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Cara Francesca…

Creato il 14 luglio 2013 da Cicciotopo1972 @tincazzi

Ci risiamo. Puntuale come un orologio arriva il viral post (o articolo) che infiamma la rete e la mente di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, si riconowar-jscono nell’idealtipo del povero freelance sfruttato dagli editori (mi ci metto pure io). Ne avevamo già avuto modo di parlarne in un altro post.

Questa volta il soggetto è Francesca Borri, una collega freelance che afferma di coprire da dieci anni guerre e conflitti vari prima come ‘funzionario per i diritti umani’, poi come giornalista.  Io e Francesca non ci conosciamo di persona. Non ci siamo mai incrociati, credo.

Sul sito del Columbia Journalism Review appare infatti un suo articolo intitolato ‘A woman’s work’. A twisted reality of an italian freelancer in Syria. Pezzo forse un po’ troppo narcisistico (ma chi dei giornalisti non lo è scagli la prima pietra) incentrato sulla persona appunto, della Borri. Tutto il resto è contorno. Sulle sue vicende da freelance, il cinismo dei colleghi, la disperazione per essere pagata 70 dollari a pezzo.

L’articolo viene tradotto e pubblicato dalla Stampa con il titolo ‘Il lavoro di una donna. La realtà distorta di una giornalista freelance in Siria’ e dal Post ( Di guerre e giornalismo)

Appena l’ho letto, come tanti colleghi, di getto, senza neanche leggerlo a fondo o soffermarmi su alcuni punti, l’ho ripostato. Perché parlava, in parte, del lavoro dei freelance e dei problemi che si hanno con editori abituati a pagare poco o nulla i pezzi, anche da zone di guerra.

Poi però mi sono pentito. L’ho riletto più volte e mi è venuto non uno ma più dubbi.

Allora vorrei apertamente fare a Francesca qualche domanda, sempre che lei abbia la gentilezza di rispondermi.

Premetto che ho letto alcuni tuoi pezzi da Aleppo e li ho trovati un po’ troppo ‘romanzo’ e molto meno ‘realtà’, ma queste sono scelte stilistiche e credo che un giornalista sappia quando e quanto poter mettere di narrativa in un pezzo senza alla fine manipolarlo e stravolgerlo (un po’ come il fotografo col fotoritocco).

Scrivi “Mi ha infine scritto. Cioè: dopo oltre un anno, un attacco di tifo e un proiettile al ginocchio, ha visto la televisione, il mio direttore, e ha pensato che l’italiana rapita fossi io, e mi ha infine scritto. Mi ha scritto: ma se hai internet, non è che twitti il sequestro?”

Ovviamente se ti riferisci al fermo da parte di Jabhat al Nusra di Amedeo Ricucci, Colavolpe, Vignali, Dabbous dei primi di aprile ho qualche dubbio. Ma tu c’eri in Siria i primi di aprile? E come fa il tuo direttore a non sapere dove stavi?

O ti riferisci al sequestro Piccinin/Quirico?  Loro però sono entrati dal Libano. Entrambi i gruppi sono spariti pochi giorni dopo la loro entrata in Siria. E stessa domanda. Il tuo direttore non sapeva dove stavi?

Parli anche di ‘febbre tifoide e di un proiettile al ginocchio’. Sappiamo entrambi che i proiettili sono non di piccolo calibro quelli che fischiano di solito in aria in Siria. Proiettili 7,62x39mm per gli Ak47. Sappiamo entrambi che i normali giubbotti antiproiettile (sotto il livello IIIA agli Ak gli fanno un baffo). Immagino che se un proiettile di Kalashnikov ti colpisce un ginocchio te lo spappoli. Le ferite da proiettile da arma corta a un ginocchio sono una roba seria, una roba che prevede un ricovero e una riabilitazione, figuriamoci quelle fatte con un’arma da guerra.

E poi: in Siria ci siam stati in quanti, di giornalisti e fotografi italiani? Una ventina in tutto? Una comunità fin troppo piccola per non sapere che un tuo collega è stato ferito. Ti pare?

Scrivi ancora “la mia giovinezza, onestamente, è finita ai primi pezzi di cervello che mi sono schizzati addosso, avevo ventitrè anni ed ero in Bosnia

Che significa? Che guerra c’era in Bosnia nel 2003? La guerra è finita nel 1995. O ti sei sbagliata e parlavi del Kosovo? Anche lì la guerra è finita nel 1999. Ho cercato di capire e ho trovato in rete questa intervista che rilasciasti a Panorama Non aprire mai: il Kosovo di Francesca Borri“. Nell’articolo/intervista dice testualmente: “All’età di 24 quando all’epoca della guerra, studentessa della facoltà di Scienze politiche di Firenze, fa uno stage nella sede della rappresentanza italiana a Pristina”. Tu hai 33 anni giusto? Sei nata nel 1980 no? nel 2004 ne avevi appunto 24. Di che guerra parlate? Nel 2004 non c’era nessuna guerra in Kosovo o in Bosnia. A cosa vi riferite?

Poi più avanti l’articolista ti chiede

Ha un episodio che vorrebbe raccontarci che la colpì particolarmente?

E tu rispondi:” un malato terminale. Una storia di visti. Voleva curarsi in Italia, finì per arrivare da clandestino e fu respinto“. Niente cervelli che ti schizzano addosso.

Ma come? Un cosa che mi cambia la vita (e scrivo, appunto, che mi fa perdere la giovinezza) me la ricorderei. Come se mi chiedessero qual è la cosa che mi ha più segnato in Libia risponderei sempre con un solo fatto. Sono le cose che non puoi dimenticare anche se fai finta di dimenticarle, sono le cose che in questo lavoro ti porti dietro.

La battaglia di Aleppo è scoppiata il 19 luglio 2012. Io sono entrato in Aleppo il 10 agosto. Tu non c’eri. Ora, leggo la tua affermazione “fai un pezzo da esclusiva, come quello dalla città vecchia, che siamo stati i primi a entrarci, con Stanley“.

I primi? Io come tanti altri giornalisti ad agosto eravamo nella città vecchia a coprire i combattimenti. Ne saranno entrati una trentina. Non so, forse ti sei confusa, forse parli di altro ancora. E’ che non è mai chiaro di cosa parli…

Insomma ogni volta che rileggo il tuo articolo i dubbi aumentano.

Non lo so, spero che sarai disponibile a spiegare punto per punto e in maniera esaustiva.

Non lo devi a me ovviamente, ma ai tuoi lettori.

Grazie,

Cristiano

ps un inciso sui 70 dollari. Se sei disposta a prendere quella somma, accetti tutte le responsabilità del caso, compreso anche il fatto che sei così la prima responsabile della tua situazione economica, della tua vita e anche della situazione degli altri colleghi che per colpa di persone come te non possono lavorare in modo professionale, visto che non accetterebbero compensi del genere per lavorare e coprire la Siria o altre realtà.


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