Carlo Calvi, figlio del Banchiere di Dio: «In base alla mia esperienza esistevano sufficienti lacune nei due livelli di giudizio precedenti per giustificare un rinvio»

Creato il 21 maggio 2012 da Nottecriminale9 @NotteCriminale
di Marina Angelo

Tutti noi, in questi giorni, abbiamo fatto una piccola riflessione: L’Italia è il Paese dei casi irrisolti, delle scomparse senza giustizia, dei morti senza colpevoli e, ahimè, delle stragi. E quelle fanno sempre più male, perché sono sempre di innocenti.
L’Italia è un Paese ricco. Ricco di “perché”, l’unico dato in crescita all’interno di questa crisi. Molte storie rimangono un giallo dai contorni delineati ma dai colpevoli sfuggenti.
Una di queste è, sicuramente, il caso della morte di Roberto Calvi, il “banchiere di Dio”, nato a Milano il 13 Aprile 1920 e trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982 con le tasche dei pantaloni pieni di pietre ( 5 chilogrammi) e un documento intestato a Gian Roberto Calvini.
Una storia che spende molti di quei perché, e non sconta nemmeno se e ma. Abbiamo interpellato il figlio Carlo da sempre impegnato alla ricerca di quella verità che, ad oggi, pare non voler arrivare.
Carlo Calvi adesso vive in Canada. E’ da lì che ha risposto alle nostre domande:
A novembre la Prima Sezione Penale della Cassazione non ha voluto riaprire il processo per la morte di suo padre Roberto così, il faccendiere Flavio Carboni, il cassiere della mafia Giuseppe (detto Pippo) Calò ed Ernesto Diotallevi, uomo vicino all’ambiente della Banda della Magliana, non risponderanno per la morte di suo padre. Cosa ne pensa?
Io sono stato parte civile nei tre gradi di giudizio del processo per l’omicidio di mio padre. Ho sostenuto la Procura ma le nostre posizioni pur non escludendosi non sono identiche. La Procura ha privilegiato il movente del riciclaggio mentre io privilegio il movente ricattatorio. Il giudizio di primo grado é più prossimo alla mia posizione ed ha coniato l’ormai nota espressione: « il groviglio delle ipotesi ». (scarica "Il groviglio delle ipotesi" ) Io motivo la mia analisi su una serie di considerazioni che sono difficili da sintetizzare.
Le entità estere del gruppo B.A. detenevano operazioni discutibili dal lato degli utilizzi non della raccolta. B.A.H. in Lussemburgo era finanziato da sindacati di banche estere e la sola banca che riceveva depositi non di corrispondenti bancari era Nassau e pure in maniera minima.
La questione che si pone é perché quando Banca d’Italia impone alle entità italiane di B.A. di interrompere il loro sostegno a quelle estere queste disponibilità vengono rimpiazzate da E.N.I. e B.N.L.(scarica "BNL-ENI-Connally") al punto che queste diventano i principali creditori della rete estera di B.A.. Mio padre al secondo grado del processo valutario avrebbe dovuto andare più oltre della rogatoria condotta a Lugano l’anno precedente e rivelare il ruolo anomalo di chi si serviva del Banco all’estero per effettuare operazioni che non potevano fare direttamente. In questo senso era diventato inaffidabile .
La Banca d’Italia aveva imposto una serie di condizioni che potevano essere raggiunte con la fusione con un’entità non bancaria come Italmobiliare. Mio padre disse esplicitamente che questo progetto era avversato da Giulio Andreotti e che rappresentava la minaccia per la sua vita. I tabulati delle telefonate tra i Vitalone e Carboni durante il viaggio a Londra e la succursale della Magliana a Londra conducono a una ricostruzione molto simile all’omicidio Pecorelli. Ma dove entra il riciclaggio, si dirà? Per quanto riguarda l’estero io credo che l’approccio processuale di cui pure non si può non lodare l’impegno e la mole avrebbe beneficiato sul tema del riciclaggio di almeno tre elementi. Chi ai tempi ha seguito le liquidazioni non ha avuto difficoltà ad individuare il riciclaggio la dove si trovava. Mi riferisco al Casinò Ruhl di Nizza ove tutti i misteri si incrociano in maniera indiscutibile.
