Carla De Angelis, I giorni e le strade, Fara editore
Perché si scrivono poesie, atti in perdita finanziaria , che chiedono attenzione, tempo, impongono di sciorinare l’interno dolore, di perdere pudori, di perdere i percorsi sicuri, di abbandonare i salvagente, i corrimani,…?
Credo che nessuno abbia mai risposto in modo esaustivo e convincente a questa domanda; un poeta scrive come l’innamorato ama e non c’è ragione, non esiste nessun paradigma logico, filosofico, sintattico,…., ma l’uomo da millenni sceglie parole per dire di sé e del mondo, dei fatti e delle percezioni, e ha scritto tomi teoretici, ha raffinato la retorica, ha sgravato di oneri i poeti coronandoli di onori. Altri tempi, altri costumi…
Penso ad un filo che lega nesso, Nasso, abbandono, dolore, profezia: povera Arianna abbandonata in Nasso per l’opportunismo di Teseo, nesso fra il mito e il potere che profetizza lo stretto legame fra i poteri ( politico, mercenario, muscolare); la poesia è spesso profezia: immagino un bambino che gioca sulla sabbia del mare e seleziona valve e gusci , poi tira su un edificio beffardo, che sfida ogni regola di fisica ma che lo incanta anche se la cernita gli ha procurato qualche piccolo taglio sulle dita.
Carla, che ha pubblicato solo tre libri non è poetessa avara, è donna a cui i bisogni degli altri rubano il tempo. E i bisogni degli altri non rivaleggiano con i suoi , semmai li fa rivivere come propri.
Il titolo ha una sua consistenza semantica: i giorni che tramano il tempo e che ci fanno scoprire un ieri diverso, minuscolmente diverso dall’oggi , e la trama delle strade che ci portano a deviazioni, a rettifiche, a procedere e a recedere, a tessere comunque sempre la tela che la sorte ci ha dato, a provare ad amarla nel dolore che trafigge, nello spiraglio che ci illumina, raramente. E non c’è risposta alla domanda sul motivo di esserci su questa terra : l’amore ci fece, per amore sopravviviamo.
“Se la vita non fosse un fatto privato
ti donerei metà del mio respiro
da stringere nel pugno
quando la bestia ringhia
libera la mano e continua a volare
(……………………..)
Tu puoi solo scagliare la freccia
mani insieme a tendere l’arco”
L’amore non è oblativo, esiste e non mette steccati, non ha imbarazzi, non si svuota, è testardo, persiste e muta l’amante. L’amato è poco più di un pretesto.
In questo libretto di poesie , Carla si rivela ancora più scarna, ancora più incisa e incisiva; a lei non interessa la forma, delle parole cerca la forza, la coerenza con il suo stato d’animo-
Il suo dire duole, in esso si specchia il suo stare contuso e lieve per quel sogno che sopravvive:
“……
sette gatti un coniglio due papere
scriverò due lettere
solo due lettere
qualche numero di telefono”
La vita che ci strangola fra le lancette del tempo sa fornire pause come quelle sole: sono gli animali nel suo giardino, sono vita semplice, creaturale, sono l’essenziale.
Se dovessi definire queste poesie direi che sono un breviario per un dio che non intercede ma talvolta interviene leggero come un’intuizione; a Carla basta poco, quasi nulla , pure sulle sue gracili spalle si annida un Prometeo che per amore degli accetta di rinnovare ogni notte la sua tortura felice dei fuochi che ardono qua e là per le campagne.
Come premesso dalla poetessa stessa, le poesia seguono l’ordine cronologico della loro creazione nel rispetto dell’emozione che le ha fatte emergere.
Sono poesie di sostantivi, puntute e poco giocano con la metrica; il linguaggio è moderno, però non sperimentale. Riflettono i ritagli di tempo che ha permesso loro di esistere.
