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Carlo Emilio Gadda, Un gomitolo di concause – Lettere a Pietro Citati, Adelphi – PAOLO LAGAZZI

Creato il 20 settembre 2013 da Milanoartexpo @MilanoArteExpo
Carlo Emilio Gadda, Un gomitolo di concause, Lettere a Pietro Citati

Carlo Emilio Gadda, Un gomitolo di concause, Lettere a Pietro Citati

Carlo Emilio Gadda Un gomitolo di concause. Lettere a Pietro Citati (1957-1969), Adelphi. Recensione di Paolo Lagazzi per Milano Arte Expo - Come tutti i lettori di Gadda sanno benissimo, percorrere il suo mondo significa misurarsi con una sorta di magma in continua, prodigiosa ebollizione. Simile ai flussi di materia che plasmarono la terra nei suoi primordi, questo magma serpeggia, s’indurisce, s’inarca, si disgrega e si sposta: ora modella isole e monti di parole, ora disegna istmi, golfi o laghi di pensieri che subito si trasformano in dirupi di altre parole, in voragini di frasi in fuga, in cordigliere di metafore inusitate. Espressioni di una forza ardente, rapinosa e tremenda, i libri di Gadda paiono spesso sul punto di frantumarsi, di esplodere in schegge configurandosi secondo altre orografie, geologie o stratigrafie dello stile e dell’anima. Stretto tra le morse feroci del suo “male oscuro” e il richiamo impellente delle voci che lo abitano, chi crea questi libri non può fare a meno di voltarli e rivoltarli come tasche ispide, scucite e pullulanti, come sacche debordanti di larve, volti, corpi, profili, figure scosse dal delirium tremens del tutto. >

Malgrado il pathos che innerva e fa vibrare la sua scrittura come un fascio di onde sismiche, irriducibili alle “buone maniere”, Gadda ha sempre cercato di contenere le cataratte della sua angoscia entro gli argini rigorosi e robusti della forma, e senza dubbio opere come il Pasticciaccio e La cognizione del dolore non sono edifici periclitanti ma architetture icastiche e possenti benché fondate su qualcosa di abissale, refrattario a ogni calcolo ingegneresco.

Lo status paradossale del “gran lombardo”, il suo vivere su una soglia friabile e rischiosissima, esposto a tutti i venti contrari dello strazio, del grottesco e del sogno d’un po’ di pace, si riflette in modo trasparente, direi disarmante, nel suo rapporto con gli editori, una vicenda che le lettere inviate da Carlo Emilio Gadda a Pietro Citati tra il 1957 e il 1969, ora raccolte e commentate con estremo scrupolo da Giorgio Pinotti, ci aiutano a ricostruire in modo puntuale. (Il libro è accompagnato in appendice da un saggio di Citati sulla Cognizione e sul Pasticciaccio). Da una parte, per sperimentare a tutto campo quanto gli dettano i suoi demoni, Gadda non può non aggirare le richieste di Bompiani, Vallecchi, Sansoni o Ricciardi dimenticando contratti e scadenze, rinviando i termini degli accordi, manovrando i confini dei libri, i capitoli apparsi in rivista e quelli inediti o ancora in fieri; da un altro lato, però, il suo bisogno di correttezza e di umana giustizia lo rode ai fianchi con le fitte dei sensi di colpa, con l’appello dei patti da onorare a ogni costo.

