C’era una volta un mattino di tre anni fa, un vento gelido e pungente che disturbava le gambine nude della bambin bionda. Aveva indossato un vestitino nuovo blu, acquistato per l’occasione dell’indimenticabile primo giorno di scuola. Nonostante fosse ancora la metà di settembre, quel mattino faceva freddo, un freddo premonitore che accompagnava il grande debutto nel mondo della scuola, di tanti bei remigini ben vestiti e pronti per il lungo cammino scolastico. Un gruppo di bambini di sei anni, insieme, sorridenti ed ingenui iniziavano la loro avventura, tenendosi per mano, guardandosi per conoscersi e, dopo un breve passaggio in classe per accompagnarli, i genitori increduli e commossi venivano invitati a lasciarli e a tornarsene alle loro occupazioni. “Ecco in questo momento, la mia bambina ha spiccato il volo e non sarà mai più accovacciata sotto alla mia ala di chioccia! L’ho accompagnata dentro queste mura severe, dove dovrà rimanere seduta ed ascoltare, seduta ad imparare e ad attingere dai libri stampati! Come farà lei che ama così tanto correre e giocare?” Si chiedeva la mamma pensierosa, guardandosi intorno,osservando tutti quegli zaini e quaderni colorati, uno più sgargiante e brillante degli altri!”. La mamma, non più giovanissima, annusava con piacere il profumo della carta e dei pastelli, sentiva salirle nelle narici l’aroma dei libri, l’odore stantio della vecchia cartina geografica, lacera, ma sempre attuale, con quello Stivale molto sbilenco, per come lo ricordava lei. “Ora la mia bambina spiccherà il suo volo, aprendo le sue piccole e tenere alucce, forse le prime volte cadrà per terra, ed io spero non si faccia troppo male. Sarò lì sotto seduta nella radura ad aspettare che sappia districarsi nel cielo della vita, osserverò il momento del distacco dal mio cordone ombelicale, sarò lesta e pronta a raccoglierla tra le mie braccia se dovesse cadere e farsi male.” Questo pensò la mamma, che con il fazzoletto da naso in mano ricamato con le sue iniziali, si asciugava una lacrima, mentre con la mano la salutava, fino a che la bimba ed i suoi compagni divenivano dei puntini colorati fissati su di un foglio a quadretti bianco. Tre anni sono trascorsi! I bambini, in modi e modalità diversi stanno scoprendo il mondo, i genitori che invece lo hanno già scoperto, fanno di tutto per non fare tra di loro il girotondo in allegria, tutti insieme. Guardo con attenzione, per il bene di mia figlia, a mia volta guardata da occhi impauriti, mi sento ispezionata al millimetro e noto con tristezza lacerante, visi ostili, frettolosi, paurosi di scambiare una parola di amicizia e di confronto.Visi tirati, mandibole serrate, maschere tese in sorrisi finti, che recepisco al primo muoversi di un muscolo facciale.Perchè non respiro aria di tregua e di risate sincere? Perchè le mie orecchi non odono verità e condivisione? Parole che sarebbero utili a tutti quanti in egual misura. Sento e respiro da tre anni ostilità non spiegabili, da chi è rimasto nella nostra classe, gli altri hanno avuto il coraggio e sbagliando o compiendo la scelta giusta, hanno deciso di andarsene. Non giudico, penso e rifletto, non vogli oche le mie paure vengano riversate forse o appositamente sulle nostre creature, bisognose di cure e di certezze, se non vorranno farsi troppo male nello spiccare quel volo.” Questi erano gli amari e tristi pensieri della mamma, ingenua ma sincera, che si augurava di poter sbloccare quel muro di omertà che circondava tutti quanti i genitori. A piccoli gruppi, ma non tutti, si scambiavano idee, naturalmente diverse e non in linea con le idee ed i pensieri di altri gruppetti di genitori! Ma questo è fisiologico, è normale ed è giusto. Qualcuno invece come quella mamma, stanca di quei gruppetti cinguettanti, oramai se ne stava in disparte ad osservare le scenette ed i finti sorrisi di circostanza, dove un “ciao”, sbiascicato in tutta fretta, aveva i contorni del guanto gettato in viso per il duello. La classe della sua bambina era una classe molto particolare, divisa in tante piccole sottoclassi, divise a loro in altrettante coppie di bimbi o bimbe. “Non basteranno due maestre solamente per tutte quelle classi!” si ripeteva la mamma, preoccupata di dove la scuola potesse trovare altri aiuti e altri insegnanti. Si augurava che le maestre non perdessero la loro forza istituzionale, la loro volontà e il loro desiderio di insegnare la vita ai bimbi. Non c’era comunicazione, non