Istruzione, sanità, giustizia, politiche migratorie, per il lavoro e per la parità di genere dovrebbero essere temi e terreno fertile per un nuovo dibattito politico in Italia. Spesso vengono analizzati singolarmente, alla costante ricerca di soluzioni separate. Guardare con un occhio d’insieme e attraverso strumenti interdisciplinari la nostra società tentando di cogliere il fil rouge del suo dinamismo e della sua staticità potrebbe rappresentare una maniera nuova nell’elaborare forme innovative di visione sociale, in vista delle urgenti necessità di riforma.
L’argomento giustizia è certamente uno dei più discussi e discutibili, ove media e partiti politici tendono ad evidenziarne qualche aspetto ma nell’offerta di semplicistiche, spesso retoriche risposte. Il tema giustizia, settore caleidoscopico e diversificato, mostra una struttura organizzativa elefantiaca e vetusta. Per l’aspetto penale delle condotte antigiuridiche potremmo riassumerlo in fase processuale ed esecuzione penale, in genere di tipo penitenziario a causa della blanda adozione delle misure alternative alla detenzione, con ovvie ripercussioni sull’aspetto del reinserimento sociale. La giustizia è ancora concepita ed analizzata come un quid juris estraneo non solo dai settori civili sopra citati ma anche dalle stesse dinamiche dei mutamenti sociali. Sono pressoché disparuti gli interventi che partono da un discorso di prevenzione, se non promossi come nuove, ulteriori fattispecie di reato da inserire nel codice penale o come rinnovo di cambiamenti procedurali. Quanto incide, invece, un buon bagaglio istruttivo, una cura sanitaria adeguata, un lavoro a garanzia della sussistenza come individuo nella collettività o la consapevolezza del proprio ruolo nella comunità sociale nei meccanismi di deterrenza al crimine e al comportamento deviante?
E come viene concepita oggi la devianza per il comune sentire? Quali sono i cambiamenti intervenuti nell’immaginario collettivo? E’ probabile che un capovolgimento del discorso sociale che parta da riforme da attivare nei vari settori della società sia diventato imprescindibile proprio allo scopo di evitare le solite soluzioni tampone. E’ il caso delle carceri italiane, apparentemente luoghi senza tempo, senza linguaggio, si presentano nella loro “banalità del male” come la visione di un film bunueliano. I circuiti della media sicurezza contengono un’ampia fetta di popolazione detenuta come utenza di difficile gestione rispetto all’attività trattamentale ovvero immigrati, soggetti con problemi psichiatrici, tossicodipendenti. I primi sono spesso detenuti per motivi legati alla loro condizione di irregolari sul territorio italiano o, in genere, per violazione del testo unico in materia di stupefacenti (trattasi di manovalanza a basso costo per lo spaccio o dipendenti essi stessi da sostanze psicotrope). Un’errata scelta politica demandare al settore giustizia la questione dell’immigrazione irregolare. L’esecuzione penale non può prescindere da un processo indirizzato verso la rieducazione del condannato ma come operare rispetto a chi possiede una cultura diversa da quella occidentale? Come evitare un’ingerenza sul piano ontologico? L’atto autolesionistico non rappresenta, forse, l’unica forma di rappresentazione di un’alterità/identità culturale, anche se generalmente intesa come forma di protesta auto aggressiva tout court? I ristretti immigrati spesso non hanno riferimenti sul territorio; richiedono l’espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione ma mancano apposite convenzioni bilaterali acché ciò accada, sono privi di risorse economiche per cui la gestione ordinaria all’interno degli istituti di pena è doppiamente onerosa sia per gli operatori legati ad enti caritatevoli che per il personale penitenziario, sprovvisto di strumenti adeguati per poter agire nel rispetto della legalità.
Eppure, l, nella conformità al dettato costituzionale, afferma al 2°comma che il trattamento penitenziario è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche o credenze religiose. I secondi sono ammalati, alcuni presentano una certificazione di invalidità per alcune patologie mentali quali disturbi borderline o bipolare. E’ complicato incidere e tendere verso la sfera rieducativa quando è propedeutica l’azione e la presa in carico principalmente a livello sanitario. Come anche lavorare di concerto con l’area sanitaria stessa da quando, a seguito della riforma della medicina penitenziaria datata 2008, le funzioni relative alla cura dei ristretti sono state trasferite alle ASL. Una evidente sovrapposizione di datori di lavoro in un contesto così delicato non ha sortito gli effetti benefici prospettati dall’Amministrazione penitenziaria. Difatti, nell’ambito degli obiettivi di salute, la prevenzione primaria, secondaria e terziaria, con progetti specifici per patologie e target differenziati di popolazione, in rapporto all’età, al genere e alle caratteristiche socioculturali, con riferimento anche alla popolazione degli immigrati sembra aver mantenuto caratteristiche di mero proposito. La popolazione detenuta con problematiche di tossico e alcol dipendenza presenta ulteriore gestione gravosa in quanto ha perlopiù mosso verso la condotta antigiuridica in virtù di uno status. L’art. 95 del D.P.R 309/90 evidenzia che la pena deve essere scontata in istituti idonei allo svolgimento di programmi terapeutici e riabilitativi, come quelli a custodia attenuata ma non sempre questo avviene. Inoltre, se da un lato, nel corso del tempo vi è stato nei confronti di tali reclusi un considerevole ampliamento dell’entità della pena espiabile in regime alternativo alla detenzione, dall’altro è occorso un maggior rigore nel disciplinare le istanze presentate dall’interno degli istituti. Il DDL anticorruzione appena approvato, si inserisce nel sistema come un intarsio dai contorni se non perfetti, perfettibili. Per quanto venga sminuito da taluni e nonostante i tempi stretti intervenuti per la sua lavorazione, rappresenta un rigoroso segnale politico che tenta di incidere positivamente nell’inversione di tendenza della debolezza dell’etica pubblica e privata, cui si è sinora assistito. Il riconoscimento e le sanzioni previste per traffico illecito di influenze, il ruolo ravvisato nei dirigenti anticorruzione, l’inserimento di un codice etico nella P.A. ed il limite fissato a dieci anni come tetto massimo per i fuori ruolo delle toghe, si pongono sicuramente come risoluzioni di sentita emergenza. Essi lanciano contestuali segnali di necessità di rinnovo nella compostezza etico-giuridica della società. Oggi in Italia bisogna ripartire dal tema della cittadinanza. Thomas Marshall lo esamina magistralmente nel suo saggio: “Citizenship and Social Class”. Dopo le due guerre mondiali, la cittadinanza dei diritti, civile e legale è rimasta in parte disattesa. La cittadinanza politica, intesa come compartecipazione alla vita pubblica non ha dispiegato i suoi effetti non essendosi ancora trasformata in una cittadinanza sociale sostanziale. Questo è il primo grande accidente storico della contemporaneità. La geografia umana del genere, della razza e dell’enclave reclusa, addirittura presenta ancora aspetti di disuguaglianza sostanziale, cui, prima o poi, vi si dovrà porre rimedio.