NARDA FATTORI
Questa notte lascio una ciotola
alla finestra
acqua e petali di rosa
domani colpirà la distanza
delle gocce profumate
dalla pianta incauta
carica di spine
cammino per tenere i piedi a terra
recido un braccio poi l’altro
senza chiedere la profondità del taglio
gli occhi devono tacere, la bocca
non innalzare lamenti
Il corpo in un recinto
nel profumo di rosa
senza nome
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Quando è arrivata
non ero lì
Ora la cerco nelle strade
tra i sassi
soffio le particelle di polvere
nei battiti del pino
senza calpestare le radici
del pane dorato fra le spighe
Ho aperto una nube e l’ho cercata
nelle gocce che accompagnano
il canto dei poeti
Devo chiedere perdono
per quella distrazione
devo ripercorrere tutti i volti
risolvere quel pianto di bimba
stendere la solitudine dove i sogni
la possono ritrovare
Mi alzo
rimbocco bene le coperte
lascio un po’ di me fra le lenzuola per
ritrovarmi questa sera
Dalla finestra vedo il grano
le cornacchie i merli i gatti
un gattino che sbadiglia
gocce di acqua sulle foglie
sulla macchina
scendono insieme al sole che sorge
mi volto
sulla tavola
il pane il latte
noi
l’abisso e la salita
Un altro giorno per conquistare le stelle della sera
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Devo salire su una stella cadente
attraversare parole nuove
fiori con tanti petali
e farfalle da accarezzare
non più bastoncini e puntini
frasi da nuotarci dentro
con accenti sbagliati
liberi
altalenare sugli apostrofi
oscillare sul tempo lasciato
in quel cortile fra galline e alberi da frutta
canzoni urlate destino da recitare
disseppellire un barlume
brandelli di giochi
non fanno infanzia
Devo scrivere una poesia
l’ho promesso
sul bene sul male
sulla morale
Aspetto il vento,
se bussa
non chiudo porte e finestre non spio tra i vetri
lo faccio entrare
si accomodi sul divano
gli dico
mi siedo accanto
lo insinuo nei cassetti
un soffio sotto i mobili
in cantina fra fantasie e speranze
fra bene e male
Lo specchio senza polvere
rimanda parole stonate
imprime un segno
nessun miracolo oggi
il soffio che ora sento
non è il vento
è l’odio
odora di selvaggio
impudente mi riflette
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Dovessi morire adesso
nessuno saprebbe i pensieri
che questa sera penso
non potrei ordinarmi fra le lenzuola
ritrovare lo stesso sogno
che tornava a casa
a nessuno potrei dire di quel sabato incantato
mancherei a tutti gli appuntamenti
Fermo il cuore
le gambe e lo stomaco non proverebbero più tremiti
Il cellulare nuovo? la pasta che a malavoglia
ho lasciato per il pranzo di domani?
sarà come non avessi
più bisogno del respiro
Che farei delle mie mani pronte
a trattenere il vento
a contare i giorni di coraggio
posati sulle ginocchia?
Qualcuno per cancellare il dolore
vuoterà l’armadio brucerà le foto
imbiancherà le pareti della mia stanza
forse il computer conserverà memoria.
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Un touch e scompare un volto
rotolano nel cestino lettere messaggi
tutti i baci e gli abbracci
il respiro di un lungo tempo
i luoghi di tanti racconti
mille e più amici
Attenzione
il nemico è silenzioso
nessuno riposi
disperato a recuperare
quel battito dal volto invisibile
perso nello spavento del file
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Una goccia di sudore
non sa dove posare la lacrima
Il dramma è quella carretta troppo carica
Il mare la inghiotte poi ripete la sua onda
Il dramma è quella donna malmenata e arsa viva
Intorno le auto continuano la corsa
Un altro uomo si ferma
quanto?
settembre 2012
Utopia
Scusa Signore se non ho ricordo dei giorni vissuti
un pensiero lungo in cerca di incanto
è rimasto impigliato nei perché
tuttavia riprendo la strada
senza sprecare una mollica di pane
un sorso di acqua un passo una parola
senza consumare il mistero mi fermo
dalla finestra vedo passare il gregge
il cane bianco lo protegge lo avvia alla collina
l’incanto si trova nei fili d’erba
nel silenzio del pastore nel sole
nessuna pecora si deve smarrire
nessun uomo deve più morire
(pensando a tutte le guerre)
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Una briciola già mi sfama
una nota mi rallegra
un seme lo dono alla terra
Il Signore gli conceda
la gioia di germogliare