Carl Einstein/2 - Goethe, letteratura senza conflitto

Da Anacronista

Ecco un estratto da Da Necrologio: 1832-1932, che Carl Einstein scrisse dopo la morte di Goethe. Si tratta di un necrologio diverso da quelli cui si è abituati. Di solito, si lodano le qualità morali, i meriti letterari del morto; qui, invece, si dà libero sfogo a una critica corrosiva. Questo pezzo è interessante non solo perché è un raro esempio di critica spietata di un'istituzione, di un classico che siamo abituati a elogiare, mostrandocelo in tutt'altra luce, ma anche perché, nel complesso, non è gratuita o estemporanea ma poggia su un ragionamento, su una visione del mondo. Ossessionato dalla morte e dalla decadenza, dall'inquietudine e dalle ombre, Einstein non poteva soffrire l'arte conciliante e pacificatoria, l'arte inoffensiva, non tragica, che cioè nega il conflitto come quella di Goethe - il cui ottimismo è giudicato " reazionario", al più segno di una " onorevole mediocrità". Si sia d'accordo o meno, i testi di Einstein fanno sempre pensare. Vale la pena leggerlo anche perché, nell'atto stesso di essere corrosivo, trovo lo stile di Einstein assolutamente spassoso.
Necrologio: 1982-1932, in C. Einstein, a c. di G. Zanasi, Lo snob e altri saggi, Guida, Napoli 1985, pp. 63-72:

" [...] Goethe, ritardatario di un classicismo morente, è per i tedeschi la quintessenza della sventura filologica. [...] Con l'aiuto del tradizionale repertorio di allegorie imparate, egli si costruisce un metaforico olimpo da liceale. In altre parole: si fa bello con abili paragoni usati in modo decorativo. Ma in quest'antichità teatrale, [...] che, in realtà, riflette soltanto una sconfinata vigliaccheria, trova il modo di tenersi lontano senza rischi dai problemi di attualità [...]. Vogliamo enumerare alcuni aspetti scandalosi della sua antichità da liceale: in primo luogo un ridicolo ottimismo, un elemento del tutto reazionario con cui si evita vigliaccamente ogni critica e si rimette ad autorità superiori il compito di determinare il presente. I problemi fondamentali del decadimento e della morte sono pavidamente evitati. [...] Infine, una serenità ripugnante che è un requisito del Rococò, dell'aristocratico indolente. In base a questa concezione, l'arte elimina tutti i conflitti o li riconcilia in una rima carina. Notiamo in Goethe una fuga ininterrotta da tutti i dualismi che vengono sostituiti con il culto di un'unità inerte e senza conflitto [...]. Non occorre sottolineare che in una siffatta antichità convenzionale, sessualità ed erotismo degenerano in decoro [...]. L'etica di Goethe è identica, sotto ogni aspetto, alle convenzioni di un limitato ceto sociale. [...] E' stata molto lodata la chiarezza di Goethe, laddove nella sua opera troviamo una perfetta confusione e l'incapacità di guardare in faccia con coraggio i problemi che incombono. La poesia di Goethe è sostanzialmente poesia liberale, ossia egli conferma un'innocua realtà media e lascia intatte le convenzioni già esistenti su un presunto reale. Ciò gli consente di progredire tranquillamente e di considerare tutto innocuo, perché tutto è divenuto ormai inoffensiva letteratura misurata. [...] Un segno caratteristico di questa onorevole mediocrità è vedere, per esempio, come il sensibile sia identificato col bello e col gradevole e come le passioni siano graziosamente subordinate alla ragione. [...] è incapace di ricavare dall'entusiasmo più di un verso ragionevole e degrada lo stesso entusiasmo altrui al livello di un gioco sereno. Goethe è l'uomo non tragico, e ciò nonostante tutti gli orizzonti di Faust che, in ultima analisi, chiude da affarista di successo.
E' molto elogiata la propensione di Goethe all'ordine e alla chiarezza: è una caratteristica del tipo debole che diffida della propria interiorità e sa vivere solo in circostanze sicure. [...] Si considera a torto grandezza interiore l'ampio repertorio della sua cultura oggettiva. [...] Socialismo come via verso il certificato di matrimonio, ribellione impune come pezzo di varietà. Un filisteo dell'evoluzione, la Greta Garbo del darwinismo con la folta barba di un profeta fallito.
[...] E' davvero ripugnante vedere come Goethe ritenga significativo ogni istante della sua vita e, per paura di morire, prepari il suo monumento biografico. [...] E' solo un modo diverso di designare un'osservazione priva d'interesse, uno sfruttamento estetico degli eventi. [...]
Goethe era così preso dall'idea della felicità da considerare il reale solo come un continuum, mai come uno stupefacente paradosso mortifero. [...] Non capì che il valore dell'arte sta in gran parte proprio nella sua facoltà di accrescere l'inquietudine e l'assurdo. Non intuì mai il carattere mortifero dell'opera d'arte e, nonostante tutto l'acume faustiano, non riconobbe la qualità distruttiva dei simboli (che sono nati da antichi tabù); non capì che il mito e il simbolo si radicano nel conflitto tra l'uomo e il mondo primitivo e che l'uomo, tanto minacciato, si difende dalla realtà esterna creando una nuova realtà mitica. [...] non ha mai compreso la lotta per la struttura dell'uomo e del cosmo. Non ha mai diffidato delle parole e del linguaggio, bensì mascherava la sua mediazione descrittiva e il suo ottimismo servile con allegorie meschine, splendenti ma sorpassate. Così il Faust è, in effetti, un aneddoto metaforico con un'azione virtuosamente condita. "

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