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CARMILLA - di J. Sheridan Le Fanu

Creato il 24 marzo 2012 da Ilibri
CARMILLA - di J. Sheridan Le Fanu CARMILLA - di J. Sheridan Le Fanu

Titolo: Carmilla
Autore: Joseph Sheridan Le Fanu
Anno: 1872

“Carmilla” di Joseph Sheridan Le Fanu è il racconto che, dal punto di vista cronologico, svolge un ruolo pionieristico nella letteratura horror sui vampiri.

La fanciulla vampiro creata dalla fantasia dello scrittore irlandese è datata 1872, mentre “Dracula” al risale 1897: quindi Le Fanu ha anticipato esattamente di venticinque anni il più famoso Bram Stoker, che viene comunemente considerato il capostipite degli attuali filoni che fanno capo a Stephenie Morgan Meyer e a Lisa James Smith o la fonte d’ispirazione della fortunata cinematografia che annovera il Nosferatu di Herzog e, ai giorni nostri, l’intera saga (Twilight, New Moon, Eclipse, Breacking Dawn …) tratta dal paranormal romance.

In questo commento cercherò di rilevare quali siano gli elementi di originalità, presenti in Carmilla, poi ripresi dalle opere che anche ai giorni nostri mietono tanti consensi.

Il rapporto sentimentale tra predatore e vittima. L’eros asessuale.

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Tra il predatore e la sua vittima prediletta si instaura una relazione ambivalente, che spesso prescinde dall’appartenenza a un sesso o all’altro. Il racconto di Le Fanu, in modo velato e allusivo, narra di un rapporto saffico tra due giovani donne e di un sentimento che affonda le proprie radici psicologiche in un contesto affettivo di insoddisfazione e di ricerca:

“La prima notte in cui la vidi, mi conquistarono la confidenza e l’amicizia che volle offrirmi, ma adesso non capivo perché mi nascondeva tutto di sé.”

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Eros e Thanatos

Il legame intenso che si instaura tra predatore e vittima richiama la (futura) dialettica freudiana tra pulsione verso la vita e il desiderio di morte:

“E’ da te che mi viene la vita, e tu dovrai morire per me.”

Quasi a significare che un sentimento totalizzante non può prescindere da un destino di distruzione:

“… a causa di un amore strano, un amore che mi portava via la vita. Ma il vero amore miete sempre vittime, e si nutre di sangue.”

Sorge il forte sospetto che sia tutta una metafora …

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Il somatismo

Sto per addentrarmi nell’immagine della creatura maledetta che, da qui in poi, assumerà forme canoniche ricorrenti:

“Quella sua amica … ha dei canini lunghi e stretti, affilati come aghi.”

Se la creatura è un morto vivente, sarà assediata dal gelo, non soltanto corporeo:

“Ho freddo, ho tanto freddo. Ti prego, portami a casa.”

Il determinismo

Un altro interessante “topos” di questa letteratura horror è ravvisabile nella maledizione strutturale: una sorta di legge necessitante che costringe il predatore a un destino eterno di dannazione e incatena la vittima a questa stessa sorte:

“Sono legata a un voto inviolabile, come e più di una monaca …”

Come dire: sono fatto così per una volontà imperscrutabile. Contro la quale nulla posso. Soltanto una forma di morte superiore potrà pacificare la mia condizione esistenziale di cadavere vivente.

Il ritualismo

Quello che farà la fortuna del genere, in quanto evidentemente stimola l’immaginario collettivo che dalla morte trae terrore attrazione, è il ritualismo immaginifico di pratiche macabre e, al tempo stesso, catartiche. Questo ritualismo, c’è già tutto in Carmilla.

Nell’individuazione del giaciglio:

“Il giorno seguente, la tomba della contessa Mircalla fu aperta, e mio padre e il generale … riconobbero in lei la donna perfida e straordinariamente bella che avevano ospitato nella loro casa.”

Nella pratica totemica di distruzione del cuore:

“Il cuore fu rimosso e un paletto acuminato fu conficcato nel cuore del vampiro, il quale lanciò un grido lancinante.”

Nel desiderio di recidere la maledizione:

“Poi fu spiccata la testa dal busto, e un fiotto di sangue zampillò dal collo tagliato.”

Nell’istinto di garantirsi una sicurezza nella natura ove, secondo Lavoisier, “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”:

“Infine, sia il corpo che la testa furono bruciati su carboni ardenti, e le ceneri disperse nelle acque del fiume.”

L’estetica

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L’estetica del “bello e maledetto” è un altro motivo conduttore:

“Era trascorso un secolo e mezzo dalla sua morte, ma nonostante questo la contessa era intatta, e pareva addormentata. Aveva un colorito roseo, gli occhi aperti, e non c’era traccia di quel fetore che i morti emanano a causa del processo di putrefazione.”

Questa estetica rappresenta una delle leve sulle quali agisce la macchina del business cinematografico contemporaneo, che ha creato veri e propri idoli. E icone per adolescenti e giovani sempre alla ricerca di miti nei quali identificarsi.

Per quanto mi riguarda, io rifuggo le degenerazioni truci e sanguinolente. Così come rimane affascinato dall’estetica neoclassica e soavemente terrificante di Carmilla …

Voto i-LIBRI:

5stelle

       

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