Carmine il guardiano infila la chiave e apre il cancello. Si chiede a cosa possa servire chiudere ogni santissima sera un cancello di un metro di altezza, pure un bambino lo può scavalcare. Sbadiglia e si accende la seconda sigaretta della giornata. Si massaggia le guance cercando tepore nello sfregamento. E’ ancora ottobre ed è già inverno. Pessima stagione. Carmine sputa in terra ed inizia il suo giro di perlustrazione. Per prima cosa si dirige verso la pagoda. Oggi Dimitru non c’è e probabilmente non lo si vedrà più da quelle parti fino ad aprile. Povero Cristo, pensa Carmine, tutte le notti all’addiaccio, d’estate in un parco e d’inverno? D’inverno lo sa la Provvidenza dove lo mette. Il solo pensiero lo fa rabbrividire. Prega per lui, prega che qualche comunità lo accolga per l’inverno prossimo. Alla Tv dicono che sarà terribile e Carmine sa che al giorno d’oggi quelli del meteo non sbagliano mai. Non c’è nemmeno Hasan, ma di lui a Carmine interessa poco. Hasan è uno stronzo, ha detto ieri Carmine a Dimitru dopo un diverbio. E pure Dimitru, che è talmente buono da condivide il poco pane con i piccioni, ha dovuto ammettere che si, Hasan è proprio uno stronzo. Il brutto di questo lavoro, pensa Carmine, è avere a che fare con gente come Hasan. Sempre meglio che vent’anni fa, però, quando, ancora ragazzo, salì in questa città dalla natia Caltanissetta. Allora i parchi erano infestati di siringhe e al posto di Hasan e Dimitru c’erano tossici con volti cadaverici e vomito ovunque. Ogni mattina, mentre percorre il sentiero dei cedri, Carmine pensa al suo terzo giorno di lavoro: 4 settembre 1992, terzo cedro a destra, ragazzo di vent’anni, biondo, deceduto, segni particolari: siringa ancora conficcata nel braccio destro. Carmine conserva ancora il trafiletto di giornale, c’è il suo nome e la sua testimonianza riassunta in due righe. Carmine in quei giorni chiamò due volte Caltanissetta. La prima per raccontare la macabra scoperta: “Mamma, ho l’immagine del ragazzo impressa nella testa. Come potrò dormire più?” La seconda per raccontare dell’articolo: “Mamma, ti mando la fotocopia, c’è il mio nome sul giornale mamma!”
Le foglie cadono. C’era una poesia che diceva qualcosa sulle foglie e l’autunno, ma Carmine non ricorda. Ricorda un disegno, forse era nel sussidiario, c’era un filo spinato e un soldato in lontananza. Era una bella poesia. Una poesia è bella quando la ricordi nei momenti più improbabili, come ora, pensa Carmine mentre spazza il viale dei castagni. Carmine ha la terza media e non si rammarica di non avere studiato. La sua filosofia è pratica: studia chi ne ha le capacità e le possibilità economiche. A Carmine mancavano entrambi. Va bene così, non serve lamentarsi, anzi, poteva andare peggio. Se non era per il prete che mi trovò questo posto al nord, pensa Carmine mentre raccoglie i rami caduti, chissà dove sarei oggi. Forse in galera, come il cugino Vito, forse a lavorare in nero per due euro e cinquanta all’ora, come suo fratello Nicola.
I vecchi sono i primi ad arrivare. Alle nove le panchine migliori, quelle esposte al sole, sono già tutte occupate. Giovanni legge il giornale e non si preoccupa di ciò che accade attorno. La Carla è invece molto loquace, ma non sa ascoltare, è una di quelle persone che non concepisce la funzione della comunicazione. Carmine ha letto su una rivista che la comunicazione è di due tipi, da un mittente a un ricevente, ad esempio la Tv e tra due entità entrambi mittenti e riceventi, come nel caso di due persone a colloquio. Carmine ha subito pensato alla Carla, si è chiesto se, per caso, avesse lavorato in Tv o alla radio. Ma poi si è ricordato che lavorava in una fabbrica di conserve. Già, quante volte l’ha ripetuto, pensare che lui non è mai riuscito a fargli intendere di essere siciliano.
Beppe arriva intorno alle dieci. Beppe è un vero signore. E’ vedovo, ha perso la moglie due anni fa, un brutto male. Ha un figlio, ma vive in Australia. Beppe è rimasto solo. Lavorava in banca, quando le banche erano fatte di uomini, come ama ripetere a chiunque incontri. Beppe parla volentieri con Carmine. Capita che l’ex bancario lo segua addirittura nei suoi lavori nel parco per continuare a conversare. A Carmine si gonfia il cuore: nessuno gli ha mai conferito una tale importanza. Si ripete sempre che lo deve dire a mamma, mamma un bancario che mi segue fin nella latrina per godere della mia compagnia! Ma poi si dimentica sempre. Con Beppe si parla di Sicilia, lui c’è stato tre volte ma mai a Caltanissetta, si parla di politica, Carmine ne capisce poco, ma è cosciente che il partito migliore sarà quello che gli suggerirà Beppe.
