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Visto che oggi è giornata di uscite cinematografiche nei cinema italiani e proprio questa settimana esce l'ultima fatica di Roman Polanski, mi è venuta l'idea di scrivere la recensione di Carnage, il film di Polanski del 2011 presentato in concorso alla 68ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e tratto dall'opera teatrale Il dio del massacro di Yasmina Reza, qui nelle vesti di co-sceneggiatrice. Carnage è un film che della piece teatrale ha tutto, compresa l'unità di tempo e di spazio, classico nell'impostazione e che prova a fare a pezzi una classe borghese per una volta vista dal di dentro. E per dentro intendo proprio "dentro": il salotto borghese, il centro del vivere familiare.
In una lite al parco, un ragazzino di 11 anni colpisce un coetaneo al volto con un bastone. I genitori, due coppie di Brooklyn, decidono di incontrarsi per discutere del fatto e risolvere la cosa da persone civili. Ed è in quell'appartamento che si svolge l'intero film.
Due famiglie, due coppie di coniugi. Da una parte Nancy e Alan Cowan, una donna della finanza e un avvocato di successo, dall'altra Penelope e Michael Longstreet, scrittrice e piccolo imprenditore. Alla base c'è una crisi che parte delle fondamenta dell'istituzione "famiglia", quella che mette in dubbio l'impianto educativo della stessa. Infatti il problema sorge quando un ragazzino ne aggredisce un altro e le due famiglie si incontrano per discutere civilmente il problema. Inciviltà (bambini) e civiltà (adulti). Hide contro Jackyll. E' di questo che si tratta. Della maschera che tutti noi indossiamo nel tentativo di mantenere dinamiche sociali di cui, in realtà, ci interessa poco ma che solo loro ci rendono quel che siamo. Solo che in Carnage queste dinamiche vengono portate agli estremi fino al consumarsi di quel sipario che ci nega all'occhio indiscreto dello spettatore/estraneo che ci osserva.
Carnage è un film diviso in due. la prima parte è un preambolo in cui vengono (di)mostrate le dinamiche di coppia tra le coppie e il tentativo quasi disperato di mantenere vivo il gioco delle parti. La seconda è una violentissima lotta tra due diversi modi di vedere il mondo (inteso come ambiente sociale) ma anche interna tra uomo e donna, la base del vivere sociale. Insomma, gli adulti che vedono messa in crisi la loro qualità di educatori - quindi di esseri che detengono e inculcano in altri valori etici e morali. Il fallimento di questo ruolo equivale al fallimento della famiglia come istituzione e il fallimento di quest'ultima produce un effetto domino che porta il singolo individuo a mettere in dubbio il proprio ruolo all'interno della coppia. E quando l'essere umano va in crisi, cosa fa? Si toglie una maschera per cercarne un'altra. Carnage guarda i suoi protagonisti proprio nell'istante in cui le maschere vengono meno: un attimo, un infinito attimo che si protrae per ottanta minuti e alla fine dei quali non rimane nulla se non le macerie di una realtà comune a tutti.
Polanski dirige con perfezione stilistica. Difficile per chiunque aspirare a tanto. Lui ci riesce modellando gli spazi, dirigendo perfettamente gli attori, piegando lo stile di ripresa alle necessità e alle inclinazioni dei personaggi. E' una goduria assistere a quei movimenti di camera, al continuo reiterarsi della situazione, all'evocativa fotografia di Pawel Edelman. Al contrario, il film è un vero e proprio calcio nelle palle, talmente violento da lasciare addosso una spiacevole sensazione di malessere. A tratti la nevrastenia che regna sovrana mette a dura prova la capacità di sopportazione dello spettatore che si vede riflesso in questo gioco pirandelliano e corre il rischio di perdersi. Perfette le prove di tutti gli attori, quattro che valgono per cento: Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly reggono sulle loro spalle l'intensità di una pellicola che avrebbe potuto essere la più noiosa del secolo. Ovviamente con una sceneggiatura come quella sarebbe stato difficile sbagliare ma oltre alle parole contano le espressioni, il muoversi degli occhi, delle bocche, delle mani. E alla fine rimane la violenza di una società sull'orlo del baratro, di un'umanità che fa paura. Ma veramente paura.
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