L’utilizzo dei dichiaranti deve secondo me essere quanto più preciso e ristretto possibile. Le rogatorie devono pure essere estremamente specifiche. Il giudizio di secondo grado ha concentrato in poche settimane il lavoro di due anni. Fortunatamente ha confermato la ricostruzione e i ragionamenti del giudizio di primo grado. Ancora una volta chi ha seguito le liquidazioni e in particolare il ruolo svolto dal Procuratore di Lugano Bernasconi, da cui in gran parte deriva, non potrà che risentire di una grande perplessità per l’affermazione contenuta nel giudizio di appello che Carboni non aveva movente. Io non sono un giurista ma ho vissuto decenni di procedure giudiziarie civili e penali ai quattro angoli del globo e a tutti i livelli. Per quanto riguarda la Cassazione potrà esprimersi meglio l’Avv. Alessandro Gamberini che mi ha rappresentato. In base alla mia esperienza esistevano sufficienti lacune nei due livelli di giudizio precedenti per giustificare un rinvio. Credo abbia prevalso il sentimento di aver dato la conferma dell’omicidio alla parte civile e l’insufficienza di prove agli accusati.
Chi si sta proteggendo?
Intuisco il senso della domanda. Se mi é consentita una analogia mi é capitato di rispondervi in maniera clamorosa. Alla vigilia della comparsa della causa assicurativa davanti al giudice Curtò trasferimmo la giurisdizione in Canada. Curtò finì in prigione e vi fu una transazione che altrimenti non avrebbe mai avuto luogo. Sir David Napley mi disse poco tempo prima di morire che avremmo dovuto cominciare subito quella causa in Inghilterra come opportunità di riesaminarvi le circostanze dell’omicidio.
Se vi é stata una pecca nel preludio al processo romano é stato il fatto che le due giurisdizioni, con i loro limiti e le loro interferenze, pur collaborando, non hanno lavorato indipendentemente. Della rete italiana parlerò nella risposta riguardante la vicenda di Emanuela Orlandi.
Come sintetizzerebbe i rapporti tra politica, economia, chiesa, giustizia e crimine?
Esiste un connubio politica, economia e crimine che nell’Italia degli anni settanta e ottanta assume le caratteristiche di laboratorio di molte delle manipolazioni che notiamo oggi in altre giurisdizioni e su più vasta scala. La vicenda dell’Ambrosiano é emblematica del ruolo dei gruppi di interesse che corrompono il funzionamento delle istituzioni e la percezione del pubblico.
Mettiamo da parte il susseguirsi di atti di violenza inspiegati e il loro effetto sull’opinione pubblica, la singolare continuità che si nota nel susseguirsi dei personaggi che occupano posizioni di potere. Gli accusati del nostro processo hanno una caratteristica molto particolare. Sono persone che toccano i livelli più alti e i livelli più bassi della società.
Ed é in questo contesto che si sarebbe dovuto trattare il tema del riciclaggio. Il crimine ha un ruolo di garante di patti tra affari e politica e viene ricompensato con opportunità di riciclaggio come parte di complessi accordi di potere. Io credo che questo sia un sintomo non del cattivo funzionamento di un particolare sistema ma di una tendenza generalizzata e crescente alla manipolazione delle istituzioni che ha spesso bisogno di questi intermediari. Il caso del Vaticano, per chi é venuto in contatto con chi vi opera, é il frutto di una cultura istituzionale che rinforza una visione molto miope e ottusa del beneficio a breve termine.
So che é difficile conciliarlo con il ruolo della Chiesa ma questi attirano persone che rinforzano questo comportamento e lo perpetuano attirandosi problemi crescenti. Per venire al concreto questo si manifesta nell’ignoranza e insofferenza nei confronti della più normale discrezione nella scelta delle controparti d’affari nonché l’accettazione temeraria di rapporti fiduciari informali votati al disastro.
In questi giorni s’è parlato molto del caso di Emanuela Orlandi ed in merito, lei, ha dichiarato più volte che le vicende oscure della finanza vaticana sono profondamente collegate alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Quanto pesa un morto come De Pedis all’interno di S. Apollinare e quanto effettivamente in questa vicenda?
Per trattare brevemente della vicenda di Emanuela Orlandi e della sepoltura di De Pedis a Santa Apollinare credo sia bene fare due considerazioni. Esisteva un struttura italiana dei rapporti IOR e Ambrosiano che Charles Raw ha chiamato i “lira back to back”. Si trattava di un sistema di conti IOR, Ambrosiano e presso altre banche, nell’ambito del quale i fondi circolavano in maniera indistinguibile e quindi offriva una opportunità ideale per nascondere il riciclaggio. Si deve sapere che questi conti non furono analizzati nel processo per la bancarotta del Banco perché a differenza dei conti esteri, lo IOR chiuse le posizioni debitorie poco dopo la morte di mio padre per non intralciare la creazione del nuovo Banco. Questo sistema ha continuato a funzionare come paradiso fiscale per consentire trasferimenti illegali e lucrare consistenti benefici.