Alle undici arrivano le madri con i bambini a passeggio. A volte sono i padri ad accompagnare i passeggini. Carmine ha notato che negli ultimi anni sono sempre di più gli uomini che fanno le mamme. Questo non lo capisce proprio. Va bene la modernità, ma ci sono lavori da maschi e lavori da femmine. Non c’è da meravigliarsi, come diceva la nonna Angelina, undici figli, il mondo è una ruota che gira, ma non si torna mai al punto di partenza.
All’una finisce la scuola e una fiumana di scolari si riversa nel parco. Fanno un gran casino e spesso non si comportano bene. Capita che rompano qualcosa e Carmine debba ripararla. Ma Carmine gli vuole bene lo stesso. Gli piacciono i bambini e vorrebbe averne uno. Beppe gli chiede “Cosa aspetti? Hai quarant’anni suonati” e allora Carmine risponde sempre allo stesso modo: “I bambini si fanno in due. E io sono solo.” E quindi sorride e si accende una sigaretta.
A Carmine non piacciono molto le badanti dell’est. Arrivano al parco con i loro assistiti e blaterano al telefono le loro lingue incomprensibili, si siedono sulle panchine e parlano tra loro, rientrano verso casa e parlano di nuovo al telefono. La peggiore è la badante della Luisa. Quella povera elemosina parole perfino ai bambini. Nessuno parla con Luisa, non ci parlano i figli che hanno altro da pensare e soprattutto non ci parla la sua badante. Carmine ne ha discusso con Beppe. Lui dice che bisogna cercare di capire anche queste badanti, sono donne sole in terra straniera, il lavoro è pesante e un discorso nella tua lingua madre è spesso l’unico rimedio alla frustrazione. “Sai, Carmine, spesso sono persone istruite e devono andarsene perché i loro paesi sono poveri come la tua bella Sicilia, Carmine.” Ma Carmine dice che la sua Sicilia è differente. Un giorno, per dimostrarlo, ha chiamato sua sorella Annunziatina e gli ha proposto di venire al nord per fare la badante. Annunziatina ha rifiutato, ha detto che non fa per lei e che per quei lavori lì ci sono le donne dell’est. Carmine ci è rimasto male. Del resto Annunziatina è deficente, lo ha sempre pensato. In ogni caso, il lavoro è sempre lavoro e quelle badanti sbagliano. Se non gli va bene assistere gli anziani, possono tornare da dove sono venute. Ma questo a Beppe non lo dirà.
La badante della Lisetta è differente da tutte le altre. E’ una ragazza affettuosa, non parla molto bene l’italiano, ma sa ascoltare. Senza dubbio finge, pensa Carmine, ma lo sa fare bene e alla Lisetta, in fondo, basta questo. E’ una ragazza moldava, un po’ in carne, ma con lineamenti delicati e due occhi azzurri profondi come il mare di Sicilia. A Carmine piace guardarla di nascosto, mentre si occupa del suo lavoro. Ieri Carmine ha staccato una rosa dal roseto per lei, ma poi non ha avuto il coraggio di dargliela. Tornato a casa si è maledetto, rischiare un rapporto sul lavoro per nulla. La notte, prima di dormire, Carmine pensa a lei. Ne ha parlato con Beppe. Lui dice che il tempo è prezioso e che deve prendere il coraggio a due mani e lanciarsi. Ma Carmine non ha esperienza, le donne gli mettono timore. Allora Beppe ha detto che lo avrebbe aiutato, che sarebbe andato a parlare con la Lisetta e così avrebbe stabilito un contatto con la ragazza. “E’ una tecnica di guerra” ha detto Beppe sogghignando “si chiama testa di ponte.” Carmine non ne vuole sapere, un vero uomo deve prendersi le proprie responsabilità, punto e basta. Ma i giorni passano e il coraggio non arriva. C’era un prete che diceva qualcosa come “il coraggio chi non lo ha non se lo inventa.” Che libro era? si chiede Carmine.
Carmine torna a casa alle otto in punto. Abita in una mansarda nel centro storico, poca luce, poca aria e tanta polvere. Spazzare e togliere le ragnatele non è cosa da uomini, ma femmine per casa non ce ne sono e qualcosa deve fare. Poco, a dire il vero, quanto basta per non vivere in un porcile. Carmine posa la forchetta sul piatto vuoto. Rutta l’insipido sugo pronto e spegne la Tv. E’ stufo, si, è stufo della Tv, della pasta con il sugo pronto, è stufo di spazzare in terra e di lavare i pavimenti. E’ stufo, soprattutto, di passare tutte le sere da solo, nell’attesa che venga il mattino e possa chiacchierare con Dimitru e Beppe.
La solitudine è un sugo che all’improvviso scopri insipido, una conduttrice che non ha più nulla da far vedere. Di chi era questa frase? Carmine non ricorda. Se avesse più fiducia in se stesso, non avrebbe problemi a rispondere: è mia, io sono il poeta. Ma Carmine, davanti allo specchio e davanti al mondo, è solamente il terrone guardiano del parco. Non gli è richiesto pensare, ma spazzare. Così ha deciso di dare il consenso a Beppe. Ma si, che parli con Lisetta e faccia da “testa di ponte” per arrivare alla badante. Beppe è un signore, saprà sicuramente il da farsi. Ecco, magari Carmine chiederà a Beppe di dedicargli, da parte sua, quella frase sulla solitudine che gli è venuta in mente prima. E’ così bella. Beppe la conoscerà sicuramente.