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Carceri: quando il lavoro diventa una condanna

Creato il 07 gennaio 2014 da Exnovomen

vallette

Il caso dell’omicidio-suicidio nel penitenziario di Torino offre un tragico spunto per addentrarci in un tema quanto mai delicato, quello delle carceri italiane e di coloro che vi lavorano.

17 dicembre, nella sala Bar del carcere delle Vallette di Torino l’agente Giuseppe Capitano, 47 anni, estrae la pistola d’ordinanza e spara due colpi al suo superiore, l’ispettore Giampaolo Melis, 32 anni. Immediatamente rivolge l’arma contro se stesso e si spara alla testa. Un litigio per futili motivi quello che ha causato la tragedia , forse una discussione sulla licenza per le vacanze natalizie.

Una drammatica vicenda che colpisce tutta la polizia penitenziaria di Torino e d’Italia. Si, infatti amici e colleghi non hanno dubbi: “Adesso diranno che certe cose accadono per fatti personali, ma non è così”, si tratta dell’esplosione di uno stato di malessere insostenibile del quale i principali responsabili sono le istituzioni ed un’organizzazione del tutto inadeguata. Una situazione tristemente nota quelle delle carceri italiane. Un sovraffollamento scandaloso. Secondo l’Osapp, l’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, le condizioni lavorative delle guardie carceriere sono inaccettabili: un lavoro stressante con turni e carichi di responsabilità insostenibili.

Sul territorio nazionale si assiste ad una carenza di oltre settemila uomini. Nel carcere delle Vallette qui citato si parla addirittura di un agente posto a sorveglianza di 50-60 detenuti. In condizioni del genere la pressione psicologica è enorme e la probabilità di avere un crollo di nervi è alta.

Le manifestazioni di protesta della polizia penitenziaria fatte fino ad ora sembrano non aver ottenuto risultati e nonostante le promesse del Ministro Cancellieri ben poco è stato realizzato.

Il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria è sempre più delicato. Non solo sorvegliano i carcerati ma cercano di supplire a tutte le loro necessità dovute alla carenza di personale. Se poi si va a considerare la condizione dei detenuti questa risulta a dir poco scandalosa: 5-6 persone ammassate in celle nate per 2-3 e condizioni igieniche da terzo mondo. I casi di autolesionismo sono centinaia e le colluttazioni ed i ferimenti all’ordine del giorno. In un clima del genere l’attività lavorativa non può certo essere delle migliori e la carenza di personale rende tutto più difficile. Da anni si parla di riforme ma nessuno ha mai fatto nulla. Questi uomini al servizio dello Stato si sentono inascoltati ed abbandonati. Non vi è più fiducia nelle istituzioni e in una politica che non mantiene le sue promesse.

Il fatto accade a breve distanza dal provvedimento di indulto che nei prossimi mesi permetterà a numerosi detenuti di uscire anticipatamente dalle carceri sebbene non si possa certo dire che questo sia il modo migliore per far fonte al disagio.

I due agenti vanno dunque considerati entrambi vittime di un sistema malsano e inefficiente

Una cosa è certa: il drammatico gesto dell’agente Capitano ha riportato l’attenzione su una delle situazioni più tristi del nostro Paese. Urge una risposta rapida e concreta. Le parole non sono più sufficienti.

Marco D’Acunti


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