Carmilla, No Tav e la repressione

Creato il 01 marzo 2012 da Vfabris @FabrizioLorusso

VIDEO Polizia sfonda vetrata bar a caccia dei NoTav – Presento due articoli sui fatti recenti in Val di Susa firmati da Sandro Moiso ma rappresentativi della visione di CarmillaOnLine – Visita anche http://www.notav.eu/

ARTICOLO: FECCIA ROSSA di Sandro Moiso – CarmillaOnLine

Reporter: ”C’è il diritto di cronaca”
Poliziotto: ”Per adesso no”

E’ ormai evidente che la partita che si sta giocando in Val di Susa va ben al di là delle istanze ambientali, locali e anche di condanna dello sperpero di denaro pubblico su cui è cresciuta, fin dagli anni novanta, la mobilitazione del popolo No Tav.

Oggi, tra Chianocco, Bussoleno e l’area destinata al prospetto preparatorio per il mega-tunnel ferroviario, si gioca il futuro dei rapporti tra cittadini e stato e tra capitale e lavoro.
Non solo a livello nazionale, ma, anche, a livello europeo.

Era inevitabile che la peggiore crisi affrontata dal sistema economico capitalistico occidentale dovesse dare luogo ad una radicalizzazione dei conflitti sociali ed ad un irrigidimento delle posizioni di chi è portavoce, esecutore e profittatore degli interessi del capitale finanziario internazionale.
La democrazia, ammesso che quella parlamentare possa definirsi come tale, vive di compromessi e di margini, per quanto stretti, di manovra politica ed economica, ma oggi tali margini non esistono più. Il governo dei banchieri, dietro cui si nascondono i nani della politica italiana di ogni colore, non può più ammettere alcuna concessione nei confronti delle richieste provenienti dal basso.
La separazione tra alto e basso infatti non è mai stata così netta, così definita.

Marx con la previsione dell’impoverimento progressivo del proletariato e della classe operaia ha vinto, ma un circo infinito, e scadente più di quello di Moira Orfei, cerca di distrarre l’attenzione da ciò per convincerci ad accettare ancora una merce scadente, scaduta e priva di qualsiasi garanzia. Clown, ballerine, trapezisti novantenni, prestigiatori da strapazzo, leoni sdentati e spelacchiati occupano il centro di uno spazio mediatico attorno al quale il pubblico, anche meno smaliziato, non può far altro che sbadigliare o allibire per la scarsa o nulla qualità del programma proposto.

Rimangono efficienti soltanto i domatori, con le loro fruste e con le loro pistole che usano, senza riguardo e con cinica violenza, su chiunque osi interferire con tale programma.
Tutta la retorica nazionalista e populista viene dispensata a larghe mani per giustificare la repressione e la cancellazione definitiva di qualsiasi forma di resistenza e di lotta.
L’orrido populismo pasoliniano del “poliziotto figlio del popolo” viene sbandierato insieme all’encomio per il carabiniere (“figlio di operai”) che ha sopportato la terribile provocazione di essere stato chiamato “pecorella”.

Ma il cattivo è già stato fermato e, come ai tempi della banda Dooley & Dalton o del brigantaggio post-unitario, la foto della sua cattura è stata diffusa con orgoglio.
Che schifo!
Ma questo schifo, questa violenza, quest’opera di macelleria sociale, che oggi si consuma anche sulle carni di coloro che resistono al più sfrontato degli attacchi e alla più immotivata delle spese, non potranno far altro che rafforzare ed ampliare la volontà e il fronte di chi resiste.

E questa resistenza ha già prodotto un autentico capolavoro poiché tutti i leader politici hanno dovuto gettare la maschera e mostrare il loro vero, unico volto: quello della protervia del potere, dello stato e del capitale finanziario.
Il fuoco di fila lo aveva aperto una settimana fa il solito D’Alema, come presidente del Copasir; seguito a ruota da Bersani, Alfano, Bossi e anche da coloro che, come Di Pietro e Vendola, fingono di suggerire qualche possibile trattativa per poi condannare, innanzitutto, qualsiasi offesa ai pennivendoli di regime e qualsiasi resistenza nei confronti delle uniche , vere forze del disordine.

Tanto la trattativa proposta non può essere costituita che dall’offerta del solito, immangiabile piatto di lenticchie. Tanto in Val di Susa quanto sul piano dei futuri contratti lavoro.
Ed è sicuramente ridicolo chi, come Corradino Mineo, invoca il bon ton da parte di chi fa informazione, pur difendendo tutte le ragioni di chi vuole continuare ad arricchirsi sulla pelle di milioni di giovani e di lavoratori.