tra tutti i genitori, la mamma l’ aveva intuito da un bel pezzo. Se c’erano piccole chiacchiere erano, secondo il suo pensiero, finte e virtuali, poteva però sbagliarsi, ma non le sentiva sgorgare dal cuore di chi le pronunciava, i fatti le davano ancora una volta ragione! Solo con aluni papà e mamme, alcuni di altre classi riusciva a sorridere non sentendo ostilità alcune per quel suo modo di esternare la verità. Le parole venivano sussurrate e filtrate, poi riportate da altri, con aggiunte di orli e ricami, oppure in alcune frasi mancavanoi le cerniere ed i bottoni, tolti apposta per far risaltare le parti più brutte dei discorsi non detti, in modo tale che quegli abiti risultassero stretti e pungenti. “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire! Perché ogni volta che accompagno la bimba, sento l‘ansia salirmi alla gola? Perché vedo il luogo del conoscere e del sapere, ostile e a me contrario? Sono solo mie supposizioni sbagliate? Datemi voi anime genitoriali che credete nel contrario, la prova che così non è, ed io vi ascolterò attenta e fiduciosa. Dovrei amarlo quel cortile, amare le scale, rendere grazie a chi tramanda le pagine di storia e di geografia, a chi insegna l’abbecedario, a chi fa di calcolo ed insegna le equazioni della vita, dovrei amare tutti dalla lavagna alla biro, e dovrei dire grazie a quel piccolo banco con la sua seggiolina, che ospita mia figlia per tante ore e per tanti mesi all’anno! Invece mi sento un pesce fuor d’acqua, mi sento come quei bambini non Reggiani , che non sono accettati in primis dai genitori che trasmettono ai figli tutta la loro contrarietà. Ma i bimbi sono attenti e non dimenticano: se sentono in casa parole strane rivolte a chissachi le riferiscono ed assorbono l’ostilità per un suo simile! Questa mamma si sentiva presa a calci e pugni, e la pre menopausa non c’entrava, e nemmeno i grandi lutti che l’avevano colpita, era molto lucida e non diabolica! Si sentiva strana, fuori luogo, con il brutto ma fermo vizio o virtù, di dire sempre la verità, ben sapendo che era molto fastidiosa. Verità e colpa vanno a braccetto, nessuno le vuole, sono due brutte bestie alla fine della fiera! La mamma si sentiva come una persona che viene definita “collusa” con la mafia della sincerità, ma io so che non è così! Si sentiva accusare con occhi punitivi se taceva, se parlava, se proponeva, se rideva o piangeva, se stava in disparte veniva additata come un’asociale, anche altre mamme lo facevano, ma a loro nessuno faceva caso più di tanto! Chi avrebbe dovuto chiedere scusa non lo avrebbe mai fatto, credendo sempre e comunque di essere nel giusto. Ognuno di loro, mamme e papà, si doveva fare un esame di coscienza, guardarsi dentro con la lente d’ingrandimento e dire senza paura alcuna ciò che pensava, così come lo aveva fatto lei. OH! non senza fatica, non senza timore, ma con la voglia ed il desiderio di capire e comunicare, cosa non facile di questi tempi! La mamma si augurava che il tutto fosse fatto con garbo ed educazione, due doti che fanno fatica a rientrare nel nostro vocabolario. Comunque si comportasse trovava stupore e false meraviglie, che poi puntualmente si sarebbero riattaccate ai meravigliati! “Siamo tutti quanti sulla stessa barca,” si ripeteva ogni mattina appena sveglia, ” il posto è poco, e noi sgomitiamo per avere un pezzettino in più. Dovremo condividere questi spazi angusti e stretti ancora per due anni e mezzo, facciamolo, no nsarà poi la fine del mondo! Sorridiamo, parliamoci con apertura sincera, mangiamo un panino insieme, confrontiamoci, diamoci la mano ed aiutiamoci per aiutare i nostri figli”. La mamma nel suo cuore, stanco e provato, sapeva che le sue parole sarebbero volate via nel cielo, ancora una volta, come i palloncini dei compleanni che i bimbi lasciano andare dalle loro manine. Lo sapeva, ma aveva provato a scrivere una lettera, con il cuore gonfio ma speranzoso, la mamma avrebbe voluto fermare gli altri genitori, uno ad uno e sedersi per terra in cerchio, nel cortile della scuola, dove ognuno propone un gioco, gli altri stanno alle regole, e tutti sono vincitori e ridenti, e tutti son perdenti e tristi allo stesso modo, ma conosceva la risposta: avrebbero deciso di far finta di nulla ancora una volta, schiacciando “elimina” su quelle parole dettate dal cuore. Ed il gioco dell’amicizia non si sarebbe mai più compiuto.
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