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Cardiologia pediatrica dell’ospedale Robert Debré di Parigi: un’équipe che lavora con amore

Creato il 23 aprile 2014 da Associazioneart

La nona giornata di Paliped: sguardi sulle cure palliative

Vi avevo detto, nel mio ultimo articolo sul congresso di Paliped, che si è svolto a Parigi nel marzo scorso, quanto ero stata favorevolmente impressionata dal reale spirito d’équipe che traspariva da tutti gli interventi. Quello della dottoressa Constance Beyler, cardiologa pediatra, accompagnata da Catherine Mie, caposala e puericultrice, Ketty Limery, ausiliaria di puericultura, ed altri operatori della cardiologia pediatrica dell’ospedale Robert Debré, è uno di quelli.

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La dottoressa Constance Beyler e l'équipe della Cardiologia pediatrica

La dottoressa ha spiegato che le équipe non esitano mai a contattare, se necessario, dei partner in grado di aiutarle nella presa in carico del bambino e della famiglia: religiosi, interpreti, amici… La percentuale delle famiglie dei migranti è aumentata in modo esponenziale. Un bambino che proviene da una famiglia situata agli antipodi culturali dal luogo dove oramai queste persone risiedono, ha bisogno di un’attenzione particolare se vogliamo realmente non soltanto curare, ma prendersi cura.

Esiste una grande variabilità, dovuta all’origine etnica delle famiglie, e questo obbliga le équipe ad elaborare una reale riflessione sulle cure e le attitudini da rispettare, oppure da evitare, per non urtare la sensibilità e le abitudini di queste famiglie che sono molto spesso così lontane dal loro paese di origine.

È anche una delle ragioni per le quali le équipe fanno estremamente attenzione a rispettare la libertà delle famiglie nell’appropriarsi della camera dove si trova il bambino. È in questo luogo che esse condividono lunghi momenti di attesa, di angoscia, di sofferenza, di paure, di dubbio, di collera e altre emozioni che ognuno di noi conosce. Non sarebbe concepibile obbligare queste stesse famiglie a seguire delle regole in contraddizione con il loro concetto di aiuto e di sostegno a uno dei propri cari quando è molto gravemente malato e ancora di più quando si tratta di un bambino o di un’adolescente.

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Ognuno è depositario di una cultura che bisogna saper accogliere

I membri dell’équipe della cardiologia pediatrica dell’Ospedale Robert Debré hanno toccato un punto interessante nel loro intervento, spiegando che l’accompagnamento di un bambino dentro il reparto si in accordo con l’intuizione e la sensibilità di ogni curante. Questo potrebbe sorprendere alcuni, molto legati e dipendenti dall’osservanza delle linee guida di comportamento nei corridori dei reparti. Però, la pratica dimostra che nelle situazioni molto dolorose e difficili da gestire, come quelle di cui stiamo parlando, risulta estremamente importante sapersi adattare ai bisogni e alla realtà di ogni situazione, perché ogni caso è unico.  Ed è per questo che ogni membro dell’équipe, in accordo con le sue convinzioni personali e i desideri della famiglia, offre una presa in carico individualizzata, personalizzata. Con ironia la dottoressa Constance Beyler ricorda: “non si tratta di un prêt à porter, ma di un su misura!”

Queste situazioni sono naturalmente molto difficili da vivere per tutti e sono oggetto di dibattiti, che permettono all’equipe di rivedere costantemente l’accompagnamento e il sostegno da offrire. Esistono quindi dei tempi per la parola, per l’ascolto, per il sostegno e gli incoraggiamenti, tutti assolutamente indispensabili per i membri dell’equipe al fine di poter continuare a funzionare correttamente tutti insieme.

“E’ sempre dura” riconoscono tutti “ma lo è soprattutto, e prima di tutto, per le famiglie. “

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Salvare la vita quando si può, prendersi cura sempre (Fondazione Malagutti, Mantova, "Diritti a Colori 2014 “)

Questa grande attenzione, che privilegia i desideri e i bisogni dei giovani malati e dei loro cari, dimostra il profondo rispetto che questi curanti hanno verso le famiglie, che esse siano locali o di origine culturale diversa. Siamo ben lontano della visione della “famiglia che disturba”, di una famiglia considerata purtroppo troppo spesso, in alcuni reparti, come “ostacolo” e “ostile”.

Questa nobile attitudine è attiva soltanto in pediatria? O possiamo sperare diventi il comportamento ideale, che desideriamo tutti, in tutti i reparti senza eccezione, lì dove una persona soffre, che sia un bambino, un adulto o una persona anziana.

Amanda Castello


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