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Carlo Cassola, Marina di Cecina

Da Paolorossi

Il libeccio era durato fino alla notte prima, e un largo tratto di spiaggia era stato spianato e scurito dalla mareggiata. Anna camminava adagio, guardando in terra. Seguiva la traccia di due piedi nudi. Poi la sua attenzione fu attirata da un'orma composta da tre graffiature: pensò che l'avesse lasciata un gabbiano. Risalì� il pendio e si mise a camminare lungo l'orlatura bianchiccia che segnava l'estremo limite della mareggiata. Con la punta del piede smuoveva le conchiglie e i sassolini che la furia delle onde aveva portato fin là. Notò un pesciolino morto; e una bava che sotto la carezza del vento sembrava volesse staccarsi da terra e prendere il volo. Le bastò sfiorarla, perchè si sfacesse.

[...] Dei colpi la fecero voltare. Doveva essere Enrico che smontava le ultime cabine. L'altro stabilimento era già stato demolito. La spiaggia era di nuovo libera: si vedeva solo in fondo un barroccio che caricava la ghiaia. Dalla parte del molo, dove il mare aveva mangiato la spiaggia e la poca sabbia rimasta era grossa e scura, c'erano alcune barche tirate in secco e un pescatore intento ad accomodare la rete. C'era anche don Vincenzo che stava entrando in acqua. Si immergeva piano piano,fermandosi ogni tanto a strofinarsi il petto, le braccia e il collo. L'acqua doveva essere parecchio fredda, ma don Vincenzo i bagni li faceva solo dopo che i villeggianti erano partiti.
Anna si mise a spianare un piccolo tratto di sabbia. Non le importava che la stagione fosse finita. Lei se la godeva poco: non andava alle feste da ballo allo chalet, nè frequentava il passeggio serale in pineta. A parte qualche scappata sulla spiaggia la mattina, sia lei che la sorella durante l'estate facevano la solita vita. Con in più il disagio di avere gente in casa; e del chiasso che c'era in paese fino a tardi, mentre loro dovevano alzarsi presto.
Se Anna non aveva motivo di rimpiangere l'estate, nemmeno si sentiva attratta dai mesi che le stavano davanti. Non potevano più costituire un'attrattiva per lei le festicciole di carnevale o le recite messe su da don Vincenzo.
"Quest'anno non reciterò. Soltanto andare a prender freddo in quello stanzone..." � vero che il divertimento erano le prove, gli scherzi per esempio che faceva Livio al cappellano, quando fingeva di aver dimenticato la parte e sbagliava apposta le battute.

[...] Anna tornò a guardare dalla parte opposta. Proprio nel punto dov'era il barroccio, la spiaggia cominciava a curvare; continuava così, per chilometri e chilometri, accompagnata dallo scalino del tombolo. Quasi a metà c'era un forte, che serviva da caserma alla finanza. Anna c'era stata una volta in passeggiata con la sorella e la zia. Il suo sguardo indugiò sul forte, poi si spinse sui poggi scuri di bosco che chiudevano l'orizzonte. C'era un paese a mezza costa, ma non ne ricordava il nome. Era sempre vissuta a Marina, di quello che c'era altrove si curava poco. I villeggianti venivano dai paesi dell'immediato retroterra, qualcuno anche da lontano, da Firenze, da Roma. La famiglia che prendeva in affitto una camera da loro, era di Firenze. Erano gente alla buona, e le avevano ripetutamente invitate, sia lei che la sorella. Bice una volta c'era andata, per tre o quattro giorni; lei no. Che gliene importava di veder Firenze? C'era un fumo all'orizzonte, proprio in mezzo al mare. Il mare era calmo, ma non così lucente come in piena estate.

( Carlo Cassola, Un cuore arido - Rizzoli, 1961 )

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