É solo in tempi recentissimi che la pressione della crescente regolamentazione del settore bancario in materia ha attirato l’attenzione su questo abuso. Ritroviamo De Pedis con Tiraboschi e Alibandri al centro di un sodalizio criminale che combinava sequestri di persona e estremismo neo-fascista. Nella primavera del 1983 il già citato Procuratore di Lugano Paolo Bernasconi ci consegnò copie dei mandati che il Dott. Imposimato aveva emesso contro Carboni. Questi mandati originavano dalle dichiarazioni dei pentiti della estrema destra Aleandri e Tisei. Descrivevano un gruppo che si finanziava con atti di criminalità comune e fungeva all’occorrenza come braccio armato del Potere.
Ci rendemmo ben presto conto che gli stessi avevano una presenza consistente a Londra al punto che era la base privilegiata di NAR e Magliana e lo stesso Abbruciati vi aveva operato prima di rientrare in Italia e venir ucciso nell’attentato a Roberto Rosone. Si tratta della base che ha consentito di organizzare l’omicidio di mio padre e che godeva di connivenze sul suolo britannico.
Che relazioni ci sono, se ci sono, secondo lei, tra banda della Magliana e Ior?
So per esperienza diretta che il Vaticano consentiva l’utilizzo della sua struttura bancaria a fini di criminalità comune e politica in modo del tutto sconsiderato e che i rapporti di questo tipo e mai formalizzati, come ha notato anche la Commissione Mista Italia-Vaticano del 1983, hanno una grossa potenzialità di sfuggire di mano.
Credo che Emanuela Orlandi sia stata rapita come mezzo di pressione e come soggetto più facile ma altrettanto efficace. Si tratta di una vicenda che ha, oltre al nesso con l’uso sconsiderato dei “back to back” e al ruolo istituzionale della criminalità romana, un altro elemento comune alla vicenda di mio padre, vale dire una grande valenza simbolica.
Francesco Di Carlo detto ”Frankie lo strangolatore” ultimamente ha affermato: “I veri killer di Roberto Calvi non verranno mai puniti perchè sono protetti dallo stato italiano, da membri della loggia massonica P2″. Secondo lei quanto c’è (se c’è) di vero in questa affermazione?
Sulle recenti dichiarazioni di Francesco Di Carlo vorrei premettere che si é fatto un lavoro molto grosso e per un periodo molto lungo. Basterà ricordare che Kroll (agenzia investigativa americana ) ingaggiò il funzionario della dogana britannica che arrestò Di Carlo per lavorare sul caso. Ai nostri fini vorrei limitarmi a notare che, con le debite cautele, Di Carlo ha passato varie prove come dichiarante. Nel suo ruolo primario nei processi Dell’Utri ha prevalso in varie iniziative giudiziarie nei suoi confronti intentate dai chiamati in causa.
La sua utilità, oltre che nell’individuare la protezione e utilizzo istituzionale delle sue logisticamente imponenti attività criminose, credo risieda nel ricostituire la rete sociale criminosa alla quale apparteneva nella Londra degli anni ottanta. Gli esempi si sprecano. Ritroviamo Di Carlo con Valerio Viccei, morto dopo aver offerto di fornire informazioni sulla vicenda di mio padre. Compare con Bellinghieri coinvolto nell’omicidio Vaccari,con Vallorani, sodale degli stessi, e con Piccone indicato da Charles Raw come informato sui fatti. ( scarica il doc "Memoria")
Chi è Francesco Di Carlo?
Si tratta di persona idealmente "collocata" per conoscere la Londra criminale di allora.
Cosa le ha insegnato suo padre?
Mio padre aveva un temperamento diverso dal mio. Era un forte lavoratore ma più riservato. Io sono più portato a interessarmi di questioni di interesse pubblico, mentre mio padre cercava di destreggiarsi essenzialmente a fini concreti. Con mia madre, mia sorella e con me, era persona di grande calore umano ed é di questa intimità che conservo il ricordo più profondo.
Lei prega mai?
Prego quando ne sento il bisogno, ma questa é un’altra storia.

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