Il coraggio della poesia totale. Sintesi additiva di Carlotta Pederzani
Nota di Diego Conticello
Qualche tempo fa, nel recensire l’esordio di Carlotta Pederzani (Dare senza chiedere, Lietocolle 2010) avevo parlato di “stupendo martirio”, ovvero un particolare spirito di sacrificio che consentiva alla sua poesia di «estrarre la bellezza dal nulla», modulando questa capacità con assoluta disinvoltura commisurata alla giovane età.
Ora nel suo recente Sintesi additiva (La vita felice, 2013), tali abilità ci giungono ancor più rafforzate, ma sempre con la medesima incisività
data soprattutto da uno sviluppo assai incrementato di iconicità e speculazione. Ne risulta un verso pieno, tornito nelle soluzioni formali – anche se
ancora con qualche perdonabile incertezza – ([…] pioggia,/ sui sentieri ardenti/ degli autunni,/ sugli inverni migranti… Donna; […] e il livore
vergognoso/ di un tremito… Inverno; […] il tramonto allunga le sue dita/ tra le rughe della terra… Speranza) e folgorante, intuitivo,
nettamente sbilanciato verso le tematiche ‘universali’, come avviene in Nascondersi, certamente la lirica meglio riuscita dell’intero volume, che
vorrei riportare per intero perché veramente esemplare della poetica ‘manichea’ dell’autrice:
Troppo dolce – il dolore –
per sottrarmi al suo incanto.
Perché chiedere luce,
se rassicurante è il buio?
Cos’è, poi, l’ombra, se non
il dazio che alla luce
impone la materia?
Appariva chiaro sin dalle poche liriche di qualche anno fa che Carlotta avesse scelto la strada impervia – nonché avara di immediate soddisfazioni – della poesia “difficile”, una poesia che conversa per grandi temi, non avendo timore di parlare del Nulla, dell’Assoluto, dell’Eternità (talmente fondamentali da meritare sempre la maiuscola): una poesia di stampo filosofico, sebbene ancora acerba, che si nutre dei grandi autori ‘cosmici’ di un favoloso passato (Leopardi, Cioran, Dickinson, Celan, Holan, Whitman) e che rifugge – cosa ancor più apprezzabile – dai “facilismi” e dai giochini linguistici spacciati per alti sperimentalismi in cui sguazza invece moltissima poesia giovane e meno giovane. È proprio questo scarto, questo apparente ‘distacco’ che la spinge a imboccare il sentiero tortuoso (che per alcuni si trasforma in precipizio) della poesia “totale” il quale, mi auguro per lei di tutto cuore, la porterà quantomeno fuori dalle secche di un provincialismo espressivo che ormai ha fatto il callo nel nostro stivale, per non dire lo “zoccolo duro”.
Non è impresa da poco trascurare la blanda minuteria del quotidiano – con tutti i suoi portati di banalità e autobiografismo – per aspirare a più alte
vette meditative e la giovanissima Carlotta Pederzani ha già percorso più di qualche ripido metro. (Diego Conticello)
Coscienza
Il vento striscia
sotto gli usci serrati;
come sibilo
bisbiglia strascichi di sospetti
ad orecchie insonni;
sussurra strazi e angosce;
come serpe
si insinua nei silenzi,
negli anfratti
stipati d’ombre
e di cortine
strappate.
7 dicembre 2010
Inverno
Poesia
chiusa nella conca
del respiro,
a solcare il cielo
in scheletri di alberi;
e il livore vergognoso
di un tremito.
27 giugno 2010
Nascondersi
Troppo dolce – il dolore –
per sottrarmi al suo incanto.
Perché chiedere luce,
se rassicurante è il buio?
Cos’è, poi, l’ombra, se non
il dazio che alla luce
impone la materia?
19 ottobre 2011
Parola
Ogni lacrima mi appartiene,
in fili di inchiostro.
Svolgo silenzi
nel vuoto d’aria di un
- a capo.
Stringo fra le mani
l’Indicibile –
tripartito nello spazio
preservato
di una sospensione…
Scrivere
Dai labbri aperti e doloranti
stillano
gocce di inchiostro.
Nel dipinto semantico
vedo svanire la mia immagine,
ombra nascosta tra i fogli.
E senza fiato,
rafforzata e vulnerabile,
partecipo ancora
al mio luminoso supplizio.