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Penso piuttosto ai mille tasselli della narrazione, alla frenetica successione di personaggi e situazioni che ricordano il montaggio rapido anzi nervoso di un film, penso a una trama corale e complessa, anche se poi i mille torrenti si riuniscono nel grande fiume che ha un solo sbocco possibile, la terribile sconfitta di Adua, la peggiore che un esercito coloniale abbia mai subito in terra d'Africa.
Molte, forse troppe cose, ma poi quello che rimane è in primo luogo una successione di sensazioni: il sole abbacinante di Massaua, le voci e i colori di una città coloniale, il passo delle esercitazioni militari, il silenzio che cala sui morti della battaglia.
Miseria e sensualità, parabole individuali e tragedie della storia. Molte, forse troppe cose: e pensare che Carlo Lucarelli, in appendice, ci accompagna anche nel "retrobottega" di questo libro, scopre le carte in tavola e ci racconta come il libro è nato e cresciuto.
E dunque, un giorno, vicino ad Arezzo, un incontro con l'autore, uno dei tanti. Un lettore che si alza in piedi e gli chiede: cosa sta scrivendo? E lui che forse avrebbe potuto rispondere: forse ancora niente. E che invece si lascia scappare: un romanzo ambientato in Eritrea, prima di Adua.
Mette i brividi pensare che c'è stato dopo, la fatica della documentazione, lo studio, la costruzione dell'intreccio intorno ai fatti della storia.
Io mi ci sono ritrovato un po' a casa, in questa Eritrea, sarà per il lavoro che ho fatto su Odoardo Beccari, scienziato esploratore, che solo una ventina di anni prima ci raccontò queste terre. Ma allora eravamo ancora all'inizio del sogno coloniale. Adua lo avrebbe seppellito, tranne poi scatenare la macchina delle rimozioni e della cancellazione delle responsabilità - il destino cinico e baro, no?
Lucarelli ci aiuta anche a ricordare tutto questo, contro le amnesie che per Adua hanno funzionato, come no, pensare che è una storia italiana, una storia che racconta come siamo stati e cosa siamo ancora.
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