Il carciofo è un ortaggio prelibato che si presta a molte preparazioni, tutte squisite.
A me piace utilizzarlo anche come ingrediente per i sughi con cui condire riso e pasta, mi piace impanarlo e friggerlo a spicchi per esempio, metterlo nelle frittate, mangiarlo crudo in pinzimonio o cucinarlo alla giudia, ma mi piace soprattutto ripieno.
I carciofi che trovo con più facilità al mercato o dal fruttivendolo Pakistano sono i violetti, gli spinosi, le “castraure” e i romaneschi, quelli che chiamano mammole o anche mamme romane, che sono i più adatti ad essere cucinati come si è sempre fatto a casa mia, perché non hanno il fieno al loro interno e le foglie sono particolarmente carnose.
Grattugiava il pane raffermo sopra un sacchetto di carta aperto e poi lo versava in una piccola terrina bianca, di quelle costolute di terracotta che col tempo assumevano un aspetto craquelè per via delle crepe sottili con cui gli anni e l’uso le segnavano.
Aggiungeva 1/2 spicchio d’aglio ridotto a crema, abbondante grana padano grattugiato, 1 dado per brodo sbriciolato, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 grossa fetta di lardo pestato, una macinata di pepe fresco, un pizzico di sale e tanto olio quanto era necessario per compattare tutti gli ingredienti.
Apriva delicatamente le foglie fino al cuore dei carciofi, che diventavano grandi come piattini da tè e li riempiva pazientemente con questo semplice ripieno.
Li accomodava in un tegame alto che li conteneva di misura, aggiungeva i gambi tagliati a pezzi e 2 spicchi d’aglio interi.
Li irrorava d’olio, aggiungeva sul fondo 2 bicchieri d’acqua e portava a bollore. Abbassava quindi la fiamma, copriva il tegame e portava a cottura a fuoco dolce aggiungendo altra acqua se necessario.
Il risultato erano questi irresistibili carciofi ripieni, che io cucino tali e quali.
Le foglie più esterne, che non si possono mangiare perché restano dure anche dopo la cottura, vanno grattate una ad una con la lama del coltello e la sostanza cremosa e saporita che se ne ricava si spalma sui bocconcini di pane per assaporare proprio tutto.
Quando ero piccola il mio papà mi cedeva sempre un pezzo in più del suo gambo, perché ne andavo matta.
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