Meglio chi ci chiama Feccia Rossa.
Siamo orgogliosi di essere Feccia Rossa, come i Comunardi o gli insorti di Amburgo e Berlino del primo dopoguerra, come gli operai delle magliette a strisce degli anni sessanta e i giovani guerrieri disordinati e colorati degli anni settanta.
Di là delle nostre linee non vediamo altro, però, che servii e cani da guardia fascisti del capitale finanziario internazionale!

DISTRUTTO DI POLIZIA di Sandro Moiso – CarmillaOnLine

Da qualche tempo le bancarelle dei libri usati stanno facendo un sacco di affari con me.
Vado lì e scarico un sacco di libri. Sono tutti polizieschi o, meglio, poliziotteschi.
Ma come, dirà qualcuno, non eri tu il fissato con i gialli, le crime novel, i noir?
Certo…e allora? A me gli sbirri hanno rotto le palle.
In tutte le forme e in tutti i sensi.
Chiaro? Punto e stop.

E allora basta con gli sceriffi buoni di Elmore Leonard, i cavalieri blu, i chierichetti o i ragazzi del coro di Wambaugh.
Senza mancare di citare gli italiani.
Sì, quelli scritti da poliziotti veri che poi, magari, qui e là citano anche Woody Guthrie, tanto per fare i piacioni democratici.
Per non parlare dei legal thriller (mai apertone uno comunque) o di quegli orrori letterari rinchiusi nei romanzi dove primeggiano le anatomo-patologhe.

Sempre problematiche loro: sesso, coppia, carriera… mica si fan mancare nulla per fingere di avere anche una psiche.
Già perché la moda, da parecchi anni oramai, è questa: riempire di strazi famigliari, sessuali, carrierali (sì, sì non si dice , ma ci sta..) i protagonisti di storie dove la giustizia (borghese) deve sempre trionfare sul male.

Anche quando se ne tracciano i contorni sociali, questo male è sempre e solo proprio un cancro.
Che va sradicato, igienizzato, ripulito…insomma coraggio fatti ammazzare!!
Da uomini e donne che sono come noi, che hanno i nostri stessi problemi: corna, figli, delusioni.
Eh già, comodi così: fate sempre come cazzo vi pare e poi vi lamentate anche.
Il pubblico deve commuoversi, appassionarsi…maledetta Hill Street giorno e notte che ne lanciò la moda televisiva. E anche Robert McKee che ne fu lo sceneggiatore e con cui nel ’91 ho pure fatto un corso di sceneggiatura.

E poi l’87° distretto di McBain, con tutti quei poliziotti buoni, magari con la moglie cieca o muta o altro ancora. Dagli accattivanti nomi italo-americani e sempre disponibili a proteggere i deboli e ad ammazzare, quasi sempre per forza, i cattivi. Balle…come sempre.
Senza contare che, in Italia, ci fanno anche il film problematico, come ACAB, con il poliziotto che vede il marcio tra i colleghi…ma alla fine, si sa, siamo tutti creature di Dio e, quindi, fratelli.
Ma va, vatti a nascondere! Sparisci… eccheccazzo!!

Così alla fine mi sono tenuto solo quelli di Hugues Pagan, Didier Daeninckx e Frédéric Fajardie, tutti ex-sessantottini non pentiti, i cui poliziotti spesso si suicidano a degna conclusione di una vita di merda. Ma il soggetto, il poliziotto in tutte le sue declinazioni letterarie, televisive e cinematografiche è così irritante che anche un genio assoluto come Jean-Patrick Manchette finì col perdere un po’ di smalto proprio nei pochi testi in cui provò a mettere in pista un poliziotto

Di quelli televisivi attuali si è fatto l’elenco qualche giorno fa proprio qui, sulle pagine di Carmilla, e non vale più la pena di parlarne. Anche se mi piace ricordare che l’immagine rassicurante del commissario Maigret e della sua consorte, interpretati in Italia da Gino Cervi e Lina Volonghi, fu rapidamente cancellata dalla mente della mia generazione dalle cariche dei celerini e dai nervosi agenti della Digos che, nelle automobili senza segni di riconoscimento, seguivano i cortei della fine degli anni settanta stringendo nervosamente in pugno i fucili a pompa.
Shotgun se vi piace di più l’inglese (Torino, Piazza della Repubblica, 1977 o 1978).

Di solito quello fu sempre il massimo del dialogo che riuscirono a dimostrare con i movimenti antagonisti. Come in via Fracchia a Genova oppure con Pinelli a Milano.
Eppure il fatto che Gino Cervi abbia prestato il volto a Maigret e a Peppone, l’irriducibile stalinista del PCI, non mi dispiace, anzi sembra suggerire qualcosa ancora valido oggi.
Soprattutto se penso a Pinocchio D’Alema mentre discetta di ordine pubblico, rivendicando il suo ruolo di presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica), con Monti.