Carlo Emilio Gadda - 1921

Carlo Emilio Gadda – 1921

Da un certo punto in poi della sua esistenza a zigzag, sono Einaudi e Garzanti, due tra i più determinati e ambiziosi editori italiani, diversissimi nel carattere ma accomunati dall’amore per la sua opera, a contendersi il privilegio di pubblicarla, e questa contesa riuscirebbe insostenibile per lo scrittore – non meno insostenibile, per usare le sue stesse parole, di un assalto di avvoltoi a una carogna – se, nel frattempo, il caso (o il destino) non gli procurasse due “aiutanti” quasi magici: Pietro Citati e Gian Carlo Roscioni. Mentre Roscioni si muove sul fronte einaudiano, Citati, diventato nel 1956 consulente dell’editore milanese, non solo vigila sui rapporti tra Gadda e Livio Garzanti, non solo consiglia il primo sulla messa a punto di libri – il Pasticciaccio, Accoppiamenti giudiziosi, I viaggi la morte, Eros e Priapo – che saranno le punte di diamante del catalogo garzantiano, ma tutela gli interessi dello scrittore con Einaudi e Vallecchi, pubblica sui suoi libri dei saggi memorabili, ottiene dal “Giorno” (con cui collabora) gli spazi per ospitarne articoli o racconti…

Tutto ciò non è ancora abbastanza. Carlo Emilio Gadda ha un bisogno disperato di rassicurazioni anche nel campo delle cose pratiche, della vita feriale, dell’andirivieni dei giorni – le tasse, la domestica, il cibo, i rapporti umani –, e Citati, benché molto più giovane di lui, gli è accanto quasi paternamente, lo sostiene, lo incoraggia, lo accompagna; soprattutto lo invita, d’estate, a condividere con lui e sua moglie Elena i luoghi di vacanza, il profumo del mare, il sole del Tirreno, il respiro quieto del tempo. Gadda sembra accettare – poi, d’improvviso, estrae da un forziere senza fondo di dubbi, malesseri, vertigini o inciampi, tutta una serie di scuse, giustificazioni, inchini, formule cerimoniali per prendere tempo, per rimandare, per mantenere l’ipotesi delle vacanze condivise eternamente socchiusa e mai concretizzabile, un po’ come una porta appesa ai cardini del principio di indeterminazione…

Nonostante tali, inarginabili aporie, le lettere di Gadda non si limitano affatto a produrre spasmi, cortocircuiti o attriti. La fiducia che egli prova, e che non perde occasione di testimoniare, nei confronti di Citati, è così viva, così ricca del sentimento dell’amicizia, da indurlo spesso ad abbandonarsi senza prudenza, con una schiettezza perfino implacabile, al gusto della confessione, al piacere di condividere col proprio “editor” d’elezione certi giudizi su attori e fatti del mondo letterario, su incontri o eventi strettamente privati. Agli impagabili tocchi gaddiani – puntuti, velocissimi colpi di spillo o stiletto, salti eccitati e caustici della voce – non sfugge ad esempio la Morante, colta, durante una cena romana con Moravia, Bertolucci, Pasolini e Zolla, mentre “urla e pontifica” lanciando accuse contro le borghesie “alle quali si deve, se mai, quello, quel poco, che c’è stato di veramente democratico nella nostra storia”. A sua volta Moravia, correo di quest’”aspra cornacchiante erogazione di teoremi storiografici” antiborghesi, è confutato con una passione quasi furibonda anche per un saggio riduttivo su un classico amatissimo da Gadda, I Promessi Sposi, “un’opera d’arte a cui ci si abbandona con la semplice (e profonda) gioia di chi si disseta in montagna a una fonte d’acqua chiara”. Da un pennello leggero, vibrante d’affetto e di humour, emergono invece, ad esempio, il ritratto di Parise, “un surreale d’impeto, immediato e spontaneo”, e quello di Attilio Bertolucci fluttuante tra un “agnosticismo epicureo-municipalistico” e il fresco delle lunghissime ferie in collina.

