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CARLOS DRUMMOND DE ANDRADE, Fuga

Da Silvy56
CARLOS DRUMMOND DE ANDRADE, Fuga
La fuga dal reale, ancora più lontano la fuga dal fantastico, più lontano di tutto, la fuga da se stesso, la fuga dalla fuga, l'esilio senza acqua e parola, la perdita volontaria di amore e memoria, l'eco che non corrisponde più all'appello, e questo che si fonde, la mano che diviene enorme e che sparisce sfigurata, tutti i gesti insomma impossibili, se non inutili, l'inutilità del canto, la purezza del colore, né un braccio che si muova né un'unghia che cresca. Non la morte tuttavia. Ma la vita: captata nella sua forma irriducibile, senza più ornamento o commento melodico, vita a cui aspiriamo come pace nella stanchezza (non la morte), vita minima, essenziale; un inizio; un sonno; meno che terra, senza calore; senza scienza né ironia; quello che si possa desiderare di meno crudele: vita in cui l'aria, non respirata, mi avvolga; nessuno spreco di tessuti; loro assenza; confusione tra mattino e sera, senza più dolore, perché il tempo non si divide più in sezioni; il tempo eliminato, domato. Non ciò che è morto né l'eterno o il divino, soltanto quello che è vivo, piccolo, silenzioso, indifferente e solitario vivo. Questo io cerco.

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