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Carlo Cassola, Volterra

Da Paolorossi
Volterra

Volterra

La salita era terminata: sulla sinistra comparve una miriade di luci. La corriera si lanciò a tutta corsa per la discesa, e le luci si misero a ballare nel vetro del finestrino.

« È Volterra? » domandò Mara accennando alle luci.

« È Volterra, sì… »

[…] Improvvisamente Mara fu investita da una luce violenta. Guardò fuori: era un lampione; ne sopraggiunse un’altro, infisso in un muro; poi l’autobus imboccò una strada fiancheggiata da una fila di casette contigue, con le finestre piccole, e pentole e vasi coi fiori sui davanzali. « San Lazzero » si udì la voce del fattorino « chi scende a San Lazzero? » Ma già tre o quattro persone si erano preparate per scendere.

[…] L’autobus passò sotto un arco. « Eccoci a Volterra » disse la donna. Stava infilando un golf al ragazzo; poi si mise in testa un fazzoletto, annodandolo sotto il mento. « Si metta anche lei qualcosa in testa, signorina; a Volterra fa fresco, la sera ». Quindi la salutò e la ringraziò della compagnia.

Volterra

Volterra

[…] « A Volterra come si chiama la strada dove vanno a passeggio i fidanzati? » domandò Mara.

« Il Corso » rispose Bube.

« È una strada grande? »

« No, tutt’altro… Volterra è una città vecchia, le strade sembrano tutte vicoletti. Di questa stagione però si può andare sul viale… quello è bello, largo… ci sono gli alberi, le panchine…»

(Carlo Cassola, La ragazza di Bube, pag. 58,59,60,77 – 1960)

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