo il suo sguardo bello, chiaro, e le parole:
“Pane, salame e vino rosso”.
E chi ce l’aveva il salame?…
Non ci fu verso, voleva quello.
E quello trovammo, non so dove, non so per quale miracolo».

Abbiamo parlato di te.
Della tua vita.
Del nascere in un’epoca in cui una donna che si difende è considerata una donna sbagliata, una donna da cambiare. Una donna che non tollera il marito ubriaco e violento è una donna da formattare, da internare in manicomio.
Ogni volta che ci penso, ogni volta che ne parlo mi si stringe lo stomaco.

Io e Nora siamo rimaste così, in silenzio.
Camminavamo lungo i navigli pensando a te.

«Ci sono donne…
E poi ci sono le Donne Donne…
E quelle non devi provare a capirle, perché sarebbe una battaglia persa in partenza.
Le devi prendere e basta.
Devi prenderle e baciarle, e non devi dare loro il tempo il tempo di pensare.
Devi spazzare via, con un abbraccio che toglie il fiato, quelle paure che ti sapranno confidare una volta sola, una soltanto, a bassa, bassissima voce.
Perché si vergognano delle proprie debolezze e, dopo averle raccontate si tormentano – in una agonia lenta e silenziosa – al pensiero che, scoprendo il fianco, e mostrandosi umane e fragili e bisognose per un piccolo fottutissimo attimo, vedranno le tue spalle voltarsi ed i tuoi passi allontanarsi.
Perciò prendile e amale.
Amale vestite, che a spogliarsi son brave tutte.
Amale indifese e senza trucco, perché non sai quanto gli occhi di una donna possono trovare scudo dietro un velo di mascara.
Amale addormentate, un po’ ammaccate quando il sonno le stropiccia.

Amale sapendo che non ne hanno bisogno: sanno bastare a se stesse.
Ma appunto per questo, sapranno amare te come nessuna prima di loro».

Sai, mi chiedo se il fatto che queste parole mi descrivano completamente sia solo un caso. O se tutte le donne, in fondo, sono così.
Se tutte, come me, devono essere baciate di sorpresa, senza dar loro il tempo di pensare.
Se tutte, come me, si vergognano delle proprie debolezze, e confidano le proprie paure una volta sola, una soltanto, a bassissima voce; perché non vogliono mostrare il loro lato fragile neppure per un piccolo fottutissimo attimo, perché hanno paura di essere abbandonate.
Se tutte, come me, si rifugiano dietro il mascara. O dietro il rossetto.
Se tutte, come me, sanno bastare a se stesse. Ma non perché sia una cosa innata, no: è perché hanno imparato a contare soltanto su di sé.

Ciao, Alda, dovunque tu sia.
Un bacio.


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