Credo sia giusto ricordare Carlo Giuliani e la sua vita infranta. Non era un delinquente, ma un giovane come tanti, con ardori e passioni tipiche di un’età in cui gli eccessi sono frequenti. Non credo sia giusto, invece, farne un santino: aveva un passamontagna in testa e un estintore in mano, non precisamente la divisa di un pacifista.
Occorre rispettare il terribile dolore dei genitori, i quali l’hanno visto stramazzato in una pozza di sangue sull’asfalto di Piazza Alimonda. Bisogna partecipare commossi al loro lutto: la morte di un figlio, per qualunque causa e in qualunque modo avvenga, è l’evento più atroce che possa capitare a un essere umano.
Credo sarebbe doveroso ricordare ogni tanto anche Mario Placanica, il giovane militare di leva che, vistosi circondato, ha sparato per difesa o paura. Importa poco (importa soprattutto agli avvocati difensori) se il proiettile sia stato deviato o meno dall’estintore afferrato da Carlo piuttosto che da un calcinaccio.
Credo che sarebbe altrettanto doveroso tenere in considerazione il dolore dei familiari di Mario, anch’essi colpiti da un evento penoso: Mario è un figlio come Carlo e l’accusa di omicidio (sia pure per “eccesso di legittima difesa”) è una spada di Damocle che pende sulla sua vita futura.
Carlo e Mario sono, in realtà, entrambi vittime di questa terribile vicenda. Le vittime sacrificali, in un certo senso. Perché non avrebbero mai dovuto trovarsi laddove, invece, si sono trovati. Dove qualcuno ha voluto che si trovassero.
Rimane in me fortissimo il sospetto che - diversamente da altri vertici del G8 in cui si era verificata appena qualche scazzottata - la tragedia sia stata provocata. Ricordo troppo bene come e quanto, nelle settimane precedenti, i media abbiano soffiato sul fuoco dell’allarmismo, quasi a voler aizzare le frange più estreme del movimento No-Global. Ricordo troppo bene le tanto sbandierate misure di sicurezza intraprese e la trovata della “linea rossa” che pareva di per sé una provocazione, una sfida. E intanto il nostro Presidente del Consiglio si preoccupava dell’inestetismo dei panni stesi e delle piantine di limone. Pur non essendo genovese, conosco troppo bene il centro storico per non aver paventato che, così come coordinata, la manifestazione sarebbe diventata ingestibile in caso di scontri. Se le forze dell'ordine avessero saputo - o voluto - tutelare la sicurezza pubblica come avrebbero dovuto fare - e non hanno fatto - ora Carlo sarebbe vivo e Mario non affronterebbe un processo per omicidio.
A mio parere, però, la responsabilità dell'accaduto non va esclusivamente a carico di polizia e carabinieri - sebbene, in base alle testimonianze che ho direttamente ricevuto, abbiano pestato nel mucchio senza beccare neanche un black-blocker. Credo piuttosto che essa sia da addebitare non soltanto a chi non ha saputo arginare gli scontri ma a coloro che li hanno scientemente fomentati. Parlo delle alte gerarchie delle forze dell’ordine, sino ad arrivare al primo e diretto responsabile: il ministro dell’Interno.
So che la mia lettura dei fatti può non essere condivisa. D’altra parte non avevo l’intenzione di trattare l’argomento dal punto di vista politico, bensì in chiave umana. Mi premeva semplicemente esprimere un sentimento di pietas nei confronti di due ragazzi, Carlo e Mario, vittime di accadimenti più grandi di loro.
Non dimentichiamoli.
Entrambi.
(Pubblicato su Trovacinema il 15 marzo 2002)
Magazine Diario personale
Credo sia giusto ricordare Carlo Giuliani e la sua vita infranta. Non era un delinquente, ma un giovane come tanti, con ardori e passioni tipiche di un’età in cui gli eccessi sono frequenti. Non credo sia giusto, invece, farne un santino: aveva un passamontagna in testa e un estintore in mano, non precisamente la divisa di un pacifista.
Occorre rispettare il terribile dolore dei genitori, i quali l’hanno visto stramazzato in una pozza di sangue sull’asfalto di Piazza Alimonda. Bisogna partecipare commossi al loro lutto: la morte di un figlio, per qualunque causa e in qualunque modo avvenga, è l’evento più atroce che possa capitare a un essere umano.
Credo sarebbe doveroso ricordare ogni tanto anche Mario Placanica, il giovane militare di leva che, vistosi circondato, ha sparato per difesa o paura. Importa poco (importa soprattutto agli avvocati difensori) se il proiettile sia stato deviato o meno dall’estintore afferrato da Carlo piuttosto che da un calcinaccio.
Credo che sarebbe altrettanto doveroso tenere in considerazione il dolore dei familiari di Mario, anch’essi colpiti da un evento penoso: Mario è un figlio come Carlo e l’accusa di omicidio (sia pure per “eccesso di legittima difesa”) è una spada di Damocle che pende sulla sua vita futura.
Carlo e Mario sono, in realtà, entrambi vittime di questa terribile vicenda. Le vittime sacrificali, in un certo senso. Perché non avrebbero mai dovuto trovarsi laddove, invece, si sono trovati. Dove qualcuno ha voluto che si trovassero.
Rimane in me fortissimo il sospetto che - diversamente da altri vertici del G8 in cui si era verificata appena qualche scazzottata - la tragedia sia stata provocata. Ricordo troppo bene come e quanto, nelle settimane precedenti, i media abbiano soffiato sul fuoco dell’allarmismo, quasi a voler aizzare le frange più estreme del movimento No-Global. Ricordo troppo bene le tanto sbandierate misure di sicurezza intraprese e la trovata della “linea rossa” che pareva di per sé una provocazione, una sfida. E intanto il nostro Presidente del Consiglio si preoccupava dell’inestetismo dei panni stesi e delle piantine di limone. Pur non essendo genovese, conosco troppo bene il centro storico per non aver paventato che, così come coordinata, la manifestazione sarebbe diventata ingestibile in caso di scontri. Se le forze dell'ordine avessero saputo - o voluto - tutelare la sicurezza pubblica come avrebbero dovuto fare - e non hanno fatto - ora Carlo sarebbe vivo e Mario non affronterebbe un processo per omicidio.
A mio parere, però, la responsabilità dell'accaduto non va esclusivamente a carico di polizia e carabinieri - sebbene, in base alle testimonianze che ho direttamente ricevuto, abbiano pestato nel mucchio senza beccare neanche un black-blocker. Credo piuttosto che essa sia da addebitare non soltanto a chi non ha saputo arginare gli scontri ma a coloro che li hanno scientemente fomentati. Parlo delle alte gerarchie delle forze dell’ordine, sino ad arrivare al primo e diretto responsabile: il ministro dell’Interno.
So che la mia lettura dei fatti può non essere condivisa. D’altra parte non avevo l’intenzione di trattare l’argomento dal punto di vista politico, bensì in chiave umana. Mi premeva semplicemente esprimere un sentimento di pietas nei confronti di due ragazzi, Carlo e Mario, vittime di accadimenti più grandi di loro.
Non dimentichiamoli.
Entrambi.
(Pubblicato su Trovacinema il 15 marzo 2002)
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