Non di rado, tornando sui propri passi e riconsiderando le frasi concepite d’impeto, Carlo Emilio Gadda sente necessario scusarsi con Citati (“Scusi questo sfogo dal pozzo di solitudine e disperazione in cui mi trovo”). Eppure scrivere all’amico è per lui una rara occasione di allegria (“Sono i pochi momenti non infelici della mia ormai infelice vita”), e altrettanto gratificante è riceverne notizie, fossero pure affidate a qualche “cartolina-farfalla”. Così, procedendo sul filo di una confidenza che è insieme, a tratti, una forma lieve di ebbrezza alcolica, lo scrittore crea una serie di volute lessicali e verbali, di allampanate figure retoriche, di eccentrici neologismi o di termini maccheronici “a bischero sciolto” (“letteratoide”, “farabuttismo”, “massacroso”, “pastettare”, “barbiturizzarsi”…) in cui il mistero doloroso del vivere s’incunea tra i rivoli del quotidiano, o tra le aiuole e le spine del mondo editoriale, per srotolare gomitoli di senso e nonsenso, per tessere o disfare arazzi di verità illusorie e di illusioni più vere del vero. Per quanto assediati dalla “disarmonia prestabilita”, questi arazzi possono a volte mimare le linee, le curve e i colori di quella bellezza che si annida chissà dove, forse solo nel “paese delle chimere”, per dirla con Rousseau. Così, nel 1965, dopo l’acquisto da parte di Citati di una grande villa con giardino alla Castellaccia di Giuncarico, Gadda, stimolato da quel luogo da lui non ancora visto, solo immaginato attraverso una lettera dell’amico, compone di getto una risposta che è un vero e proprio inno alla bellezza delle rêveries, alla consolazione di poterci cullare in qualche fantasia nutrita dal sangue delle nostre ferite: “Si dà il caso che il sottoscritto sognatore e maníaco abbia sognato e pensato, cioè architettato mentalmente, case e ville e castelli durante le lunghe camminate dell’infanzia e dell’adolescenza sugli stradali prealpini, nelle ore d’una fuggevole serenità; e abbia patito l’incanto di parchi e giardini, dei frútici odorosi, dei grandi allori e delle loro ombre materne. Non erano châteaux en Espagne, erano insistiti e agiati disegni e cόmputi métrici di case e castelli alzati nel pensiero, con muri e pilastri di pietra di cava, volte di mattone senza lesinare, tetti e pioventi su capriate di castano o di rόvere, alla cadenza infaticata del passo. (…) Gli alti alberi e i sistri dell’abetaia prealpina, le “cipolle„ dei ciclamini raggiunte nell’odoroso terriccio del sotto-bosco con uno zappetto, furono le pure gioie concesse dal caso alla mia infanzia senza denari. Non ero ancora nevrastenico, la qual perfezione raggiunsi dopo rozza disciplina a cui gli educatori mi piegarono. (…) Prego Lei ed Elena di accettare questa lieta rievocazione del mio lieto, libero sogno come l’omaggio di alcune rose per Elena e di un cespo di timo o di ramerino per entrambi. Il rezzo delle querci e forse dei castani o dei lecci consentirà loro di meriggiare sereni…”.

Paolo Lagazzi

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Carlo Emilio Gadda, Un gomitolo di concause. Lettere a Pietro Citati (1957-1969)

 Adelphi

pag. 244, euro 14.

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MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Paolo Lagazzi per il testo sul libro Un gomitolo di concause. Lettere a Pietro Citati di Carlo Emilio Gadda edito da Adelphi e la pagina / rubrica on line POETIC ART dedicata alla poesia. Leggi anche gli altri articoli di Paolo Lagazzi per il magazine: > VEDI ARTICOLI

Paolo Lagazzi, saggista e scrittore. Si è occupato di letteratura, buddhismo, magia, musica, cinema e pittura. Collabora a riviste e case editrici italiane e straniere. Ha pubblicato libri di saggistica, fiabe e racconti. Ha curato antologie di poesia giapponese e, per i “Meridiani” Mondadori, le opere di Attilio Bertolucci, Pietro Citati e Maria Luisa Spaziani.

Consigliamo lettura della pagina Wikipedia dedicata a Paolo Lagazzi: > LINK

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