L’integrazione parte dalla scuola dell’infanzia e dalla scuola primaria. E’ solo quella la fascia di età sulla quale si può contare per un civile processo di integrazione ma non vedo molta possibilità tra soggetti adulti. Del resto proviamo ad immaginare una società nella quale i rom fossero la maggioranza e i non-rom fossero la minoranza. Come tutte le maggioranze tenterebbero anche loro di imporre il loro modo di vivere ai non-rom e sarebbe naturale che i non-rom opponessero delle resistenze. I nostri concittadini rom sono oggetto di persecuzione razziale ormai da troppo tempo e il problema non si può liquidare addossando tutte le colpe ad una etnia in condizioni di povertà e di debolezza sociale. La parlamentare europea rom Livia Jároká ha redatto un rapporto sull’integrazione rom in Europa, che personalmente condivido, e ha concentrato la sua proposta sull’istruzione e sulla capacità che dagli stessi rom, assenti dall’istruzione da troppe generazioni, emerga la spinta ad una rappresentanza istituzionale che faccia da volano per la condizione sociale della loro etnia. Ha aggiunto che bisogna concentrarsi sulla condizione femminile all’interno delle comunità rom, ancorate alle dinamiche tribali dei matrimoni forzati e dello sfruttamento sessuale. Lei stessa ha affermato di essersi emancipata perchè ha avuto due genitori che hanno compreso il valore dell’istruzione consentendole di arrivare all’università e di laurearsi. E per far questo non ha dovuto rinnegare la cultura della sua etnia, ma l’ha valorizzata in un contesto di integrazione più esteso. In fondo ciò che spinge all’odio razziale è la povertà. Se uno zingarello ci sottrae venti euro la rabbia e l’odio razziale si alimentano a dismisura. Se un banchiere ci sottrae 200 euro applicandoci commissioni bancarie truffaldine, lo accettiamo con pacata rassegnazione. Lo zingarello corriamo a denunciarlo sperando che sia buttata la chiave della cella, ma del furto del banchiere accettiamo anche che l’anno successivo si ripeta e non ci preoccupiamo nemmeno di cambiare banca. Lo zingarello ci crea allarme sociale, il banchiere no. La povertà che lo zingarello incarna ci spaventa e rifiutando lui si rifiuta la povertà che esprime. Il banchiere, di certo più pericoloso e più dannoso di uno zingarello, incarna la ricchezza e non ci spaventa perchè non associamo alla sua figura alcun allarme sociale. Eppure è il banchiere che finanzia le guerre, è il banchiere che detiene la cassaforte delle organizzazioni criminali, è il banchiere che insieme con le case farmaceutiche decide quali debbano essere le aree dove far scoppiare epidemie e dove concentrare la produzione farmaceutica, è il banchiere che protegge gli affari più sporchi del pianeta, è il banchiere che decide delle nostre sorti. La ricchezza è il passaporto che rende credibile un banchiere. La povertà è il marchio che abbiamo affibbiato ai rom per giustificarne il rifiuto. Certo non possiamo chiedere ai singoli cittadini di farsi carico di una problematica così complessa, nè che siano sempre loro a pagare il prezzo dell’aspetto delinquenziale della mancata integrazione, quando invece le nostre istituzioni, per decenni, non si sono nemmeno preoccupate di andare a vedere come si erano mobilitati e organizzati gli altri Paesi europei. Non permettiamo però che prevalgano gli istinti più ignobili e quantomeno pretendiamo dalle istituzioni che si muovano nella direzione della integrazione. Ristagnare nell’indifferenza e nel rifiuto di certo non rende migliori.
Carla Corsetti
Segretario nazionale di Democrazia Atea