Come direbbe il poeta zen in un suo haiku: Eppure, eppure
Eppure oggi il dilagare di telefilm e letteratura poliziottesca sembra aver assorbito al proprio interno qualsiasi altro tipo di realtà, con tanto di dibattito critico-letterario sul fatto che la letteratura noir abbia sostituito il romanzo realistico nella descrizione della realtà contemporanea.
Ok, se per noir intendiamo gli autori sopraccitati con l’accompagnamento di un André Héléna o di altri come MassimoCarlotto o Serge Quadruppani o ancora, se vogliamo andare più indietro nel tempo, di un Jim Thompson o di un Cornell Woolrich.

Tutti autori che non hanno mai, o quasi, avuto dei poliziotti o degli ispettori come protagonisti, ma che, anzi, spesso li hanno visti solo come antagonisti, nemici, cattivi.
Poliziotti che si arricchiscono con traffici loschi oppure che perseguitano la plebe delle metropoli, spesso, solo per esercitare il piacere sadico del dominio. E da questo punto di vista sia sempre benedetto il film Vivere e morire a Los Angeles di William Friedkin.

Eppure, eppure oggi si celebra con magniloquenza Mani Pulite e l’infinita retorica sull’autonomia della magistratura che servì nella sostanza soltanto ad iniziare un gigantesco e mai concluso taglio di ogni tipo di Welfare. Potremmo anzi dire che Mani Pulite servì proprio a dar vita al tatcherismo o al reganismo all’italiana.
E a null’altro, considerato il successivo sviluppo di ogni forma di corruzione politica, sociale e mafiosa. Come l’attuale sentenza del processo Mills ancora conferma.

Una specie di non dichiarato codice Hayes, quello che nell’America della crisi del ’29 impose che i film di gangster non dovessero più esaltare la figura del bandito, ma sempre punirla con il trionfo della Legge, ha fatto sì che si giungesse ad una sorta di nuovo patto lateranense in cui la figura dell’ agente in servizio potesse addirittura essere beatificata.
Così come si propose qualche anno addietro per la figura del commissario Calabresi.

Oppure all’esaltazione di un immaginario tecnologico e scientifico in cui i sistemi di indagine più costosi ed avanzati permettono di risolvere con certezza anche i casi più difficili.
Ora questo nella patria della bufala sui “neutrini più veloci della luce” e della Gelmini appare tutto piuttosto incredibile…alla faccia dei vari CSI o delle varie Kay Scarpetta.

Eppure, eppure giovani e meno giovani corrono felici a sostenere le liste di un ex-poliziotto semi-analfabeta e del suo stretto giro di ex-magistrati, fingendo di trovare in quel populismo maldestro, degno corrispettivo della Lega Nord, qualcosa di sinistra.
Ma va là, iateve a cuccà, non siete buoni a caricare la sveglia…come disse un comunista napoletano ai membri del VI Esecutivo allargato dell’Internazionale ex-comunista.

L’ordine deve regnare a Berlino ed in ogni nazione. L’ordine borghese del capitale, della finanza e della proprietà dei mezzi di produzione e la diffusione della visione letterario-poliziottesca della realtà è uno strumento fondamentale per il mantenimento dello stesso.
La lotta di classe scompare, scompaiono le classi, rimane solo un po’ di umanitarismo d’accatto come sfondo, quando va bene, di un’eterna lotta tra il Bene e il Male, tra la Giustizia e il Caos.

L’ordine deve regnare a Torino ed in ogni stazione e la continua diffusione di ipotesi di complotto locale, nazionale o internazionale che sia, deve servire a cementare la coesione sociale oppure, come il solito Grande Vecchio è solito dire, l’unità nazionale.
Così realtà e finzione letteraria si confondono, costruiscono un mondo virtuale in cui è solo la visione politica del Capitale a trionfare.

Così i poliziotti sono democratici in Svezia come in America, a Roma come ad Atene e il nemico è sempre il demone esterno oppure la mela marcia che inquina un sistema in sé potenzialmente perfetto.
Tu sei il male e io sono la cura, come nei peggiori film di Callaghan.
Ma quando mai?!

L’ordine deve regnare in Val di Susa e non importa se il capo della polizia che si associa a D’Alema nel denunciare i pericoli provenienti dalle frange anarco-insurrezionaliste e dai rimasugli dell’antagonismo degli anni settanta è il manager di stato meglio pagato.
Loro sono i buoni ed hanno il diritto di avere anche cinque anni di sconto per andare in pensione.
I cani da guardia vogliono sempre un bell’osso dal padrone.

L’ordine deve regnare nel mondo e non importa se dei pescatori indiani vengono ammazzati dai marò italiani, padroni delle acque internazionali.
L’ordine deve regnare e non importa se un piccolo agricoltore e un compagno cade da un traliccio perché è soltanto un cretinetti.
Ma nel riscrivere il plot della storia il movimento reale non dimenticherà nulla.

(per Luca e per tutti i resistenti sulla A32)


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